Finalmente è arrivato il weekend referendario! Il popolo italiano, dopo la reclusione da coronavirus è direttamente chiamato ad incidere sulla vita politica italiana! Mentre scrivo infatti, si stanno scrutinando le schede del referendum sulla riduzione dei parlamentari. Si stanno cominciando a rincorrere freneticamente i primi exit-poll, sembra stia prevalendo nettamente il “sì”. Un referendum di natura epocale, che potrebbe andare a stravolgere la vita politica italiana. Comincia intanto a suonare la fanfara politica dei fautori della riduzione dei rappresentanti del popolo, e presto comincerà l’assalto per salire sul carro dei vincitori. Ora, a costo di sembrare un qualunquista, un anticostituzionalista, un superficiale, a me di questo referendum – devo dire – importa poco o nulla. Oddio, come potrò sostenere una siffatta opinione senza essere tacciato per l’appunto, di qualunquismo, superficialità ed anticostituzionalismo? Con la convinzione che per il popolo, per la gente normale, cambierà poco o nulla (il risparmio economico dato dalla riduzione dei parlamentari è assai limitato ed allo stesso tempo non vedo, al contrario, così come sostengono i fautori del “no”, possibili grandi dilatazioni dei lavori parlamentari). Con la convinzione data dalla consapevolezza che in Italia si attribuisce un distorto ed inopportuno valore politico a qualsiasi referendum, oltre che con la ancora più decisa convinzione che altre dovrebbero essere le priorità per rendere più civile questo paese. Trecentoquindici deputati in più o in meno. In Italia poco importa del risultato di un referendum. Importa per il significato ed il risultato politico che ricade su chi lo propone. Se vincerà il “sì” grande vittoria pentastellata. Altrimenti ancora una bocciatura per l’ex, oramai, partito emergente. Così è stato anche nell’ultimo referendum renziano. Quattro quesiti che avrebbero dovuto essere oggetto di altrettanti referendum riuniti inopportunamente in uno solo; pochi che hanno compreso cosa hanno votato. Tanto importava solamente votare a favore del nuovo grande statista o contro il giovane arrogante da mandare a casa. Questo è stato il valore di quel referendum, lo stesso, più o meno (forse questa volta un po’ meno) di quest’ultimo. Non siamo la Svizzera e -purtroppo- non godiamo della cultura referendaria del popolo svizzero: il referendum come reale partecipazione popolare alla vita della nazione e non come gratificazione o bocciatura del politico di turno. Altre sono le priorità. Serve una riforma fiscale (urgentissima!) una riforma della Giustizia, una nuova, necessaria normativa che regoli il delicato problema dell’immigrazione. Se me ne sarà data l’opportunità, mi piacerebbe provare a scendere più nel particolare ed approfondire ognuno di questi argomenti; magari a puntate… Un articolo, una “trattazione tematica” per volta. Ringraziando chi, coraggiosamente, mi ha ospitato in questo magazine.