La posizione politica dei vincitori europei della seconda guerra mondiale, quando questa stava per concludersi era ancora profondamente legata ai vecchi schemi di una lotta politica fra potenze per l’egemonia: era intesa a rispettive rivendicazioni nazionali di potere ed alla conservazione di privilegi.

  Come venne valutato il problema del futuro istituzionale dell’Italia? Importante fu la posizione di  Churchill. Posizione che gli USA ad un certo punto avallarono senza grande convinzione; per compiacere l’alleato inglese, e perché davano per scontato che, tanto, alla fine a decidere il problema istituzionale italiano sarebbe stata una libera consultazione di popolo. Churchill condivideva una tale  impostazione di fondo del problema, ma volle subito politicamente impegnarsi per creare i presupposti di una vittoria referendaria della monarchia. Egli pensava che sotto la cappa tradizionale della monarchia si sarebbe costituito un regime il quale avrebbe consentito di tenere meglio d’occhio il Paese Italia. Con il quale, come nel periodo prefascista, sarebbe stato agevole un rapporto rispettoso della influenza politica inglese nel campo della politica europea. Pensò che la soluzione repubblicana sarebbe stata ben più’ dirompente rispetto a quella monarchica, ed aperta ad imprevisti.  Egli decise di mettere subito fuori gioco il più prestigioso esponente della politica estera italiana prefascista: Carlo Sforza. Repubblicano, personaggio di forte prestigio internazionale (l’uomo del trattato di Rapallo, un protagonista della politica estera italiana di prima dell’avvento del fascismo).  

Sforza, fine diplomatico, appassionato esegeta di Mazzini se pur su di un piano eminentemente letterario, a differenza di tale suo grande maestro ideale era munito di un grande spirito di concretezza. Campione dell’antifascismo liberal repubblicano aveva sostenuto una posizione fermamente antisabauda nel suo esilio americano. Ed aveva  attratto fra le altre la simpatia di Roosevelt, annunciandosi fra i sicuri protagonisti della futura scena politica  italiana postfascista.

 Proprio durante il suo avventuroso volo di ritorno in patria nell’ottobre 1943, gli venne imposto dopo uno scalo Prestwick in Scozia, di interrompere il viaggio, per una sosta a Londra era “convocato”, apprese, per un incontro con Churchill. Fu un incontro tempestoso. Fra un padrone di casa il quale dava per scontato di dover essere disciplinatamente obbedito, e chi non accettò da lui il tono altezzoso del vincitore.
  Il Conte Sforza, col suo linguaggio , con il suo stile politico di lunga data,  e con la sua fierezza infine, non si pose …a servizio. Ma accettò’ sul piano politico il principio che  il governo Badoglio il quale era posto del resto sotto la sorveglianza degli alleati andava sostenuto unitariamente da tutte le forze antifasciste. Nessuna rottura dunque coi principi dello Statuto Albertino, costituzione del Regno. Nell’interesse nazionale. Churchill (il quale a suo tempo aveva pur plaudito al successo del fascismo- ma quale fenomeno fuori Inghilterra-accettandolo in Europa quale  argine anti-comunista) riteneva la monarchia sabauda ormai riabilitata dal suo passato di connivenza fascista; e pensava che fosse il più’ quieto riferimento possibile per un Paese il quale non andava abbandonato verso la vittoria di un suo già forte partito comunista.

  Fece subito presente a Sforza per togliergli ogni illusione al riguardo, che quel loro colloquio era stato richiesto in pieno accordo con Roosevelt. E dettò condizioni per l’imminente svolgersi della politica italiana. Sforza assicurò di non essere impegnato nell’immediato per una caduta della monarchia, contro la quale aveva pur tenuto una forte polemica all’estero, ed  assicurò il suo pieno sostegno al governo Badoglio finché questo non avesse condotto il Paese ad eleggere liberamente i suoi governanti. Si impegnò’ in tal senso, sottoscrivendo un documento; e dovette scrivere negli stessi termini anche una lettera  a Badoglio, come gli venne richiesto. Ma ribadì’ che tanto valeva per garantire all’ Italia una pacifica governabilità. Fino a quando non avrebbe potuto prendere da se stessa le sue decisioni.

 Terminato il colloquio i due si lasciarono gelidamente.

 Churchill era sicuro che mantenendo l’asse politico Badoglio-Monarchia si sarebbe giunti in Italia ad un referendum facilmente vinto dalla monarchia. Sapeva oltretutto che nell’Italia meridionale- a quanto gli riferivano- poteva contare in tal senso su di una schiacciante maggioranza. Era questa anche l’opinione americana.

 Sforza contava invece sull’esperienza innovatrice della Resistenza; e fece buon viso a Badoglio come ad una soluzione temporanea per un governo che si reggeva su di un del resto dichiarato compromesso: sull’ accordo a governare assieme  fra schieramenti politici profondamente contrapposti , i quali anche sul piano internazionale- e soprattutto a proposito del duopolio antagonistico nel potere mondiale, USA ed  URSS- si trovavano su fronti politici opposti.

  Sforza, ch’era stato fra i più prestigiosi ministri degli Esteri della storia italiana prefascista, entrerà nel secondo governo Badoglio dell’aprile 1944….quale ministro senza portafoglio! Contro le troppo facili previsioni di Churchill ben presto tuttavia egli doveva volare alto : sarà Presidente della Consulta, e ridiverrà ministro degli esteri nel 1947. Nel 1948, munito di un forte prestigio internazionale nel dibattito europeista, rivedrà Churchill il quale tentò di rappattumare i cocci e chiese di incontrarlo. Perdute le elezioni politiche in Inghilterra, appena finita la guerra, lo statista britannico leccandosi tanto  dolente ferita stava cercando altri spazi di potere ed all’uopo s’era posto a vestirsi da entusiasta europeista.

  La valutazione che Sforza diede del personaggio Churchill in un suo appunto, dopo il predetto incontro, fu laconica: “è  facile governare un Paese in guerra, ma è difficile governarlo in pace”.

   Churchill in effetti aveva perduto le elezioni da chi egli aveva definito il “Signor Nessuno”: Clement  Attlee. Un uomo politico con un suo forte programma nel mondo del lavoro. Churchill  lo aveva sottovalutato. Come, a suo tempo, aveva sottovalutato Carlo Sforza.

                   EMILIO R.PAPA