Alessia Pirro, napoletana, con laurea conseguita presso l’Università “Federico II°” di Napoli, autrice di un volume sull’attività giornalistica di Michele Prisco, e da circa sei anni trasferitasi a Dublino, dove ha insegnato presso il Trinity College di Dublino, la University College Dublin, la Dublin Business School e l’Istituto Italiano di Cultura di Dublino. Ne scaturisce una chiacchierata interessante che mette in risalto le forti differenze culturali e di costume tra le due città, ma sottolinea al tempo stesso anche l’intenso impegno culturale che si respira nella capitale irlandese. Due città molto distanti tra di loro sia geograficamente che come clima, ma che esprimono anche alcuni aspetti convergenti che la Pirro sottolinea e che confermano quanto la cultura, quella vera, non abbia confini!  

1) Qual è stato il motivo del tuo trasferimento a Dublino?

Mia madre è americana, mio padre è italiano. Mi sono formata in Italia, ma – forse anche grazie a questa mia condizione di partenza – sono cresciuta con l’idea di una cultura che va oltre i confini (quelle che a volte sono le barriere) di una nazione; ho sentito in maniera forte, in prima persona, il problema del rapporto con l’Altro. Volevo approfondire la lingua di mia madre ed ero curiosa del modo di vivere e di pensare altrove. Dopo la laurea magistrale in Lettere Moderne presso la “Federico II” di Napoli, un breve periodo trascorso negli Stati Uniti e la pubblicazione di un libro sull’attività giornalistica di Michele Prisco, mi sono trasferita a Dublino nel febbraio del 2013. Non vedevo molte prospettive di inserimento in Italia e quella dell’Irlanda mi sembrò allora una scelta vitale.

2) Quali sono le differenze tra Napoli e Dublino?

Un altro clima, un’altra lingua, altri costumi. A confronto con Napoli, Dublino è una città assai più tranquilla, ma al tempo stesso viva, stimolante, dove è possibile incontrare giovani di ogni nazionalità e dove ciascuno – straniero o autoctono che sia – viene incoraggiato a mettere a frutto i propri talenti. In termini di iniziative culturali, le due città sono parimenti ricche, eppure la speranza e la fiducia nel futuro che si avvertono a Dublino persino nel difficile periodo che stiamo vivendo, purtroppo, non sono le stesse del Sud Italia.

3) Con quale stato d’animo hai vissuto i primi tempi lontano dal tuo paese d’origine?

Non nego che ci siano stati momenti di ansia, di spaesamento, di paura, di nostalgia. Li ho superati grazie ai legami speciali che a mano a mano ho costruito. Alcuni incontri, come quello con Giuliana Adamo – appassionata e preparatissima docente del Trinity College – sono stati fondamentali. Un ruolo decisivo hanno poi avuto i libri, la cultura come territorio condiviso, spazio comune, terreno di incontro. “Scrivere è cercare la calma, e qualche volta trovarla. È tornare a casa. Lo stesso che leggere”, sosteneva la Ortese. Alla fine, scopri che o leggi Edna O’ Brien o Virginia Woolf o Natalia Ginzburg, ritrovi sempre la bellezza, il conforto, quel potere rigenerante che accompagna la grande letteratura. Avere, inoltre, la possibilità di condividere a un certo punto tutto questo con altri, attraverso l’insegnamento, ha contribuito senz’altro a non farmi sentirmi sola.

4) In che modo la cultura viene vissuta e condivisa in Irlanda?

Con gioia. Come un bene prezioso di cui godere insieme, più che un personale fiore all’occhiello da esibire. Sin da piccoli, i bambini irlandesi vengono portati nelle biblioteche locali. Molti irlandesi sono avidi lettori. Ormai da tanti anni si respira a Dublino un’atmosfera interculturale e, tuttavia, essenziali restano la tutela e la trasmissione della cultura propriamente irlandese, a cominciare dalla lingua, il gaelico, che viene tuttora insegnata nelle scuole – dall’asilo all’ultimo anno delle superiori – e si continua a parlare, accanto all’inglese, in molte zone di Irlanda.

5) Com’è l’inserimento della donna nella società irlandese?

A partire dagli anni Novanta si è assistito a uno svecchiamento della società irlandese. Nel 1990, per la prima volta una donna, Mary Robinson, è diventata Presidente della Repubblica d’Irlanda; nel 1995 c’è stato il referendum sul divorzio. Certo, non si può dimenticare il recente passato, la grave violazione dei diritti umani subita dalle donne irlandesi nelle tante istituzioni per madri nubili operative in Irlanda tra il 1920 e il 1998. Oggi, però, mi pare che tanto le donne che per scelta o per subentrate condizioni di vita si trovino a crescere i propri figli da sole quanto le altre beneficino di un supporto da parte dello Stato, di un senso di comunità e di un livello di integrazione nel tessuto sociale prima inesistenti, e questo sia in conseguenza di un cambiamento culturale sia per le maggiori opportunità di lavoro e, quindi, di realizzazione personale ormai a disposizione.

6) C’è un atteggiamento di solidarietà o di competizione tra le donne a Dublino?

In generale, nella società irlandese prevale un sentimento di solidarietà. Penso al posto di primo piano occupato dalle charities, dalle organizzazioni umanitarie, dal volontariato. Per quanto riguarda le donne in particolare, mi vengono in mente tante iniziative di donne irlandesi tese a facilitare l’inserimento di donne provenienti da altri paesi, alcuni workshop creativi e informativi organizzati da “We for Women” per conto del MUDEM Refugee Support Centre, il contributo offerto da alcune donne musulmane (The Muslim Sisters of Éire) a sostegno dei senzatetto irlandesi. Mi sembra che più che lo scontro qui si faciliti la cooperazione.

7) E qual è l’atteggiamento dell’uomo nei confronti della donna?

Come in Italia, anche in Irlanda non mancano casi di prevaricazione e di violenza. Nel complesso, però, mi sembra che ci sia un rapporto più paritario tra uomo e donna, proprio per la maggiore possibilità che la donna in questo paese ha di mettere a frutto le proprie potenzialità e risorse a cui accennavo poc’anzi.

8) Ti senti integrata oggi in Irlanda?

È una continua sfida. Vivere all’estero non è facile. Come scriveva Edward Said nelle sue bellissime riflessioni sull’esilio, si perde il contatto con la stabilità del noto, del conosciuto, del familiare, in certi momenti è come se ti traballasse la terra sotto i piedi, e, tuttavia, si acquista una pluralità di visione che molte volte è difficile conquistare restando ermeticamente chiusi nel proprio territorio. Ogni giorno che qui in Irlanda riesco ad attraversare i miei confini, a rompere le mie barriere di pensiero e di esperienza, mi sento più integrata. Ed è un altro giorno guadagnato: in termini di senso, di visione, di vita.