Esistono diverse concezioni del “fare storia”. Esse corrispondono: alla storia etico-politica (Croce, storicismo italiano ), incentrata su valori, idee, programmi e rapporti sociali, cioè sul moto complessivo della cultura e delle aspirazioni di un popolo; ovvero, alla “histoire bataille” o “histoire éveneméntielle” (storia francese, basata prevalentemente sullo studio di avvenimenti e date di storia diplomatica e militare (che ha pure un suo interesse); “Histoire”, dal basso (dalle “Annales” francesi), fondata su ricerche di costumi e storia materiale di un popolo e di un’epoca storica (di cui si è fatto uso e abuso, diceva Cinzio Violante, specialmente a proposito del Medioevo); storia economica e dei rapporti di forza e di produzione della ricchezza ( Marx e ‘scuola marxiana’: secondo Croce – essendo Marx il “Machiavelli del proletariato” -, è la storia che rivendica il ruolo centrale dell’economia; ma di cui pure si è a volte abusato ).

 A proposito del centenario del primo e tragico conflitto mondiale ( 1914-1918 ), ci si può ancora giovare del primo paradigma di ricerca, la storia etico-politica, in grado di abbracciare nel proprio àmbito spunti e momenti di riflessione comuni anche agli altri indirizzi di pensiero. Come è noto, il Croce fu tra noi decisamente “neutralista”, attirandosi persino ingiuriose accuse di comportarsi da “germanofilo” e “antiitaliano”. Ma la sua visione era alta e complessa, preoccupata dell’ ingresso in guerra da parte dell’ Italia e delle sue probabili nefaste conseguenze; e, nondimeno, sempre al fianco della “patria”, nel sentimento morale, nella cultura e nella vigilanza per le sorti del conflitto. Con la Avvertenza alle Pagine sulla guerra. L’Italia dal 1914 al 1918, il padre della Nuova Italia scriveva: “Non credo che sia ancora antiquato, nelle presenti condizioni morali dell’Europa, il motivo principale di queste pagine, la difesa del comune patrimonio civile e della comune opera del pensiero e dell’arte tra i contrasti e le lotte politiche e guerresche dei popoli”. Negli stessi anni, Croce dava diffusione ai motivi di unione delle culture europee, indagando “Ariosto Shakesperare  Corneille”; il ‘suo’ e ‘nostro “Goethe”, con le liriche nuovamente tradotte; con l’idea stessa di “Cosmicità” e “universalità” dell’arte ( tra il 1917 e 1918 ). Ma ciò non significava in alcun modo la dismissione dell’idea di patria e della cura per le sue sorti.

A proposito degli interventisti, Croce precisava infatti nel 1914: “Tra questi apostoli, ravviso moltissimi che ho già conosciuti e visti all’opera, negli ultimi anni, improvvisatori di nuove filosofie, di nuovi socialismi, di nuove formule di poesia, di pittura, di musica, senza che poi abbiano creato né nuove religioni, né nuove filosofie, né nuovi socialismi, né ( altro che mediocrissime ) poesie, pitture e musiche. E temo che con la stessa imprudente facilità si siano dedicati ora a improvvisare politica e guerra, e a decidere delle sorti della nostra comune patria”. (1)

Croce scese in campo per difendere da ingiustificati attacchi studenteschi l’amico Cesare De Lollis, direttore della rivista “Pro Italia Nostra”, di cui anche era collaboratore; e, durante la neutralità, promosse in Napoli il Comitato Provvisorio dell’ Associazione Monarchica Italiana per la preparazione civile, “per il caso di una partecipazione dell’Italia alla guerra, come si è fatto in altre parti d’ Italia” ( 25 aprile 1915 ). Più tardi, sua moglie Adelina Rossi, di origini torinesi, aiuterà  combattenti e loro parenti, impegnati al fronte e in Andria, per le sorti della Grande Guerra ( Michele Coratella di Agostino, custode del Cimitero di Andria ). (2)

