Sono passati dieci anni dalla scomparsa di Antonio Carena, pittore dei cieli, nato e vissuto a Rivoli, conosciuto a livello internazionale per le sue inconfondibili “cielagioni”. Antonio Carena, Toni per gli amici, era nato  nel 1925 a Rivoli,  città dove è vissuto per tutta la vita, pur nelle molteplici esperienze legate ad un’arte capace di dargli visibilità un po’ ovunque e quindi molte possibilità di girare. Ma il suo nido, i suoi affetti, il suo punto di partenza e di arrivo, sono stati sempre Rivoli e quella deliziosa casa nel cuore della città che trasuda creatività in ogni angolo, ricca di opere sue e dei tanti artisti ammirati da Carena. Una casa che è essa stessa un’opera d’arte. Proprio per ricordare questo grande artista a dieci anni dalla scomparsa, la figlia Tin Carena, apprezzatissima creatrice di gioielli con quell’estro e quella fantasia che sono un’impronta di famiglia, ha deciso di riaprire questa casa straordinaria, nella centrale via Rombò, a tutte le persone interessate il 1 febbraio dalle 16 e 30: un’immersione per i visitatori sia nelle opere dell’artista rivolese che fra le opere d’arte da lui collezionate con grande passione per tutta la vita. Un progetto condiviso e fortemente voluto dal nipote Nicolò.

“Sono stato battezzato con l’acquaragia”, amava scherzare Carena. I primi profumi dei colori Carena li sentì nel laboratorio di decoratore del padre: un profumo che ha permeato di sé tutta la vita dell’artista. Antonio Carena appartiene a quella generazione di artisti che si è formata nel difficile dopoguerra italiano: aveva infatti vent’anni nel 1945. I suoi primi passi nel mondo dell’arte, dopo l’esperienza nel laboratorio di decorazione del padre, Carena li fece con gli studi presso l’Accademia Albertina, alla scuola di pittura condotta da Enrico Paulucci con assistente Mario Davico. Si apriva per lui un periodo di estrema vitalità, fatto di partecipazione a mostre, di incontri e di discussioni con altri giovani artisti torinesi, come Mauro Chessa, Giacomo Soffiantino, Francesco Tabusso, Mario Merz, Piero Ruggeri.

Poi le prime importanti personali, l’amicizia con Michel Tapié, critico francese, il più profondo conoscitore e promotore dell’informale in Europa. Le prime esperienze informali di Carena si fissano nelle “Grate” dei primi anni 50, legate ad un profondo disagio esistenziale. Alla fine degli anni 50, la luce irruppe prepotentemente nei suoi dipinti: una luce irradiante che sembrava solo balenare tra le trame scure delle sue “grate”.

I “cieli” comparvero nel 1965 e – scrisse Mirella Bandini – apparvero dopo una lunga gestazione, passando “attraverso una pittura sensibilista, giunta fin quasi alla pagina bianca”, provenienti da una mirata ricerca sulla luce.

Ma che cosa sono “i cieli e le nuvolazioni” di Carena e come nacquero? Ho avuto il piacere e l’onore di poter intervistare più volte Antonio Carena, sempre estremamente “accogliente” e disponibile, pur nella sua irripetibile ironia che spiazzava moltissimo chi non lo conosceva. Questo il suo racconto: «Il “mio” cielo non è mai quello della natura. Il mio cielo è un’invenzione, un rivestimento, in una continua operazione di metamorfosi che ha ricoperto non solo le tele, ma anche le lamiere, le statue, gli oggetti, i pilastri, le colonne, i tavoli, le sedie. I miei cieli sono spazio urbano tecnologico. E questa rivelazione io la ebbi, casualmente, una mattina, una luminosa mattina del 1963, mentre, fermo in piazza San Carlo, aspettavo due amici in ritardo che dovevano arrivare da Roma. Passeggiavo per ingannare il tempo, calpestando il “toro” che sta sul marciapiede davanti al celebre caffè. Il mio sguardo cadde per caso sulle auto in sosta. Mi apparve, deformato sulla loro carrozzeria, un nuovo paesaggio: quello riflesso, fatto di case, di palazzi, di chiese. Un paesaggio che si avvaleva proprio delle auto per la sua rappresentazione. Fu un momento di folgorazione per me, di magia, di splendida intuizione: la carrozzeria di un’auto poteva essere un paesaggio non vero, ma reale. Da quel momento le mie tele furono le parti di carrozzeria riflettenti: erano queste che costituivano i supporti giusti per paesaggi urbani rivestiti di cielo. Non più il pennello tradizionale, ma “la pistola” del carrozziere per la creazione delle cielagioni e delle nuvolazioni».

