Un filmato di propaganda (visibile su YouTube) riproduce, sotto l’intestazione “Zeit im Bild”, parte di un concerto dei Berliner Philharmoniker tenuto il 26 febbraio 1942 a Berlino in un enorme e gremito capannone della fabbrica di turbine AEG, capolavoro di architettura industriale edificato nel 1909 dall’architetto Peter Behrens. Come informa lo speaker con voce baldanzosa e squillante, il concerto è offerto alle maestranze per rallegrarne lo spirito in una pausa di lavoro ed è affidato alla direzione  “del dottor Wilhelm Furtwängler”. Il filmato riporta il brano finale del programma, vale a dire il Preludio dei Meistersinger von Nürnberg di Wagner, che era stato preceduto dalla Sinfonia “Incompiuta” di Schubert e dal poema sinfonico Till Eulenspiegels lustige Streiche di Richard Strauss (il tutto giusto un’oretta di musica). 

            Lo splendido bianco e nero, affidato a un regista non nominato ma certo di sicuro gusto e talento, si apre col trasferimento rapido (non si perda tempo!) e disciplinatissimo delle maestranze dal posto di lavoro alla sede dell’evento sullo sfondo di tre enormi torri-ciminiere fumanti. Al concerto non assistono soltanto gli operai in tuta, ma anche impiegati, quadri, dirigenti – probabilmente con i loro famigliari – e nelle prime file gli immancabili militari feriti al fronte e in convalescenza.

            Dietro al palco dove è sistemata l’orchestra spiccano stendardi e labari con croci uncinate di varia misura.

            Furtwängler attacca il Peludio con forza e determinazione, quasi con rabbia, con furore, e l’intera esecuzione avrà il carattere dello stile interpretativo del sommo direttore negli anni più drammatici della guerra (a cominciare, non a caso, dal ’42), teso fino allo spasimo, tragico, apocalittico. In questo caso, poi, l’effetto è straordinario, trattandosi dell’unica “commedia” in musica composta dal Wagner maturo, sia pure impastata del più esaltato grado di nazionalismo culturale (oltre che di vibrante poesia e di sublime  finezza psicologica).

            Ciò che, tuttavia, costituisce il motivo di più alto interesse del filmato è l’indugio sui volti e sulle espressioni dei componenti il foltissimo pubblico. Contempliamo i volti di bionde, leggiadre, sognanti fanciulle, di biondi, sereni, romantici giovanotti (chi sa se previamente predisposti o colti al loro naturale), di vari impiegati e impiegate dell’azienda, per lo più sorridenti. Ma quelli che veramente colpiscono e si incidano nell’animo dell’osservatore sono quelli degli operai. Volti  talvolta stanchi e segnati, recanti tracce di fumo e di sudore, ma sempre compunti, assorti, partecipi, intelligenti… Volti umanissimi di lavoratori civili e consapevoli. Qui scatta la grande domanda, ineliminabile. Consapevoli della catastrofe che la loro patria ha barbaramente scatenato e che ora le sta per volgersi altrettanto barbaramente contro? Nei volti espressivi e nobilissimi di questi operai si può leggere, oltre l’attenzione vivissima e una commossa partecipazione all’evento artistico, un ancora iniziale ma già palpabile (e in alcuni casi già assai eloquente) sgomento, inquietudine, amara consapevolezza dell’ora e del frangente storico. Volti profondi, intensi, di vera e reale nobiltà. Esprimenti l’uomo tedesco nella sua più significativa umanità anche fenomenica. Non si riesce a concepire l’idea che questi uomini (e queste donne) possano essere filo-hitleriani, fervidi aderenti all’ideologia di violenza e di morte che viene loro imposta, demoniacamente convinti della necessità di annientare chi e ciò che non è tedesco, di sterminare popoli di stirpe e cultura non tedesca, di ridurre il mondo ad un cumulo di macerie, ad un deserto. Nei loro occhi chiari, onesti e preoccupati – vogliamo crederlo – vive l’immagine più autentica ed elevata dell’anima e dello spirito della Germania. Quella di Bach, di Lessing, di Goethe, di Schiller, di Kant, di Beethoven, di Heine, di Nietzsche, di  Thomas Mann, di Hesse, senza i quali l’intera umanità sarebbe spaventosamente più povera e più arida.