È il coraggioso giornalista gallese che rivelò al mondo la catastrofica carestia che stava dilaniando in quei mesi l’Ucraina: lo Holodomor[1]
[1] Si veda Holodomor pubblicato 3 novembre 2022.
Non fu ascoltato. Oggi, esattamente 90 anni dopo, Gariwo la foresta dei Giusti, il 3 marzo lo ha onorato con una targa nel Giardino dei Giusti a Milano.
Marzo 1933, la spaventosa carestia in Urss sta raggiungendo il suo culmine, mano a mano che i mesi ci allontanano dall’epoca del raccolto dell’anno precedente: a maggio infatti la situazione sarà ancora più terribile. Ma già ora sono noti molti casi di antropofagia, che hanno come vittime soprattutto i besprizornye.
Besprizornye sono i bambini randagi, almeno quattro milioni in Unione sovietica(avevano toccato i sette milioni nei primi anni ’20): vagano per le stazioni ferroviarie, piccoli delinquenti fastidiosi, se ne sparisce qualcuno, non ci sarà chi lo rivendica. La carestia (7-8 milioni dal 1931 al ‘33), sta interessando molte regioni dell’Unione: basso e medio Volga, Caucaso settentrionale, il fertilissimo Kuban, il Kazakistan, ma soprattutto l’Ucraina. A differenza di altre repubbliche, dove pur le cifre relative risulteranno più alte (in Kazakistan muore un terzo della popolazione, peggio di Ucraina), lì lo sterminio – hanno poi appurato gli storici – configura i caratteri di un genocidio: genocidio di classe, per l’intenzione di «liquidare i kulaki», (contadini “abbienti”) e genocidio nazionale, annichilire la nazione ucraina corroborando la fame con la persecuzione degli intellettuali e delle chiese, ortodossa e cattolica, ucraine.
I contadini, costretti nelle cooperative e defraudati di ogni pur minima scorta alimentare, provano a sfollare nelle città, ai margini delle quali qualcosa si troverà sempre ma le disposizioni sono categoriche. Non solo non deve esser portato cibo nelle campagne, essendo esse debitrici allo Stato di quantità ancora non consegnate, ma neppure gli abitanti possono uscire: l’anno prima, quando hanno istituito il passaporto interno per tutti i sovietici, ai contadini non è stato dato (come poi avrebbe affermato M. Gorbacev la servitù della gleba, dallo zar abolita nel 1861, era stata di fatto reintrodotta; e i membri delle cooperative sono stati, sino al 1982 incatenati alla loro terra).
Le campagne ucraine sono quindi una terra desolata e afflitta. Ma nel mondo nessuno lo sa. Anche per merito di testimonial di alta reputazione.
Il prestigioso giornalista Walter Duranty, del non meno blasonato New York Times; il quale peraltro vive in un’agiatezza ben al di sopra di quello che un reporter potrebbe permettersi: a Mosca è molto apprezzato e in patria pure, l’anno prima (1932) s’è preso il premio Pulitzer, ora il presidente F. D. Roosevelt lo invita a cena, grato per i buoni uffici da lui resi per l’avvicinamento dell’Urss agli Usa e il definitivo riconoscimento diplomatico.
Èdouard Herriot, sindaco di Lione, leader del Partito Radicale, lo hanno portato con un viaggio guidato in Ucraina a vedere, e soprattutto fruire, dei prodotti della terra, e gli hanno organizzato festini e onori. Torna con un’idea decisamente positiva dell’esperienza: «La carestia? È una favola, una leggenda ridicola».
George Bernard Shaw, scrittore, drammaturgo, linguista e critico musicale irlandese, nel 1925 aveva vinto il Premio Nobel per la letteratura «per la sua opera carica di idealismo ed umanità …». Tutti sufficientemente non comunisti per sembrare sinceri e disinteressati e sufficientemente democratici per essere in dialogo con i governanti sovietici.
Questo giovane reporter Gareth Jones, dell’Ucraina conosce la lingua e la cultura (era un gallese l’industriale che fondò l’odierna Donetsk e la mamma di Gareth dei nipoti dell’industriale ne fu la nutrice). L’Ucraina l’ha già visitata due volte, ora ci torna per un terzo viaggio ma lo vuole fare in incognito: fin dove può usa il treno, poi chilometri a piedi, casa per casa. E’ vietato, sia chiaro, sono territori interdetti agli stranieri, la carestia non esiste.
Appena uscito dall’inferno (non senza aver corso alti rischi) si reca a Berlino e tiene una conferenza stampa: «Sul treno uno del partito negò davanti a me che ci fosse una carestia. Gettai una crosta di pane dalla mia provvista in una sputacchiera. Un altro passeggero, un contadino, la ripescò fuori e la mangiò voracemente. Gettai una buccia d’arancia nella sputacchiera e il contadino nuovamente l’afferrò e la divorò».
«Poi ho camminato per molti villaggi e kolchoz… Ovunque sentivo piangere: stiamo morendo! Non abbiamo pane. Dite all’Inghilterra che stiamo morendo di fame!». È il 29 marzo del 1933 e la drammatica testimonianza ottiene un’eco. Dapprima riesce a trovare ascolto nel Manchester Guardian e nel New York Evening Post. Ma ben presto gli si fa terra bruciata attorno. Il New York Times gli replica: «Non c’è una vera fame, né vi sono morti per fame, c’è una mortalità da malattie dovute a denutrizione».
E Duranty, sempre sul prestigioso NYT: «Mr. Jones giunge a conclusioni affrettate» e poi, tutto sommato «Non si può fare una frittata senza rompere le uova».
Gli sarà interdetto l’ingresso in Urss ma questo non è che lasciasse sufficientemente tranquillo un apparato efficiente e scrupoloso come la polizia politica sovietica. Lui andrà poi in Cina e Mongolia, al fine di documentare l’invasione giapponese della Manciuria. Viene ucciso, materialmente da banditi mongoli alle soglie dei 30 anni di vita, nel 1935; ma da subito si sospettò della NKVD.
I racconti di G. Jones furono confermati poi da giornalisti come George Simenon (il padre di Maigret) che era a Odessa, dagli onesti resoconti dei consoli italiano Sergio Gradenigo e tedesco Karl Walther. Poi da scrittori di vaglia come George Orwell (ne troviamo riferimenti in La fattoria degli animali), Arthur Koestler, Vasily Grossman o da ex funzionari del partito come Viktor Kravchenko.
Attraverso Gariwo, che ringraziamo per la sua scrupolosa e meritoria opera noi, il resto dell’umanità proviamo a sdebitarci verso un professionista coraggioso, un uomo della verità. People of the Truth.