Si narra che il grande filosofo tedesco di area cattolica Max Scheler venne sorpreso in una “casa di malaffare” in compagnia di una prostituta e che quando si sentì dire “maestro, da Lei non ce lo saremmo mai aspettato” lui rispose “i filosofi sono come i cartelli stradali, devono indicare la via non percorrerla…”
Non so quanta verità ci sia nell’aneddoto che ho riportato ma sono convinto che chiunque per poter, credibilmente, indicare una via debba averla percorsa, magari con fatica e sofferenza.
La prima cosa che mi ha colpito quando ho conosciuto Donatella Coda Zabetta è che la strada lei l’ha percorsa tutta e, quindi, non parla per astrazione ma per conoscenza e, in qualche modo, nel suo libro ho trovato assonanze con i Ricordi, sogni e riflessioni dove Jung, mirabilmente, riesce a condurci all’interno del suo pensiero attraverso la sua esperienza di vita.
Il coraggio di ascoltarsi è un libro che può essere letto su piani diversi che convergono, però, tutti su un medesimo punto: nella vita si può cambiare purché si sia disponibili di essere parte e guida del cambiamento stesso.
L’assunto che troviamo alla base è che solo il “soggetto” può essere artefice della propria trasformazione semplicemente (e faticosamente) cambiando prospettiva (o “vertice” come avrebbe detto Bion) di osservazione e per fare questo non servono necessariamente interventi esterni taumaturgici ma la voglia di mettersi in gioco e di ascoltare le voci che sussurrano dentro di noi.
Il primo piano di lettura che incontriamo è quello autobiografico: attraverso il libro possiamo ripercorrere e condividere le tappe principali del percorso che ha portato l’autrice a muoversi lungo il continuum estroversione/introversione imparando l’importanza di dar più voce al mondo interno che non a quello esterno ed a scoprire un nuovo senso nelle cose che la circondano assumendo anche una scala di valori diversa da quella che l’aveva accompagnata nella prima parte della vita (per inciso ricordo che anche Carl Gustav Jung sosteneva che la vita è, in qualche modo, divisa a metà di cui la prima parte più “mondana” e la seconda più “introspettiva”).
Il secondo piano di lettura lo definirei più metodologico in quanto, sempre attraverso la sua esperienza (ma non solo), l’autrice affronta con ordine e rigore numerosi temi e argomenti come la paura, il dolore, le debolezze e il perdono che, se non correttamente gestiti, possono diventare tra le principali fonti di malessere e disagio del nostro quotidiano (il tema del quotidiano non va assolutamente sottovalutato banalizzandolo e relegandolo a parte ineluttabile della nostra vita, basti pensare che uno dei primi trattati di Sigmund Freud fu proprio La psicopatologia della vita quotidiana).
Attraverso questa lettura metodologica si evince chiaramente come il concetto dell’ascolto sia centrale per affrontare il tema del cambiamento, d’altra parte non lo è forse in tutte le professioni terapeutiche? Ma quanto spesso, nel quotidiano viene trascurato, portati come siamo a concentrarci più sulle nostre idee e sulle nostre sensazioni che non su quanto gli “altri” ci dicono? E tra questi altri, inserisco a pieno titolo il nostro corpo che, troppo frequentemente, consideriamo quasi come un estraneo in quella dicotomia mente corpo che ci accompagna.
Donatella Coda Zabetta accompagnandoci in questo meraviglioso viaggio alla riscoperta di noi stessi ci insegna proprio l’importanza di rappropriarci del nostro corpo, e di ascoltare i segnali che questo ci lancia, come strumento principe per dare un senso alle nostre emozioni, alle nostre paure (e non solo) e non farci travolgere da loro.
Il terzo piano di lettura è quello pratico dove incontriamo una serie di esercizi che ci permettono, progressivamente e con semplicità, di sperimentare quanto abbiamo letto e ci portano a interiorizzare il fatto che non solo questo percorso non è impossibile ma, anzi, è praticabile e, pur con le sue difficoltà, fonte di piacere e benessere.
Ovviamente la lettura di un libro resta sempre un momento individuale di scambio tra chi ha scritto e chi legge e ciascuno coglie ciò che è pronto e disponibile a cogliere in quel momento, ecco perché il mio suggerimento è di leggere più volte il libro (anche a distanza di tempo) e ogni volta scoprirete di trovarvi di fronte sempre a un’esperienza unica e irripetibile.
Vi lascio con una suggestione: il grande psicanalista James Hillman ha scritto, tra gli altri, un bellissimo libro, che si intitola Le storie che curano, dove esplora la nascita della psicanalisi come cura delle parole e con le parole; anche questo libro è una storia che cura, provate ad avvicinarvi ad esso lasciandovi avvolgere dal testo e trasportare dalla corrente delle parole e vedrete che lentamente le posizioni tra chi legge e chi scrive diventano più sfocate, siete arrivati ad un quarto piano di lettura, quello magico, dove il cambiamento comincia a scorrere dentro di voi non per scelta ma per necessità e, se riuscirete ad abbandonare le vostre resistenze, vi renderete veramente conto che le prospettive attraverso le quali osservare ciò che ci circonda sono più di quante potessimo immaginare… così come quando recandoci al Prado e soffermandoci ad osservare il dipinto Las Meninas di Velasquez in un primo momento siamo consapevoli di essere gli spettatori che stanno guardando un quadro ma, poco dopo, rapiti dall’intensità della scena ci rendiamo conto di essere nella prospettiva in cui si trovava il pittore mentre lo dipingeva e ci identifichiamo con lui, ma solo per un attimo perché veniamo immediatamente travolti dalle emozioni e realizziamo di essere posizionati nel luogo in cui si trovava il Re, soggetto assente della raffigurazione (cercate una riproduzione e capirete, andate al museo a Madrid e proverete).
Grazie Donatella, grazie per il coraggio di ascoltarti che hai avuto e grazie per averci regalato questo libro che, come scritto in copertina, è “un libro per sempre”.