Questa premessa era indispensabile per comprendere il clima etico-politico e la dialettica di forze sociali in campo, anche a guerra dichiarata e nelle tante traversìe dei suoi alterni e contraddittori andamenti, causa del dibattito su “La guerra e la borghesia”, introdotto da “Viù (Torino), 14 settembre 1917”, e pubblicato sul “Giornale d’Italia” del 17 settembre 1917, in forma di lettera al direttore Bergamini. “Leggevo, dunque, alcune settimane fa, un libro sulla moderna storia italiana, dovuto a uno storico austriaco ( del resto, assai riguardoso pel nostro paese ), e vi trovavo la tesi: che l’Italia sarà salvata ‘contro la minoranza che ha fatto il Risorgimento e ha governato la sua recente storia’ dai lavoratori e dal partito socialista, dal ‘popolo’. Ora io non intendo dir verbo che suoni ingiurioso all’ on. Giolitti, perché ho per massima che gli uomini politici possono essere combattuti, e anche aspramente, e magari con l’ingiuria, dagli uomini politici; ma che chi è fuori della politica attiva non deve scagliar loro, come purtroppo si usa, vituperi, che sono iniqui perché vengono da irresponsabili. (..) Il fatto, che non esiste, si compendia nella frase, che vorrebbe essere piena di senso profondo ed è insulsa: – La guerra, la fanno i contadini. – La quale ho udito riecheggiare da contadini, non con accento di orgoglio ma di tristezza e di rancore, in questa forma: ‘Solo noialtri cafoni siamo buoni ad essere ammazzati’. Ora, se si vuole intendere, con quella frase, che nell’esercito combattente i contadini prevalgono di numero, si dice cosa indubitabile, ma che non significa nulla, perché, anche in tempo di pace, contadini e lavoratori delle braccia costituiscono la maggioranza numerica della popolazione. Ma se poi invece si vuol intendere che i contadini vanno alla guerra e i borghesi restano a casa, si asserisce il falso, perché ciascuno di noi, che pur viviamo tra borghesi grossi e piccoli e non tra contadini, guardandosi attorno, vede i suoi famigliari, i suoi parenti, i suoi amici, tutti sotto le armi, e molti di essi uccisi, molti feriti, molti distinti per valore. Le migliaia e migliaia di ufficiali, che questa guerra ha richiesto, sono state fornite, con mirabile prontezza, dalla borghesia, credo, e non dai contadini. (..) Nella umiltà, nella piaggeria dei giornali borghesi di fronte a operai e contadini, si avverte un’inconsapevole sottomissione alle arroganze e vanterie, non già di quelle classi del popolo che sono valorose e modeste, ma dei loro conduttori e demagoghi. (..) Con l’andare foggiando, divulgando e assodando l’iperbole rettorica che ho ricordata, si agevola ai mestatori la fabbrica di un loro prediletto sofisma passionale: ‘La guerra è stata voluta dai borghesi, ma lasciata fare ai contadini, che non la volevano’. Come se ci fosse qualcosa di strano o d’immorale nel fatto, che l’angosciosa perplessità e la grave responsabilità di deliberare sulla guerra toccano, pur troppo, alle classi colte e dirigenti: le quali, così pagano due volte, una prima col cervello, e una seconda con le persone ! Alle altre classi spettano invece solamente l’esecuzione e il dovere di persistere: cose di somma importanza e nobilissime, ma alquanto meno tempestose e tormentose, perché l’obbedire è meritorio, ma è anche più semplice e più riposante del comandare”. In conclusione, dopo i saluti al Caro Bergamini, Croce ricorda l’esperienza dei “Soviet” e della rivoluzione russa, auspicando: “Credo che l’esempio opererà perfino sui socialisti italiani i quali, checché si possa dire di loro, sono pure italiani, cioè appartengono a un popolo affinato e reso cauto da secolari esperienze, e non terrebbero, credo, a titolo di onore di essere chiamati ‘membri dei Soviet’ “. (3)

