A proposito del caso Davigo e delle carte dal sen delle Procure sfuggite, val la pena di rimembrare alcune fasi emblematiche di un procedimento penale a mio carico, per diffamazione aggravata nei confronti dei magistrati di Mani pulite.

Il 25 novembre 1994, Davigo invia la seguente lettera a Colombo:

«… comunico le modalità con le quali è stata effettuata l’iscrizione a modello 21 del nominativo di Silvio Berlusconi nel procedimento penale n. 12731/94…. Per quanto posso ricordare, le operazioni si sono svolte fra le 12.40 e le 14 o poco dopo…Solo a iscrizione avvenuta ho informato della circostanza la mia collaboratrice Maddalena Capalbi, invitandola ad assicurare la massima cautela nella custodia dei documenti relativi (ordine di iscrizione e invito a presentarsi) a Silvio Berlusconi...».

Maddalena Capalbi, udienza del 21 novembre 2001, risponde alle seguenti domande del mio avvocato Pietro Federico:

D. Lei quella mattina ebbe o non ebbe incarico di conservare atti del procedimento penale relativo all’onorevole Berlusconi?

R. No, e non ero nemmeno al corrente dell’iscrizione… Io non ero al corrente di niente, perché in questa fase così delicata il dottor Davigo e gli altri magistrati cercavano di non mettere al corrente, ovviamente, i collaboratori…

D. Lei quando ha visto questo fascicolo?…

R.L’ avrò visto un giorno, due giorni o tre giorni dopo… Forse non l’avrò nemmeno visto.

Fatto sta, però, che al “Corriere della Sera” una parte del documento fotocopiato giunse in tempo reale, quasi a minuti zero e troppe ore prima che Silvio Berlusconi, intento a presiedere, a Napoli, un convegno internazionale sulla criminalità, ricevesse l’invito a comparire. Di fatto, fu Paolo Mieli a consegnare a mezzo stampa cartacea al Cavaliere notizia del procedimento. La verità poteva forse venir fuori, ma all’epoca, disvelare l’altra faccia del manipulitismo non si doveva e, comunque, veniva considerato reato gravissimo, oltre la lesa maestà. Insomma, io ero considerato un criminale armato di sacrilega penna. Di condanna in condanna, da un tribunale all’altro, arrivo a Bolzano. Essendoci palese contrasto tra le affermazioni contenute nella lettera di Davigo a Colombo e la testimonianza della Capalbi, il mio difensore chiede alla Corte d’Appello di Bolzano un confronto all’americana tra Davigo e Capalbi. Uno dei due, infatti, aveva mentito per la gola. I giudici negano la necessità di approfondire le opposte semantiche e l’opportunità del confronto, che per me avrebbe rafforzato la possibilità dell’assoluzione.

Alla fine mi condannarono a pagare una forte (credo la più alta della storia) somma come risarcimento.