Angelo Burzi: un gentiluomo, persona per bene, un politico di grande onestà morale e intellettuale. Di fronte al suo dramma (si è tolto la vita la sera di Natale) io, da uomo che continua a vivere quello che Leonardo Sciascia definiva la “Giustizia ingiusta”, “la terribilità della giustizia”, “l’ossessione della giustizia”, “il suo strapotere totalizzante e  irresponsabile”, mi sono chiesto quanto abbiano influito sul suo estremo tragico gesto, le ultime ingiuste, inique, strabiche inchieste giudiziarie, lunghe e contraddittorie (fine processo, mai!), e ancora l’enfasi e il rilievo  mediatico su giornali e televisioni (cinici e subalterni alle procure), che l’hanno tenuto alla gogna e sulla graticola per  un decennio. Ma quello di Burzi, è l’ultimo di una lunga e devastante serie che ebbe la sua prova d’orchestra, la sua enucleazione nel 1983 con Enzo Tortora: caso emblematico dello strapotere irresponsabile dei magistrati (inquirenti), che potevano fare quel che volevano, fino ad arrivare a distruggere una persona innocente, e comunque prima di un processo, nella reputazione, negli averi, negli affetti e privarlo della libertà, in carcere in attesa di giudizio per mesi, per anni; e questo con la complicità, l’inerzia, il pavido e squallido conformismo dei mezzi di informazione, “che ti sbattono il mostro in prima pagina”, che amplificano, esaltano le azioni dei pubblici ministeri, e che mettono in moto i cosiddetti “comitati di salute pubblica” a sostegno di gogne e forche. E sei finito per sempre. Dopo questa e altre prove d’orchestra, iniziò, nel 1992, la grande operazione del “manipulitismo” che nel giro di un paio d’anni distrusse la “Prima Repubblica”, che fece fuori la migliore classe politica che l’Italia abbia avuto; ma con una grandiosa operazione chirurgica, di giustizia politica, con i sommersi da una parte (il vecchio pentapartito) e gli impuniti e i salvati dall’altra (il PCI –PDS- DS). Le conseguenze le stiamo tragicamente pagando oggi: con una magistratura (specie quella inquirente) invadente e totalizzante nei confronti del potere legislativo ed esecutivo, espressi da una classe politica residuale, debole e subalterna, anche perché vive e si nutre di giustizialismo e che abdica dal proprio ruolo sfornando leggi e norme che affidano sempre più potere discrezionale alla magistratura inquirente; un fenomeno, questo, che con il “Grillismo” ha raggiunto livelli sempre più alti e devastanti. Insomma, con Tangentopoli si è stravolta la vita politica democratica del nostro Paese, e da allora continua a condizionarla. Su tali fatti e vicende ci scrissi anche un libro dal titolo “Dalla parte degli inquisiti”, pubblicato nel 1996 dal Gruppo Edicom, la cui copertina propongo a corredo di questo articolo; un libro non di cronaca, di denuncia, ma di demistificazione, ovvero quei fatti si deducono, si intravedono attraverso una conversazione teatrale, una sorta di parodia. Ecco un passaggio importante di quel libro: “… nel 1993, in piena tangentopoli che mieteva vittime e arrotava vite umane, uscì un rapporto della “Federazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo” (FIDH) sull’esercizio della Giustizia in Italia, che ovviamente passò totalmente inosservato. In esso si denunciava che la carcerazione preventiva di un gran numero di indiziati, molti dei quali personaggi celebri, ufficialmente motivata dalla preoccupazione per un possibile inquinamento delle prove, ha in realtà lo scopo di esercitare delle pressioni per ottenere confessioni di colpevolezza o denunce di complici o di correità. Questa pratica appare in contraddizione con il disposto dell’art. 275 del nuovo codice penale che indica la “Detenzione preventiva come una misura coercitiva di natura eccezionale”, e appare in contraddizione con i testi internazionali in materia di tutela dei diritti dell’uomo. Essa solleva inoltre il delicato problema della confessione come mezzo di prova giudiziaria”. Il rapporto, così continuava: “Gli eccessi constatati nell’applicazione delle inchieste sulla corruzione sono anche più preoccupanti perché sembrano sottratti a qualsiasi tipo di controllo. Infatti la maggior parte dei ricorsi al tribunale della libertà sono stati rigettati. Ma essi sono ancor più confortati e protetti da una certa opinione pubblica, la cosiddetta piazza, sempre pronta ad invocare gogne e forche e a plaudire sempre su quello che fanno i magistrati inquirenti, che così diventano personaggi protagonisti al riparo da qualsiasi critica pubblica”. Queste stesse parole della FIDH, erano state poi riprese ed espresse dal Procuratore Generale della Cassazione. E a tal proposito, è stata di gran conforto  la presa di posizione assunta nel luglio 2019 dalla Unione delle Camere Penali d’Italia, presieduto da Gian Domenico Caiazza, in occasione della morte di Francesco Saverio Borrelli, capo del pool Mani Pulite di Milano, e sul clima di quegli anni di tangentopoli. L’Unione delle Camere penali, dopo aver premesso che non è in discussione l’alta professionalità di Borrelli, né la sua integrità morale, così si esprime: “Il triste evento (la morte di Borrelli) non può costituire l’occasione né di servile ipocrisia, né di manipolazione della reale eredità storica e culturale di quella tempesta giudiziaria e politica che fu mani pulite …Mani pulite, lungi dal poter essere beatificata, è entrata nella storia del diritto italiano per il grave e diffuso arretramento delle garanzie processuali che quell’inchiesta determinò, con estese influenze negative su tutto il sistema giudiziario, tuttora presenti … Oltre all’utilizzo del carcere per ottenere le confessioni,- l’Unione ricorda- il meccanismo perverso ed estraneo alle regole che per alcuni si rivelò fatale: la diffusione mediatica dello stato delle indagini per condizionare le scelte processuali. La spettacolarizzazione degli arresti, la lunga custodia carceraria a chi non ammetteva gli addebiti, che crearono un clima di autentico terrore a cui vanno ricondotti i gesti estremi di quanti videro distrutta la propria dignità personale, professionale e famigliare.” E ulteriore conforto, a questo quadro, è venuto qualche settimana fa con le rivelazioni del magistrato  Guido Salvini GIP del tribunale di Milano, già GIP ai tempi di mani pulite; il magistrato Salvini rivela che  in quel 1992, nel tribunale di Milano le regole per l’assegnazione dei fascicoli venivano sistematicamente aggirati, cioè facendo in modo che le richieste di arresto del Pool mani pulite venissero sempre assegnate a un unico giudice: il famoso GIP Italo Ghitti che, non a caso, accoglieva sempre e rapidamente tutte le richieste di arresto dei PM. E già, a quell’epoca, le osservazioni e denunce di Guido Salvini non vennero prese in considerazione, nulla si mosse, nessun giornale ne parlò. Nel seguito il capo dei GIP venne promosso a procuratore generale e il famoso Italo Ghitti venne eletto al CSM. Mi chiedo se tutto questo potrebbe persino invalidare tutti i processi di Mani pulite. Una lunga stagione di errori, orrori e scandali del sistema “Giustizia” a cui non si riesce a porre rimedio; un sistema malato, da riformare, come ormai tutti riconoscono (ce lo chiede, persino, pensate un po’, la UE). Una riforma radicale, non pannicelli caldi sulla gamba di legno. Aspettando la riforma, intanto faccio una proposta: visto che abbiamo istituito per legge una serie di “garanti”, perché non istituire la figura giuridica del “Garante degli Inquisiti”?