Ne seguì un articolo dello stesso Croce, La guerra italiana, l’esercito e il socialismo, del 24 settembre 1917, ma che non fu pubblicato tempestivamente dal “Giornale d’Italia”, lasciando come un “oscuro presentimento” di quel che stava per accadere, e cioè la disfatta di Caporetto ( 24 ottobre 1917 ), attestando piuttosto la attualità, e necessità, di segnare “La Riscossa”, con le nobili Parole di un italiano, sempre nel “Giornale d’Italia” del 5 novembre 1917, parole poi riprese come messaggio agli italiani da quasi tutti gli altri giornali nazionali. – “La guerra, che finora, agevolata da talune condizioni internazionali, solo in parte era nostra, ora si fa veramente nostra. Questo tutti gli Italiani sentono con cuore tumultuante. Ma io vorrei che un pensiero austero ci riempisse tutti: il pensiero che il nostro fine prossimo ed urgente non deve essere già quello, generico, di vincere, ma l’altro, specifico, di resistere, e combattere. Perché vi sono momenti nei quali vittoria o sconfitta diventa, dinanzi all’onore nazionale e alla dignità di uomini, cosa secondaria. Una vittoria facile è una sconfitta morale e reale; ma persino una sconfitta, aspramente contesa, è una vittoria altrettanto morale quanto effettiva. Per questo, a noi non spetta, ora, confortarci in immagini di vittorie, e fantasticare su possibilità, ma solamente, con animo concorde, con animo feroce, come dicevano i Romani, volere la cacciata del nemico dal nostro suolo, e tendere tutte le le forze a quest’unico fine.

Tristi dottrine hanno ingannato alcuni del nostro popolo sulla dura realtà della vita e della storia; e non è valso a disingannarli in tempo il chiaro esempio che veniva dai paesi stessi che di tali dottrine erano stati fucina, dove coloro che adornavano di parole l’internazionaliusmo e il pacifismo, coltivavano nel fatto il più rigido nazionalismo, stringendosi attorno ai troni dei loro sovrani, a danno degli altri popoli. Ma gli estremi residui di coteste perniciose illusioni, di cotesti pratici tradimenti, vanno rapidamente sparendo, consumati dal fuoco della guerra, che, bruciando il peggio di noi ( e tra questo peggio anche gli affetti di parte ), ci ridà la pura, la religiosa coscienza di uomini che difendono cose sacre, e che sanno che la potenza del difenderle è tutta in loro stessi, e che dell’uso di questa potenza saranno chiamati a rispondere nel giudizio dei posteri.

Se questo pensiero solamente ci occuperà, guidando e afforzando l’opera nostra, avvenga quel che avvenga, sicuramente vinceremo”. (4)  Neutralismo e amor di patria, dunque; decisa critica dell’internazionalismo predicato a parole e del falso pacifismo; invito alla riflessione sul senso comune e il patrimonio comune di coltura per i partiti socialistici; avvertimento del fatto che ci possono essere “vittorie facili” ma inani e vuote, e persino “sconfitte” tremende ma combattute con onore e tali da farci ricordare il “furore romano” della riscossa; e, infine, classismo nella nota polemica su “La Guerra e la borghesia”. Questo appare il campo della posizione etica e politica del Croce nella drammatica prova della Prima guerra mondiale, e del deprecato coinvolgimento in essa delle sorti italiane. Naturalmente, non vanno sottaciute tutte le altre ragioni e situazioni di dibattito  e memoria storica: il ricordo di tanti poeti e letterati e amici caduti sul fronte italiano; la discussione a proposito del “tradimento degli intellettuali”, La trahison des clercs, che avevano soppiantato o soggiogato non le persone ma i valori stessi universali dell’arte e della filosofia a squallidi interessi economici e pragmatici ( tesi esposta dal francese Julien Benda ); la critica stessa della superficialità e incultura della Massoneria, in quegli anni assai presente.

