Il film di Gianni Amelio, con la straordinaria interpretazione di Pierfrancesco Favino che “reincarna” Craxi alla perfezione, è un’occasione mancata, sul piano del verisimile filmico, per cominciare a fare i conti non tanto con la dolorosa vicenda personale di Bettino, quanto con quel drammatico passaggio della storia politica italiana che ha avuto il suo culmine nel “volontario” esilio dell’ex leader socialista e presidente del Consiglio.

Il film di politica parla poco e forse volutamente per non avventurarsi su un terreno complesso.

Ma è arrivato il momento per l’Italia di fare i conti con quella stagione che cancellò nel volgere di pochi mesi e per via giudiziaria un’intera classe politica, distruggendo partiti che erano stati l’ossatura della democrazia post-bellica scalfendo di poco l’allora Pci/Pds e creando un deserto che ha aperto la strada all’affermarsi dell’antipolitica e di vari populismi.

La Prima Repubblica agli inizi degli anni Ottanta aveva bisogno di una radicale messa a punto. La coabitazione forzata tra Dc e i 4 partiti laici (Psi, Pri, Pli e Psdi) era inevitabile per la persistenza nel Pci di forti residui di un passato che, se non fosse stato per Gorbaciov, avrebbe continuato a vivacchiare. Craxi era tra i leader politici, dopo la scomparsa di la Malfa e di Moro, quello che aveva la maggiore sensibilità per il rinnovamento della Prima Repubblica. Dopo aver coraggiosamente eliminato il pernicioso meccanismo della scala mobile che ci aveva portato ad un’inflazione del 22%, Craxi aveva prefigurato una Grande riforma istituzionale che però rimase lettera morta.

Il pentapartito gestì un periodo florido per l’economia nazionale ma si avviluppò su stesso, paralizzandosi in lotte intestine di potere e di leadership. Epici erano gli scontri continui tra Craxi e il leader Dc De Mita. In questo scenario si inserì un duplice fenomeno: una dilagante corruzione e uno spropositato afflusso di finanziamenti illeciti ai partiti. Si trattava di due diverse patologi che finirono per essere messe insieme, facendo d’ogni erba un fascio: e così qualsiasi finanziamento illegale ai partiti sembrò automaticamente una forma di corruzione della vita politica.

L’agguerrito pool di Mani Pulite della Procura di Milano ebbe il merito di scoperchiare il vaso di Pandora della “mala-politica” ma lo fece con metodi discutibili, con un furore giustizialista e inquisitorio che da attività giurisdizionale diventava a volte attività politica. Una certa benevolenza di cui furono beneficiari alcuni personaggi del Pci/Pds gettò un’ombra di parzialità inammissibile sulla magistratura e contribuì ad avvelenare ulteriormente gli animi.

L’Italia aveva conosciuto nei decenni precedenti varie inchieste di corruzione della politica. Ma mai queste inchieste avevano avuto un impatto così esteso e così pervasivo. Si ebbe l’impressione che non questo o quel politico, non questo o quel partito ma l’intero “sistema” era corrotto, a parte il Pci/Pds.  I partiti che fino ad allora avevano, con maggiore o minore nobiltà, governato furono bombardati da inchieste condotte con metodi che spaventarono tutti. Ci fu chi per non aver registrato un finanziamento finito nelle casse del partito fu ammanettato durante le nozze della figlia, come un pericoloso narcotrafficante.

La Prima Repubblica che poteva riformarsi dall’interno fu spazzata via dall’esterno e i partiti terrorizzati dal tintinnio di manette si sciolsero come neve al sole. Craxi, al di là degli esiti dei processi che lo videro condannato in via definitiva e in contumacia ebbe il coraggio di ammettere in Parlamento che il suo partito aveva ricevuto finanziamenti illeciti e che questo era successo a tutti gli altri. Una cosa simile aveva fatto l’integerrimo Ugo La Malfa quando negli anni Settanta scoppiò lo scandalo dei soldi dati ai partiti dai petrolieri. La Malfa non si vantò di averli presi ma disse che lui e solo lui era responsabile per il suo partito di quei finanziamenti che non avevano avuto alcun peso nelle scelte politiche del nobile Pri.

I tempi erano diversi: all’epoca di La Malfa non c’era ancora la legge sul finanziamento pubblico dei partiti, mentre Tangentopoli scoppiò proprio per le violazioni delle norme su questa materia. Ma se il discorso di Craxi avesse portato tutti ad ammetter subito gli errori e a modificare rapidamente le norme per renderle più severe, forse le inchieste del pool di Milano avrebbero avuto un impatto diverso. La politica si dimostrò debole e inetta e arretrò facendosi distruggere. Craxi commise l’errore imperdonabile di andare all’estero e di non affrontare con la sua abituale temerarietà il rischio delle carceri italiane dalle quali, scontando le pene, avrebbe potuto continuare ad esercitare un ruolo di critica autorevole a certe degenerazioni. Forse avrebbe salvato una buona parte della Prima repubblica e anche la sua vita.

Hammamet è diventato il simbolo di una fuga sdegnosa di un uomo orgoglioso che si è sentito -a torto o a ragione- vittima di una giustizia iniqua e non uguale per tutti e ha trascinato nella desolazione personale di Craxi anche quel poco di credibilità che la Prima Repubblica avrebbe potuto continuare ad avere.

A distanza di quasi 30 anni dalla fuga ad Hammamet, l’Italia ha oggi il finanziamento privato della politica, con Fondazioni che veicolano solidi ai partiti in maniera poco trasparente; ha un tasso di corruzione più alto di quello del 1992 e con una diffusione di massa che all’epoca di Mani Pulite era impensabile, è priva di partiti solidi che siano il riferimento stabile e credibile dell’opinione pubblica.

Per questo Hammamet non è solo il simbolo di uno sdegnoso autoesilio di un leader che si è voluto sottrarre ad una giustizia da lui ritenuta iniqua ma è anche l’emblema  di una parabola discendente di una politica che invece di rinnovarsi, ammettendo i propri errori, si è sfarinata concedendo invasioni di campo inaccettabili ad alcuni magistrati, aprendo la strada al populismo e avviando l’Italia verso un declino non solo economico ma anche culturale, sociale e politico da cui non ci salveranno né i moderni Torquemada da strapazzo, né i demagoghi avventati, né i sovranisti pronti renderci vassalli dei potenti di turno.