La morte improvvisa e crudele del filosofo Giulio Gioriello dopo due mesi di ricovero a Milano per Coronavirus, quasi subito dopo  la sua dimissione dall’ospedale, rende ancora più duro il distacco da un maestro della cultura filosofica italiana che ha molto spaziato nella sua ricerca, anche se di  lui restano  soprattutto l’epistemologo e il filosofo della scienza  di altissimo valore. Come ha detto Cacciari, liberò dal vecchio positivismo e dall’ideologismo marxista la ricerca  filosofica.
Allievo di Ludovico Geymonat, era andato oltre il maestro. Bobbio una volta mi disse che Geymonat viveva soprattutto di certezza ideologiche, mentre noi laici siamo attratti dai dubbi.
Gioriello ha praticato il dubbio laico, anche se non ha mai accettato la distinzione bobbiana tra  la laicità e il laicismo, quest’ultimo In contraddizione con lo spirito laico amato dal filosofo torinese. Gioriello aveva un’idea forte del laicismo, per dirla con un’espressione cara a Nicola Abbagnano e al suo discepolo Giovanni Fornero.
Discussi con lui di questi temi, ma fu difficile dialogare.
Quando pubblicai un libro su Cavour e i rapporti tra Stato e Chiesa con Girolamo Cotroneo, in cui liberammo
Cavour da  certe ipoteche anticlericali e massoniche, gli spedii una copia, invitandolo a presentare il libro insieme a Raimondo Luraghi, ma non accettò.
In un’altra occasione gli spedii la nuova edizione del “Perché non possiamo non dirci cristiani“ di Benedetto Croce, ma si limitò a ringraziare. Quando uscì la voce Laicità  che scrissi per il dizionario di liberalismo non lo citai abbastanza e sbagliai, ma io scrissi soprattutto della laicità liberale. Quando con il Cardinale Gianfranco Ravasi organizzai nel 2018 un convegno all’archivio storico del Quirinale sul tema laici e credenti, pensai di telefonargli per invitarlo. Quel giorno aveva un altro impegno. Peccato. Il suo intervento sarebbe stato molto importante.

Il nostro dialogo fu sempre molto difficile, pur partendo da posizioni che affermavano il valore della tolleranza.  Fu un neo-  illuminista molto convinto, fu quasi a suo modo un nuovo
Voltaire. Anche con Augusto Viano che ebbe posizioni assai vicine a lui, fu difficile il dialogo negli ultimi anni perché considerava la religione una sorta di idola tribus da rifiutare.
Anche Gioriello ebbe un atteggiamento simile.
Io mi sono nutrito di Ruffini , di Bobbio, di Jemolo, di Passerin e facevo difficoltà a sintonizzarmi con Gioriello il cui anticlericalismo appariva una costante.
In più ero amico di Marcello Pera  come lo ero stato di Francesco Barone, due figure quasi  antitetiche rispetto a Gioriello. Il suo libro “ Di nessuna Chiesa. La libertà del laico” rappresenta assai bene il suo pensiero.
Marco Pannella parlò di laici credenti e non credenti, un modo altro di affrontare il tema della laicità.
Al contrario del Maestro Geymonat che polemizzò
duramente con Popper, difendendo la società chiusa sovietica, Gioriello  fu per la società aperta popperiana, ma il
liberalismo del pensatore austriaco gli fu sostanzialmente estraneo.
Resta di lui una grande opera scientifica  destinata a restare e una inesausta passione civile, unita ad una grande coerenza.   
Gioriello è stato un chierico alla maniera di Benda che non ha tradito. La libertà è stata l’animatrice del suo lavoro. Anche come divulgatore giornalistico è stato
straordinario per la sua chiarezza esemplare.
Rispetto a tanti marxisti vecchi e nuovi che hanno monopolizzato la filosofia italiana per decenni
Gioriello è stato capace di autonomia. Anni luce dai torinesi teorici del “pensiero debole“ passati  in tarda età, armi e bagagli, al marxismo.
Mi sarebbe piaciuto leggere di un suo dialogo con Papa Francesco così distante dal clericalismo. Invece di Eugenio Scalfari che ha monopolizzato quel rapporto Gioriello più di ogni altro avrebbe potuto
portare il  confronto ad un livello
molto alto che ci avrebbe arricchiti tutti , credenti e non credenti.