Comunque sia di ciò, vale bene restituire – in una visione globale e complessiva del dibattito – la posizione del giovane socialista andriese Alfonso Leonetti ( Andria 1895 – Roma 1984 ), già collaboratore di giornali di combattimento fondati e diretti da Amedeo Bordiga e promotore del comitato “Un soldo al soldato”, creato per solidarietà con in compagni impegnati al fronte, oltre che autore del foglio locale antimilitarista e neutralista “L’Energia” ( 1914 ), quindi della biografia Da Andria contadina a Torino operaia. Un giovane socialista tra guerra e rivoluzione  ( Argalìa, 1974 ) e degli Studi su Gramsci ( ivi 1970 ). Ora, Leonetti sùbito oppose alla osservazione e  discussione crociana a proposito del ruolo delle classi sociali durante il conflitto, e relativi pregiudizi, un articolo dal titolo Obbedire e comandare, apparso su “L’Avanguardia” di Milano diretta da Amedeo Bordiga del 25 novembre 2017, in cui ribaltava la affermazione di Croce, esser più comodo l’ufficio dell’ubbidire che non la responsabilità doppia del comandare ( pagando la borghesia due volte, la prima con il cervello, la seconda con la militanza ); essendo vero invece il contrario. (5)

Questo tassello, sconosciuto o malnoto, dei rapporti Croce – Leonetti è il primo passo per la successiva e importante occasione storica d’incontro tra i due grandi esponenti del liberalismo postrisorgimentale ( Croce ) e del socialismo antibellicista e internazionalista ( Leonetti ). Il secondo passaggio sarà di cinque anni dopo, ricordato poi da Leonetti nei suoi più distesi volumi autobiografici o ideologici, allorché lo studioso e militante andriese compose la prima antologia del pensiero di Lenin, “Pagine immortali”, per i tipi della Editrice Facchi di Milano, antologia che il Croce volle puntualmente recensire nel fascicolo della “Critica” del 20 settembre 1921. “Futurum docebit”, dice Croce, negando “immortalità” al pensiero di Lenin, ma trovando sul terreno della “fede”, tradotta in “azione”, il segno della statura politica del Lenin, e che ha lasciato impronta di sé nella “storia”. Ma il “Futurum docebit” è un esempio principe del carattere “prospettico” del giudizio storico, alla stregua di alcuni giudizi esposti più tardi da Rosario Romeo a proposito del processo dell’Italia liberale e della sua coscienza nel Piemonte Sabaudo.

 Il terzo esito della influenza o relazione reciproca Croce-Leonetti, è quello che segue all’espulsione dei cosiddetti “tre compari” ( Leonetti, Tresso, Ravazzoli ) dal Partito comunista, fondato a Livorno nel 1921. La espulsione della classe dirigente “alternativa” a Togliatti e alle vicende note per “L’Oro di Mosca” ( Valerio Riva ), fu contestata fino alla fine, anche dopo la riammissione nel Partito, dal Leonetti, in vivace e puntiglioso contraddittorio con i “cardinalizi” Amendola e Tortorella e con il “sovietico” Longo. Ed è, la risposta di Leonetti, tutta ragionata sul rilancio del motto ‘liberale’ critico verso ogni supino inchino al Potere e verso l’accettazione del conformistico “Il mondo va verso..” ( ‘La storia è andata verso lo stalinismo; e dunque basta dissenso’, gli obiettavano perfino i cosiddetti ‘miglioristi’ e ‘compagni’ comunisti, in primis primis Giorgio Amendola ). Nel ’33, Croce aveva segnato un proprio profondo “Orientamento”, contro l’accettazione del fatto compiuto e la cultura della resa, prima nel libretto edito da Gilardi e Noto di Milano poi nella “Critica”; e io ebbi modo di riprenderla sugli scudi della “Rivista di studi crociani” ( 1976/I, pp. 1-30 = “Non fu sì forte il padre”. Letture e interpreti di Croce, Galatina 1978, Parte Prima ). (6) Era la lezione espressa con valore testimoniale da Mario Pannunzio, nel proprio Congedo e ne La risposta di Croce ( “Il Mondo”, n. 890, XVIII, n. 10, 8 marzo 1966 ).

