Quando una donna manifesta disappunto in modo energico, alza i toni o non si rapporta all’uomo in modo sottomesso e condiscendente, da sempre si sente dare “dell’isterica”. Questa è una delle tante etichette che tutt’oggi ci viene appiccicata, e si tratta di un retaggio lontano, generato dai pregiudizi maschili, non per niente l’isteria è stato il primo disturbo mentale attribuito solo alle donne. Un cliché ormai consolidato, che vede la psicologia come strumento per ottenerne la liberazione, peccato che isteria e femminino non coincidano, chi glielo dice a Freud?

Si purtroppo, da donna, lo ammetto che possedere un utero non sia cosa semplice, ci sono delle giornate in cui non ci sopportiamo, siamo sensibili come corde di violino e reagiamo per un nonnulla, ma da qui a dire: “Hai le tue cose?” per giustificare certi atteggiamenti è riducente, come se la nostra capacità di discernimento, la nostra complessa  personalità dipendessero da quello che succede nella nostra pelvi.

Questo atteggiamento tutto maschile nasconde secoli di pregiudizio, pseudoscienza e misoginia: l’“isteria” è una malattia inventata per ridimensionare, imprigionare e rendere “sbagliata” la condizione femminile. Il termine “isteria” deriva dal greco hysteron, che significa utero. Secondo Ippocrate, è l’utero la causa di tutte le malattie delle donne; egli lo ritiene un corpo asciutto e cavo, predisposto ad assorbire liquido, che espelle con il sangue mestruale. Per questo la donna avrebbe continuamente bisogno del coito, che ha la funzione di riequilibrarne l’umidità. Quando questo bilanciamento viene meno, l’utero provoca, sempre secondo Ippocrate, dolore, sensazione di soffocamento e di confusione mentale. Questa sintomatologia “accade soprattutto nelle donne che non hanno avuto rapporti sessuali e in quelle anziane”. Grazie a questa interpretazione adattata ad hoc, per la medicina l’isteria divenne una malattia esclusivamente femminile, che provocava convulsioni, paralisi, ansia, depressione, mancamenti, e quest’idea rafforzò la misogina. Dalla fine del Medioevo e per tutto il Seicento, fu associata alla stregoneria e i suoi sintomi erano prova della possessione demoniaca.

Nell’Ottocento le cause ginecologiche, considerate finalmente fantasiose, vennero abbandonate e si iniziò ad indagare quelle neurologiche. Erano gli anni del Positivismo, e la separazione tra mondo il maschile e femminile fu sancita in modo netto sulla base di principi “naturali” e “biologici”.

Sigmund Freud ricondusse l’isteria alla repressione del desiderio sessuale, eliminando definitivamente le teorie legate all’utero. Egli fece ricerche su pazienti di entrambi i sessi, ma stabilì che si trattasse di una malattia prettamente femminile, perché la repressione del desiderio è associata al ruolo sociale della donna.

È stata quindi la Psicoanalisi a liberare l’isteria da implicazioni organiche e a legarla alla sessualità.  Nell’Ottocento i medici curavano i suoi sintomi con la tecnica della masturbazione clitoridea o vaginale, cioè il massaggio dei genitali con conseguente parossismo isterico (non denominato orgasmo, che non veniva riconosciuto come tale, poiché si credeva che la donna non provasse piacere, a tal proposito consiglio di vedere il delizioso e ironico film americano del 2011,  “Hysteria”, che racconta il tema in modo leggero) e questa pratica fu molto in voga in Europa e negli Stati Uniti nell’epoca vittoriana. Il vibratore fu uno strumento elettromeccanico medicale inventato proprio verso fine ‘800 per curare (non certo per procurare piacere) i sintomi isterici. Le pazienti ideali erano le donne che non avevano rapporti sessuali abituali. Molte di loro venivano segregate in casa per mesi, quelle che manifestavano sintomi neurologici e psicotici come epilessia o depressione, venivano rinchiuse in manicomio o sottoposte a isterectomia e/o clitoridectomia. Nonostante gli studi psicologici, questa malattia continuò a essere diagnosticata e trattata medicalmente fino agli anni Cinquanta, quando fortunatamente le diagnosi di isteria crollarono a favore di quelle di depressione o di altre sindromi psichiatriche; nel 1980 la nevrosi isterica venne eliminata dal Manuale dei disturbi mentali, ma non sparì con essa il pregiudizio secondo cui le donne sarebbero unicamente guidate dal loro utero. Questo luogo comune radicato si fece sentire in molti ambiti, persino quello politico; questa argomentazione fu usata contro il suffragio femminile, perché le donne  erano considerate instabili nelle scelte e quindi non potevano votare. Una vergogna tutta italiana permise che fino al 1963, la donna non potesse accedere al concorso per la carriera in magistratura, perché: “è fatua, leggera, superficiale, emotiva, passionale, impulsiva, testarda, approssimativa sempre, negata quasi sempre alla logica, dominata dal ‘pietismo’, che non è la ‘pietà’ e quindi inadatta a valutare obbiettivamente”.

