In principio fu il libro. Battle Royale, di Koushun Takami 1999, romanzo best seller in Giappone, narra di un futuro distopico in cui i ragazzi di una classe liceale vengono prelevati e portati in una arena dove devono uccidersi l’un l’altro finché rimane un solo vincitore. Agghiacciante. Ne segue un film con Takeshi Kitano nel 2000, altrettanto cupo e drammatico, blockbuster in Giappone, vietato in altri Paesi.

Successivamente tra il 2008 ed il 2010, non senza qualche debito, Susan Collins pubblica la trilogia di Hunger Games, best seller negli USA. In un futuro distopico lo stato Panem è diviso in tredici distretti schiavizzati che forniscono materie prime ai dominatori ipertecnologici di Capitol City. Per soggiogare le popolazioni e ricordare la guerra che determinò questo stato di cose e la distruzione del Distretto 13, ogni anno vi si celebrano dei giochi come i combattimenti tra gladiatori nell’antica Roma. Due ragazzi scelti a sorte in ogni distretto si sfidano all’ultimo sangue, con armi sono poste al centro di un’arena chiusa da un cupolone, controllata dal regista dei giochi e cosparsa di videocamere. Il set ricorda il Truman show, antesignano del Grande Fratello, perché ogni cosa che avviene è in diretta, per il pubblico ludibrio degli abitanti di Panem. Ai romanzi seguono i film, di grande successo negli USA tra gli adolescenti, che hanno lanciato Jennifer Lawrence e l’icona di Katniss ragazza guerriera, poi ampiamente ripresa, ad esempio nel personaggio di Ray, dell’ultima trilogia di Star Wars.

Ha queste origini l’idea di un videogioco in modalità Battle Royale in cui i giocatori si sfidano combattendosi l’un con l’altro, con armi che trovano in loco, sotto una cupola che si restringe sempre di più, per cui evitare gli avversari diventa impossibile: è Fortnite Battle Royale. Se da un lato il libro giapponese era agghiacciante e violento, quello americano sfociava in una guerra di liberazione dei tredici distretti contro l’occupante, con evidente richiamo alla Guerra di Indipendenza Americana, dall’altro Fortnite ha un’ambientazione allegra e fumettosa, che gli vale una classificazione PEGI12. È vero che i giocatori si sparano, ma non c’è alcuna traccia di sangue e gli eliminati sono istantaneamente rimossi, lasciando solo il proprio armamentario al saccheggio del vincitore. La luce è da commedia brillante, i colori sono più che accesi, le musiche allegre, i vestiti carnevaleschi, i balletti buffissimi, il tutto pensato per un’utenza dai dodici anni in su. Fortnite ha spiazzato il mondo del videogame perché, forte delle connessioni di rete sempre più potenti, consente l’interazione simultanea di cento giocatori reali che, a seconda del tipo di partita possono essere tutti contro tutti o alleati in squadre di due o quattro. Nel caso la vittoria è di squadra ed i giocatori, dotati di cuffie e microfono interagiscono e si coordinano in tempo reale. Il gioco acquisisce così aspetti cooperativi oltre che competitivi. La novità è significativa, da decenni si gioca a sparatutto, con le console si riesce anche a fare una squadra di quattro, ma bisogna essere nello stesso ambiente e giocare contro intelligenze artificiali, contro il computer. In genere poi, gli sparatutto perseguono il realismo, ricostruiscono missioni, ambienti, armamenti degli ambienti di guerra emulati; la fotografia è cupa, il taglio di luce drammatico, le esplosioni terrorizzanti, i combattimenti cruenti, ai limiti dello splatter. Nella maggior parte dei casi la missione da completare forza a seguire un percorso determinato, più o meno vincolante, senza lasciare troppa libertà al giocatore. Tra i titoli più famosi ricordiamo Doom, Delta Force, Medal of Honor, Call of Duty, Battlefield. Su questo filone, missioni da compiere, nemici programmati, toni un po’ cupi si colloca anche Fornite Salva il Mondo, modalità a pagamento in cui l’obiettivo è uccidere un’orda di zombie che ha invaso la Terra, gioco non particolarmente originale la cui peculiarità è raccogliere materiali per costruire armi fortini con cui difendersi.