Sic vos, non vobis ! Alla fine, la lezione umanistica e il rifiuto di obbedire o sacrificare ad alcun Moloch totalitario risultarono vincenti nella testimonianza di Leonetti ( prefazione a Una piccola pietra di Emilio Guarnaschelli, Garzanti 1983; Italiani vittime dello stalinismo.Edmondo Peluso, “Il Ponte”, 1975, pp. 665-670; memorie di Pierre Broué, Feroci, Souzo, Martin, Leonetti Alfonso, in “Belfagor”, 1985, pp. 675-682 ).

 Ma attorno a sé Leonetti aveva tanti giovani, socialisti e anarchici, di terra di Bari, che non vanno dimenticati, e sulla cui attività intendo lanciare lo sguardo.

Intanto, va detto che il 31 luglio 1914 fu assassinato a Parigi il leader dei socialisti francesi Jean Jaurès, ad opera di nazionalisti. L’iniziativa antibellica si diffuse nel Mezzogiorno d’Italia e nel resto della nazione. Gli Archivi del Ministero degli Interni consentono di rintracciare nomi e figure rappresentativi di quella vicenda storica. Luigi Rainoni, nato in Andria da genitori svizzeri, è indicato da Angelo Pesce, Prefetto di Bari, come uno dei principali ideatori dell’iniziativa contro la guerra. Nicola Modugno ( Andria 1895-1958 ), un bracciante di Andria, sarà “tra i protagonisti più tenaci nell’opposizione antibellica” ( v. Piccola Posta. Nicola Modugno, in “Il Socialista”, diretto da Amedeo Bordiga, del 10 settembre 1914 ). (7) Modugno, a soli quindici anni, è già Segretario amministrativo del Comitato Esecutivo della Federazione Giovanile Socialista pugliese; dal 1910 collabora, con Leonetti, alla “Avanguardia” di Milano, sempre fondata e diretta dal Bordiga; e dal 1911, alla “Soffitta”, altro giornale rivoluzionario del Partito Socialista; oltre che al “Socialista” di Bordiga e a “L’Energia” di Leonetti (1914-1915 ). (8) Bisogna però notare che alcune iniziative dei giovani socialisti pugliesi, inizialmente tendenti a fusioni o assimilazioni con i giovani anarchici, iniziative tra le quali spiccarono i moti di giugno 1914 contro le “compagnie di disciplina”, furono criticati da Gaetano Salvemini, dato il loro esaurirsi “in un conato incoordinato e sterile”. (9) Mentre, nonostante la forte e repressione e vigilanza del nuovo Ministro Orlando con direttiva ai Prefetti del 4 novembre 1916, il Modugno non si asteneva dal fomentare: “Compagni ! Come vedete, viviamo sugli aghi ! (..) Che fare ? Agire e senza indugio. Per queste ragioni vi chiamiamo a raccolta”. Così, nell’appello di Nicola Modugno Alle forze sovversive della Puglia Rossa, del 9 maggio 1916. Si badi che Bordiga si batteva generosamente per una piena fusione internazionalista di socialisti e anarchici, fino agli appelli del 20-22 dicembre 1919. Mentre Antonio Gramsci, prudentemente, distingueva: ‘ Ognuno al suo posto, per ora. Poi, quando e se sarà necessario, si farà l’unione ‘, è la sintesi del suo complesso pensiero. (10) E’ la parabola, ma vissuta all’incontrario, della generazione precedente, tra Carlo Cafiero Andrea Costa e Michele Bakunin ( “videoandria”, 12 maggio 2019 ).

