La complessità dell’epoca che stiamo vivendo ormai da mesi, compreso il lockdown e tutti i mesi successivi, post Covid ed ora nuovamente di Covid, mi suggerisce l’immagine metaforica di un labirinto. Su questo tema tanti scrittori e intellettuali hanno dibattuto nelle varie epoche, tra loro, nel Novecento, anche il filosofo Norberto Bobbio e colui che ritengo uno dei più grandi scrittori italiani del secolo scorso, Italo Calvino. Nelle riflessioni scritte da Calvino e raccolte nel Menabo 5, nel lontano 1962, lo scrittore sottolineava da una parte “il fascino del labirinto in quanto tale, del perdersi in esso, del rappresentare questa assenza di vie d’uscita come la vera condizione dell’uomo”, non dimenticando, sull’altro versante, “che resta fuori chi crede di poter vincere i labirinti sfuggendo alla loro difficoltà, e che è una richiesta poco pertinente quella che si fa alla letteratura, dato un labirinto, di fornire essa stessa la chiave per uscirne”. Ci si potrebbe domandare se mai Italo Calvino avesse potuto immaginare, allora, a distanza di poco meno di sessant’anni da oggi, in quale labirinto si sarebbe trovata l’umanità nell’epoca del Coronavirus. Un labirinto costituito di molteplici meandri e componenti tra le più diverse, da quella primaria della paura del contagio a quella delle conseguenze sull’uomo del contagio stesso del virus, agli effetti della ricaduta economica sulla vita collettiva e delle problematiche psicologiche che un simile scenario non poteva non aprire. Se a marzo, all’epoca della prima ondata del virus, forse, l’uomo era più rassegnato ad accettare l’ingresso in questo labirinto di cui credeva abbastanza prossima l’uscita, il ripresentarsi dei contagi così numerosi, ora, pone nuove incognite, cui certo i governanti del mondo non paiono sufficientemente preparati a dare risposte adeguate. Esse potrebbero giungere dalla scienza, sicuramente, ma credo che le risposte individuali, dal punto di vista umano, che ciascuno di noi può ricercare, possano essere trovate soltanto nella letteratura e nel pensiero filosofico che ci hanno lasciato una grande eredità, che può essere riscoperta in momenti difficili e tempi “di sospensione”, come quello che stiamo vivendo.   Norberto Bobbio, a proposito del concetto di labirinto, affermava che “chi entra in un labirinto sa che esiste una via di uscita, ma non sa quale delle molte vie che gli si aprono innanzi, di volta in volta, vi conduca, e procede a tentoni. Talora la via che gli sembra più facile non è quella giusta […] Bisogna avere molta pazienza, non lasciarsi mai illudere dalle apparenze, fare, come si dice, un passo per volta e, di fronte al bivio, quando non si è in grado di calcolare la ragione della scelta, ma si è costretti a rischiare, essere sempre pronti a tornare indietro”. Nella società odierna, improntata all’individualismo e al consumismo sfrenato, tutto ciò potrebbe sembrare terribilmente difficile da attuarsi; questa epidemia, tuttavia, ci sta insegnando, secondo me, non solo la prudenza, ma a sviluppare la capacità di fare un passo indietro, non solo nel distanziamento, ma soprattutto nel rispetto e nella tutela della propria e dell’altrui salute, proprio come se, metaforicamente, vivessimo sospesi in un labirinto.