Fece scalpore il suo arrivo con la mitica “500 brillantata e nuvolosa” dipinta con la “pistola” dei carrozzieri che, da allora, sarebbe diventata lo strumento principe dell’arte di Carena. La “500 cielata”, parcheggiata davanti alla galleria “Il Punto” a Torino che ospitava una personale dell’artista, divenne un punto di attrazione irresistibile, una chiacchieratissima anteprima dei “cieli” presenti all’interno della galleria. Un aerografo su tela e tanta creatività costituirono dunque, da quel momento, le basi del successo di un artista dal grande carisma: capace di stupire con le sue perfomance, con un linguaggio spesso volutamente provocatorio, una “magicazione” della sua arte  rivelata in quelle nuvole che non sono natura, ma pura finzione colorata, su lamiera, su perspex, soffitti, auto, corpi di modelle: una pittura che finge di non esserlo e che sa “allegreggiare” il grigiore quotidiano. 

Un’esperienza altrettanto esaltante fu certo la creazione del cielo sul soffitto dello scalone centrale d’accesso al Castello di Rivoli, attuato in occasione dei restauri che videro l’apertura del Museo di arte contemporanea nel 1984. Un tocco di luce e di magicità assolutamente unico per quel pezzo di cielo che fu voluto dall’architetto Andrea Bruno, responsabile dei restauri della residenza sabauda, con l’appoggio del collezionista Panza di Biumo che andò personalmente nello studio rivolese di Carena per vedere il bozzetto propositivo della “cielagione”.

Un pezzo di cielo oscurato, nel 2005, dal Museo, per far posto, si disse in misura temporanea, ad un’opera di un artista americano. Un fatto che colpì il pittore dei cieli proprio nella sua città e che vide i suoi concittadini, i suoi estimatori, il mondo dell’arte, i suoi allievi, impegnarsi in una battaglia per far sì che quel suo cielo potesse ritornare ad “allegrare” i visitatori del Castello dall’alto del soffitto dello scalone centrale. Finora senza successo…

A Rivoli fu proprio una  mostra dei cieli di Carena, con le sculture di Enzo Sciavolino, ad inaugurare la Casa del Conte Verde, in via Piol, e il maestro fu celebrato in occasione dei suoi ottant’anni anche con una bella personale.

I suoi “cieli” nascevano nello studio all’aperto della sua abitazione rivolese. Un giardino – studio interno, invisibile agli occhi dei passanti: una delle caratteristiche, questa, dei giardini nascosti delle vecchie case del centro storico rivolese, che conquistarono Mario Soldati che li descrisse accuratamente, subendone il fascino, nel suo romanzo “Le due città”.

Per realizzare i suoi cieli, Carena non si serviva di tecniche tradizionali, ma usava l’aerografo con colori acrilici e vernici alla nitro. Forme d’aria dunque realizzate con un pennello d’aria: ma soprattutto con una grande fantasia e creatività che lo portò a rivestire di cielo i supporti più incredibili. Per questo, la sua ironia e il suo desiderio di provocare gli facevano spesso dire: «Sarebbe ora che il cielo (quello  che sta sopra di noi)la  smettesse di copiare i miei quadri!».   

La speranza, mai persa, della sua famiglia e dei suoi ammiratori è che il “suo cielo” possa ritornare ad “allegrare” i visitatori del Castello di Rivoli dall’alto del soffitto dello scalone centrale.