Qui, e ora, gli anarchici che animano la scena e gli schedari della Prefettura, sono rintracciabili in: Manlio Spiridione, di Barletta ( 1889-1918 ); Francesco Sforza, di Corato ( di cui non si ricostruisce ancora la vicenda  ); Ernesto Tarantini ( pure di Corato, dove nacque il 1895 ); Leonardo Di Bari ( Andria, 20 gennaio 1895 ), barbiere, trasferitosi negli USA e segnato nelle schede delle forze di polizia per aver sobillato alcuni minatori in uno sciopero del Minnesota; Michele Liso, sempre di Andria, non schedato; Vincenzo Mucci ( Andria 1892-Roma 1988 ), contadino andriese, subentrato a Nicola Modugno come nuovo Segretario amministrativo del Comitato Esecutivo della Federazione Socialista Pugliese, pugnace “disfattista” che lanciò una sottoscrizione per la difesa di compagni in carcere ( avendo come avvocati Leone Mucci e Giuseppe Emanuele Modigliani  ), aggredito dai fascisti e rifugiatosi nella campagna di Monte Carafa, aderente al Partito Comunista nel 1921, e dopo il tragico episodio dell’assassinio delle sorelle Porro nel marzo 1946 ( in cui la folla inferocita, esasperata dalla fame e da un comizio di Giuseppe Di Vittorio, si scatenava in quello che Corrado Alvaro chiamò L’eccidio di Andria ), divenuto anche Sindaco di Andria nel 1950, alla caduta del Sindaco Antolini, con attenzione per l’ intesa con la minoranza democristiana capeggiata dal senatore Onofrio Jannuzzi; ed ancora Carlo Tresca, di origini abruzzesi, anch’egli emigrato negli Stati Uniti d’America, fino a rischiare la pena di morte per aver partecipato a scioperi di operai e minatori. (11) Nicola Modugno, per parte sua, sempre attivo, fu denunciato e arrestato nel gennaio del 1918 per “disfattismo”; condannato dal Tribunale di Trani il 26 febbraio 1918, ad alcuni mesi di reclusione; ma richiamato alle armi ed assegnato prima al battaglione di stanza a Barletta quindi al 17° battaglione di stanza all’Asinara, in Sardegna. Risulta anche, ferito, ricoverato all’Ospedale di Sassari. Forse e senza forse, molti altri tasselli sono da reperire in una ricerca slargata di avvenimenti, ideologie, fedi, moti, iniziative, avanzamenti e riprese, entusiasmi e abbattimenti o ripiegamenti, purché nell’arco della storia etico-politica che intenda correttamente approcciarsi anche alle vicende di contrasti e lacerazioni, nella consapevolezza che i ‘maestri’ sanno interpretare le istanze “dei deboli e degli oppressi” ( come disse Croce negli anni del regime a un suo interlocutore e e seguace ). (12) In una nota del 1945 a proposito di Socialismo e liberalismo, pubblicata nei “Quaderni della Critica”, il Croce auspicava “Lis finita est”, a determinate condizioni  di rispetto per la dignità e la libertà dell’uomo, che saranno poi congeniali al pensiero di Domenico Settembrini e Luciano Pellicani ( Ruvo di Puglia 1938-Roma 2020 )..

Giuseppe Brescia – Società di Storia Patria per la Puglia – Andria

(1) Pagine sulla guerra uscì in prima edizione a cura del segretario ( all’epoca ) di Croce, Giovanni Castellano, per i tipi della Ricciardi, Napoli 1919; quindi negli “Scritti vari” di Croce, Bari 1927; e 1949, da cui cito ( per l’ “Avvertenza”, pp. 3-5 ). Cfr. Edmondo Cione, Bibliografia crociana, Bocca, Torino 1956; Fausto Nicolini, Croce, UTET, Torino 1960; Raffaele Colapietra, Croce e la politica italiana, Edizioni del Centro Librario, Bari-S. Spirito 1969-1970, voll. I-II con “Indice dei nomi”; Antonio Jannazzo, I mistici e la grande guerra in Le politiche dello storicismo, Carucci, Assisi 1972, pp. 55-69; Giuseppe Brescia, Croce inedito. 1881-1952 , SEN, Napoli 1984, passim.

(2) Cfr. Giuseppe Brescia, “Andria Fidelis”. Quaderni di storia andriese, Andria 1982 e Croce inedito, cit., alla Sezione Benedetto Croce Giuseppe Ceci e Giustino Fortunato.

(3) L’Italia dal 1914 al 1918. Pagine sulla guerra, cit., pp. 214-218.

(4) L’Italia dal 1914 al 1918, cit., pp. 218-226 e 229-230.

(5) Cfr. Edmondo Cione, Bibliografia crociana, cit. , “Bibliografia degli scritti su Benedetto Croce”, all’ anno 1917.

