A Bruxelles, a Berlino e Parigi, cominciano a preoccuparsi. Se l’Italia non sarà capace di stendere un piano serio e di impegnare i 209 miliardi per fare di sé un paese moderno e competitivo, se li userà, come temono e bruscamente dicono i nordici, per riempirsi la pancia, le conseguenze saranno disastrose, per noi e per l’Ue. Nell’intervista concessa a Maurizio Molinari su Repubblica, il presidente Giuseppe Conte ha ragione quando indica lo spazio ridotto per le chiassate nazionaliste dopo l’intesa sul Next Generation Eu, per cui l’Italia intascherà 209 miliardi (127 di prestiti agevolati, 82 a fondo perduto, cioè regalati). Non ne ha altrettanta quando nega le spinte antieuropeiste del Movimento cinque stelle, oggi sottosopra per le ostilità interne, pregiudiziali ed emotive al Mes, considerato l’abile stratagemma di Berlino per togliere denari dalle tasche degli italiani e infilarli nelle banche tedesche: la qualità dell’analisi è da sabato sera in birreria, ora tarda. Adesso – e il premier non lo ignorerà – la minaccia per l’Unione non si chiama Matteo Salvini o Giorgia Meloni e nemmeno Beppe Grillo. Si chiama Giuseppe Conte. I giornali tedeschi ricominciano a porsi qualche domanda non tanto sulla stabilità del governo, ma sulla perizia e sulla consapevolezza con cui si appresta ad amministrare la montagna di soldi. Come abbiamo scritto qui ieri, la Boersen Zeitung, giornale vicino alla Bundesbank, ha definito l’Italia una polveriera capace di far saltare in aria l’Eurozona, e il sospetto viene dalla gestione dei cento miliardi tirati fuori dalla manica (messi a debito) nel 2020 per lenire le conseguenze dell’epidemia: non soltanto in sussidi, e passi visti i tempi, ma anche per tenere in piedi quella carcassa che è Alitalia, per dare un senso agli esoterismi attorno a Ilva, per salvare una banca qui (Carige) e una là (Popolare di Bari). La domanda sottintesa è: non è che pure i 209 miliardi su cui Angela Merkel ha messo la sua reputazione finiranno in trattoria? Bisogna sempre ricordare che l’Italia è il paese europeo che in totale (ma non rapporto al Pil) si prende il grosso del gruzzolo: al secondo posto c’è la Spagna con poco più 140 miliardi. Non si è trattato di un semplice slancio del cuore per il disastro combinato dal virus anzitutto dalle nostre parti, altrimenti l’andamento pandemico nel continente avrebbe poi suggerito di rivedere la ripartizione, ma anche dell’occasione per consegnare all’Italia l’opportunità di rimettere in piedi la sua sciancata economia. Da lustri l’Unione ci raccomanda, per allineare l’esangue crescita a quella del resto d’Europa, di riformare la pubblica amministrazione, la giustizia civile e penale, di diluire la burocrazia, di digitalizzare, di progettare nuove grandi opere. E da lustri non lo facciamo o lo facciamo poco con la scusa che la gente non capirebbe, che servono liquidi per il welfare (assistenzialismo), che se non si distribuiscono risorse si armano le geremiadi del nazionalismo eccetera. Ecco, ora le geremiadi del nazionalismo hanno il fiato corto e l’Italia avrà il conto lungo. Le attenuanti sono finite. Ma come intenda Conte usare il denaro – l’ultima grande chance per tutti noi, che impegna tutti noi e i nostri figli nei prossimi decenni – è un mistero della fede, indispensabile a evitare le smanie dei ministeri, dei partiti, dei vari capoccia col cappello in mano – o almeno così si intuisce. E dunque si progettano triumvirati, task force, moltitudini organizzate di tecnici, chiamati in nome e a maggior gloria di Conte a studiare spese e investimenti. La soluzione ha contorni bizzarri. O antidemocratici, come ha detto qui Sabino Cassese, o di rinuncia della politica a sé (sempre qui Rino Formica). Però, al di là dell’allegra interpretazione del ruolo delle istituzioni repubblicane, a Bruxelles, e a Berlino e a Parigi, cominciano a preoccuparsi. Se l’Italia non sarà capace di stendere un piano serio e di impegnare i 209 miliardi per fare di sé un paese moderno e competitivo, se li userà, come temono e bruscamente dicono i nordici, per riempirsi la pancia, le conseguenze saranno disastrose, per noi e per l’Ue. Siamo una polveriera capace di far saltare in aria l’Eurozona: un rischio che non porta il nome di Salvini o Meloni o Grillo, ma di Giuseppe Conte.