 Traduzione semplificata: isterica.

La natura femminile è stata studiata e definita da principi e poteri esclusivamente maschili e per conseguenza maschilisti,  che hanno generato norme sociali e morali e creato il ruolo di subordinazione della donna. L’isteria è stata uno strumento di potere per radicalizzare l’inferiorità intellettuale, fisica e morale della donna, essenzialmente per rinchiuderla, controllarla e renderla malata a prescindere. Per secoli è stato più comodo dire “isterica” anziché indagare la complessità della psiche femminile. Questo atteggiamento non è superato, oggi assume forme nuove e più sofisticate: tutt’ora i medici sono inclini a descrivere il dolore nella donna con aggettivi come: “emotivo, di origine psicologica, isterico”. La diretta conseguenza è che agli uomini viene chiesto di elencare i sintomi fisici, alle donne di vedere lo psicologo o lo psichiatra.

I pregiudizi sono duri a morire e questo  gode di ottima salute, basti pensare ai luoghi comuni sulle mestruazioni, che ci vorrebbero tutte “isteriche” un tot di giorni al mese e che esorta gli uomini a starci alla larga in quel periodo, per non essere sbranati. Questa visione della femminilità relega il nostro modo di essere, indubbiamente portatore di qualche verità, ad una condizione di nevrosi, aggressività e desideri repressi, peraltro comuni anche ai maschietti, e sono ancora molti a credere che l’universo femminile sia gestito esclusivamente dagli “ormoni e dagli istinti misteriosi”. Dando dell’isterica ad una donna si sottintende che il suo modo di esprimersi, di essere, sia inficiato dal suo genere e che per lei non esista altra possibilità che essere imprevedibile e irrazionale, a causa dei suoi ormoni.

La storia dell’isteria dice tanto sul modo in cui da sempre viene considerata la sessualità femminile e di quanto di questo retaggio culturale ci portiamo dietro ancora oggi, in primo luogo ribadisce che piacere e desiderio per la scienza non esistevano fino al XX secolo, tanto da tirare in ballo la follia e che in molte culture attuali, come quella islamica deteriore, che trova recettive le masse dei paesi più poveri, il piacere femminile non esiste, anzi è un tabù, per questo si praticano  ancora infibulazioni, lapidazioni e il carcere tocca a che manifesta la propria sessualità. Etichettare è stato un modo per tenere a freno le donne, controllarle, condizionarle, considerate corpi di carne destinate al desiderio maschile, le femmine erano educate a non avere desideri sessuali e a rendere felici i loro mariti, diventando brave mogli e madri. Mi tocca constatare che questi significati non sono sorpassati; oggi, anche se l’isteria ha perso la valenza organica, i temi della sessualità, delle mestruazioni, della menopausa, cioè quelli che riportano all’utero, sono centrali nell’interpretazione del comportamento e dell’animo femminile. Per concludere questo percorso nei termini e nella sostanza, provocatoriamente suggerisco che le soluzioni possono essere due: o augurare ai maschietti di provare per qualche mese le sensazioni che essere donne significa e che bagaglio fisico ed emotivo si portano dietro, o infischiarsene delle etichette e dei pregiudizi sopravvissuti al passato, perché nell’essere donne e “isteriche” vi è una ricchezza di sensazioni, emozioni, sentimenti ed esperienze (dare la vita!) che a loro sono precluse e si sa, quando la volpe non può arrivare all’uva, dice che è acerba…