Sono trascorsi quasi sessant’anni da quando l’editore e critico d’arte milanese Vanni Scheiwiller pubblicò il racconto di Piero Chiara Ti sento, Giuditta. Lo scrittore luinese era già famoso grazie a libri, pubblicati negli Oscar Mondadori, come Il piatto piange e La spartizione ( dal quale, nel 1970, venne tratto il film Venga a prendere il caffè da noi di Alberto Lattuada con uno straordinario Ugo Tognazzi nei panni di Emerenziano Paronzini, funzionario statale di mezza età alle prese con le tre sorelle zitelle Tettamanzi, interpretate a loro volta da Angela Goodwin, Milena Vukotic e Francesca Romana Coluzzi. Un racconto breve ma straordinario, intessuto sulle emozioni sprigionate dagli odori recati dal vento sulle sponde del lago Maggiore che induce il lettore a pensarlo come un tutt’uno, ben oltre i confini statali e regionali. I libri di Piero Chiara, scomparso il 31 dicembre del 1986, sono stati tradotti in quattordici paesi con oltre cinque milioni di copie vendute. In una serata in suo onore, quando gli fu chiesto quale fosse il suo scritto migliore, rispose secco: “Ti sento, Giuditta, quel conturbante odore di femmina, indispensabile ingrediente della vita”. Il protagonista del racconto, Amedeo Brovelli, provetto pescatore e abituale frequentatore del Caffè Clerici, era solito soffermarsi a lungo sul molo di Luino, fiutando il vento di tramontana. Stando lì nei pressi dell’imbarcadero, dove arrivavano le raffiche, riusciva a distinguere tutti i sentori che il vento, scendendo dalla Svizzera, raccoglieva lungo le valli dell’altra sponda. Il profumo del pane appena sfornato a Cannobio si confondeva con l’odore delle vacche e delle capre della Val Cannobina e il fragrante aroma di tabacco che fuoriusciva dalla fabbrica di sigari di Brissago si congiungeva con l’afrore proibito della misteriosa ( ma non più di tanto, secondo i più informati dell’epoca) Giuditta. Non c’è prova migliore del fatto che “il lago non è il mare”. Una differenza non da poco, non esauribile nel dolce e salato dell’acqua quanto in misure e distanze. Dentro il perimetro del Verbano questi concetti di distanza-vicinanza e di prossimità-lontananza (tra la sponda “grassa” piemontese e quella “magra” lombarda) sono tutt’altro che netti e facilmente possono essere ricondotti a misura d’uomo, tanto che l’occhio e lo sguardo riescono a coprirli agevolmente, senza fatica. E se si ha naso come il signor Brovelli del racconto e una giusta dose di fantasia, si possono misurare, come insegnava Piero Chiara, con il metro del vento che, com’è noto, non conosce dazi e confini e ha sul lago “l’ odore dell’ acqua e quasi di luce”.
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