La chiave del successo è stata invece la modalità già citata, in cui ci si paracaduta da un bus su un’isola completamente aperta, si trovano armi, cure, trappole, materiali in quantità e si combattono i nemici alla bisogna o andandoli a stanare, a seconda delle preferenze del giocatore. L’isola è circondata da una tempesta storm, il cui arrivo danneggia sempre più gravemente la salute del giocatore e che si stringe per cerchi casuali, non concentrici, fino a spazi ridottissimi. I tempi sono prestabiliti, per cui una partita non dura mai più di 25 minuti, anche meno, se si eliminano gli avversari prima. In caso di sconfitta si può seguire la partita come spettatore dei propri alleati o del proprio uccisore, se si gioca da soli: è il momento del balletto! Chi vince uno scontro ne può fare uno o più, a scelta tra decine, sapendo che lo sconfitto lo guarderà. È un momento di allegria con un pizzico di arrogante superiorità, come quella del ciclista che vince la volata con un margine di vantaggio tale da passare sul traguardo a braccia alzate. È anche un rischio pazzesco: spesso dopo uno scontro si sono persi punti vita e c’è un altro avversario pronto ad approfittarne. Balletto o meno, si continua a giocare, raccogliendo lootando armi sempre più forti, eliminando avversari, costruendo buildando fortini per proteggersi e curarsi, compiendo missioni o sfide particolari, il tutto con un occhio sempre alla storm, per non esserne risucchiato.

Il successo di Fortnite è strepitoso in tutto il mondo. Lanciato dalla Epic Games nel 2017, annovera oltre 350 milioni di giocatori ed un fatturato di miliardi di dollari, nel 2019 sono stati calcolati 3000$ al minuto. Il successo commerciale porta a chiedersi come possa guadagnare così tanto un gioco distribuito gratuitamente. Ancor più avendo fugato il primo dubbio: a differenza della maggior parte dei giochi per smartphone, non è un pay to win (pago per vincere). Così si definisce un’app che si scarica gratuitamente, è inizialmente facile da giocare, ma rapidamente la difficoltà diventa tale per cui se non si acquista l’arma, la vita aggiuntiva, il bonus, le gemme o quant’altro vincere diventa quasi impossibile, o estremamente lungo e penoso. In Fortnite le armi si trovano sull’isola, sono di livelli diversi, ma il ritrovamento è casuale e ad ogni partita si riparte da zero. Il business è nel vendere estetica, non funzionale al gioco, ma funzionale alla socialità che dal gioco deriva. Ogni giocatore veste il proprio personaggio con costumi skin, zainetti, picconi (per raccogliere i materiali), deltaplani (per atterrare) coperture (per personalizzare le armi ed i mezzi) disegnati appositamente, lo dota di balletti e musiche, da mostrare agli amici. Ovviamente c’è una dotazione gratuita per iniziare, altri possono essere conquistati, facendo delle missioni all’interno del gioco, avendo comprato un pass per una modica cifra, ma il grosso deve essere acquistato. Se ne può fare sfoggio nell’attesa che anticipa la partita (sull’isola dello spawn) durante il game stesso, nella riproposizione sui social dei game che possono essere registrati salvati e postati per rendere pubbliche le proprie abilità. Il modello non è originalissimo, anche Browl Stars consente di giocare gratuitamente con amici e di personalizzare a pagamento i personaggi, ma è pensato per smartphone, con partite di pochi minuti ed al massimo una decina di giocatori.

Su questo si è creato un indotto incredibile. Molti programmatori sviluppano skin e balletti o ambienti nella modalità creativa e li pubblicizzano su Youtube. Molti giocatori forti, o anche solo simpatici, hanno creato canali Youtube dove postano video di partite, o di consigli su come affrontare le missioni, o su curiosità di cui il gioco è pieno. I più famosi ne hanno fatto un mestiere redditizio, sono celebri come cantanti, hanno milioni di follower e sono un must per i giovanissimi. Cicciogamer89 valse al ministro Elsa Fornero, che non lo conosceva, un silenzio imbarazzato in un’intervista televisiva. I termini utilizzati nel gioco, tratti dall’inglese ed orribilmente italianizzati, stanno entrando nel linguaggio quotidiano di una generazione, rilanciati dal successo di parodie, in chiave Fortnite, di canzoni popolari. Inoltre, il gioco si trasforma in un contenitore che ospita altri personaggi mediatici, in concomitanza con l’uscita di film, come Batman, Star Wars o Deadpool della Marvel, o crea esso stesso eventi mediatici per la conclusione delle proprie stagioni. Il concerto di Travis Scott, all’interno del gioco ebbe 12 milioni di follower. Alla conclusione della decima stagione un meteorite, in diretta Youtube, distrusse l’isola di Fortnite, lasciando lo schermo nero. Dopo ore, decine di migliaia di spettatori in tutto il mondo erano ancora collegate, aspettando che succedesse qualcosa… Tutto questo crea un fenomeno di costume, conosciuto e condiviso da una generazione, che trascende il gioco ed invade altri ambienti: balletti di Fortnite si sono visti fare da calciatori durante partite di Champions League.