(6) Miei scritti sul Leonetti sono: Alfonso Leonetti nella storia del socialismo, Sveva Editrice, Andria 1994, con Documenti inediti; Leonetti torna dalla Francia in Vico e Croce, Laterza, Bari 1998; Il Purgatorio di Arthur Koestler ( Trotsky Leonetti e Valiani testimoni ), “videoandria.com”, del 1° agosto 2015 = I conti con il male. Ontologia e gnoseologia del male, Laterza, Bari 2015, pp. 317-330 e “Habeas animam”. Koestler e Leonetti, in I conti con il male, cit., pp. 311-316; Alfonso Leonetti, in “videoandria.com”, 3 dicembre 1917, poi con il titolo Guise del tempo e della libertà. “Marx possibile” e “Libertà indivisibile”, in Generazioni del Tempo, Matarrese, Andria 2018, pp. 121-135. – Ma l’attenzione al pensiero di Leonetti è costante, anche per le riprese di La lotta politica meridionale e l’itinerario di Leonetti, in “Prospettive Settanta”, fondata e diretta da Giuseppe Galasso, 3-4/1990,, pp. 550-564, e gli orientamenti forniti al giovane ‘allievo’ Gabriele Mastrolillo.

(7) Cfr. Ruggiero Maini, Alfonso Leonetti collaboratore del ‘Socialista’ diretto da Amedeo Bordiga, “Il Ponte”, 9, 1975, pp. 985-991.

(8) Alfonso Leonetti, Da Andria contadina a Torino operaia, cit., pp. 49-51. Cfr. Daria De Donno, 1916. I giovani socialisti rivoluzionari per l’ ‘unione dei reietti e dei bastardi’ contro la guerra, negli “Itinerari di Ricerca Storica”, a. XXXII/2018, n. 2, pp. 1-20: ricerca cui sono debitore di alcune notizie.

(9) Gaetano Salvemini, Una rivoluzione senza programma, in “L’Unità”, 19 giugno 1914.

(10) Antonio Gramsci, Sotto la Mole. I blocchi, in “Avanti !”, Torino, 10 giugno 1916.

(11) Cfr. M. Magno, Galantuomini e proletari in Puglia , Bastpgi, Goggia 1980; Simona Colarizi, Storia del Novecento italiano, Rizzoli, Milano 2000; Sara Di Bernardo, La poesia dell’azione. Vita e morte di Carlo Tresca, Angeli, Milano 2012; pubblicistica di Vito Antonio Leuzzi.. dell’ Istituto pugliese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea.

(12) In una nota su  “Quaderni della Critica” del 1945 ( fasc. II, p. 110 ), a proposito di “Socialismo e liberalismo”, il Croce scriveva: “Ma se il socialismo non sarà più angustamente ristretto alla classe operaia, se esso correggerà o abbandonerà le teorie marxistiche, se si amplierà di nuovo a movimento umano e liberale o democratico che si dica, come era nelle sue origini, lis finita est, e socialismo e liberalismo confluiranno”. Cfr. Benedetto Croce, “Per invigilare me stesso”, a cura di Gennaro Sasso, Il Mulino, Bologna 1989, p. 108; Giuseppe Brescia, Croce nel mondo, Laterza, Bari 1999, p. 40, a proposito dello “stare dalla parte dei deboli e degli oppressi”; e Generazioni del tempo, cit., p. 128, all’interno del citatoe ampio saggio “Marx possibile” e “Libertà indivisibile”. Ma v. anche: Raffaello Franchini, Croce il socialismo e la libertà, in “Rivista di studi crociani”, gennaio-marzo 1972, p. 120; Sandro Setta, Benedetto Croce e la ‘sinistra’ liberale nel carteggio con Leone Cattani. 1947-1948, in “Storia contemporanea”, XIX/1 ( febbraio 1988), pp. 115-142; e il compianto Antonio Jannazzo, Il liberalismo italiano del Novecento. Da Giolitti a Malagodi, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, p. 40.