Nel centenario di Max Weber, e nella generale crisi di “valori” che sembra caratterizzare l”epoca tardomoderna, mi propongo di riaccostare, da un angolo visuale teoretico ed ermeneutico, la tematica vichiana dei “quattro sensi delle guise” con la trattazione weberiana dei “quattro modi dell’agire sociale” ( dal lavoro postumo e ampiamente sistematico Economia e Società, del 1922 ). Altrettanto essenziale è la pubblicazione unitaria nel 1919 delle due lezioni tenute alla Università di Monaco tra la fine del 1917 ( La scienza come professione ) e il gennaio del 1919 ( La politica come professione). Siamo esattamente alla fine del primo conflitto mondiale. E la lezione di Weber non è solo scientifica, distinguendo i “giudizi di importanza” dai “giudizi di valore” e proponendo la “avalutatività”, ossia l’astenersi da pregiudizi ideologici, nella interpretazione dei fatti sociali e nella metodologia delle scienze sociali; ma è anche, e soprattutto, una splendida lezione etico-politica. In antitesi al Marx, Weber certifica l’importanza, più che dei rapporti di “classe” fondati sulla produzione e distribuzione della ricchezza economica, quella del “ceto sociale”, che si realizza con l’acquisizione della cultura, degli stili di vita corrispondenti, fino all’esercizio delle libere professioni e del prestigio che ne deriva. Weber ha anche teorizzato la famosa tesi del nesso tra “Etica protestante e lo Spirito del capitalismo” ( 1904 ), individuando nel puritanesimo “ascetico”, e specialmente nel “calvinismo”, a lungo visibili ed influenti anche nell’epoca dell’industrialismo, da un lato la tendenza alla “soppressione delle emozioni”, dall’altro la “ascesi intramondana” che affida agli “eletti”, nel lavoro e per il lavoro, l’adempimento della Grazia e della Gloria di Dio.

E’ evidente che trattasi di un poderoso sforzo sintetico all’interno del “paradigma religioso”, adottato dal Weber; anche se forzature di carattere storico o economico sono state di volta in volta rilevate. Secondo Luigi Pellicani: “L’etica neocalvinista non ha avuto alcun ruolo positivo nella formazione dello spirito del capitalismo; semmai, è vero il contrario, che il calvinismo ha costituito un potente ostacolo spirituale alla affermazione dei valori e modelli tipici della borghesia imprenditoriale”. (1)

Ma ogni pur giusto rilievo interpretativo, ogni ridimensionamento revisionistico, e postulato differente o persino alternativo rispetto alla posizione weberiana, non riesce ad eliminare il “senso” e il “valore” precipuo dell’operazione adempiuta dal sociologo di Erfurt: che consiste nell’intuire e rappresentare il passaggio all’etica della “modernità” e della “produzione” economica ( ma anche artistica, filosofica, intellettuale in genere, e politica ) del retaggio religioso, che per il Weber si raccoglie nella intensità severa del “protestantesimo”. ( Per altri, invece, tale retaggio si colloca nell’etica cristiana della “persona” e della sua natura originariamente “creativa”, in particolar modo nel “parto” e nell’amore-dolore del travaglio della coscienza morale: da John Locke a Edgar Quinet, da Constant a Lord Acton e da Roepke a Croce e Lauro De Bosis allo stesso Antiseri, o da Thomas Stearns Eliot fino a Federico Chabod e Christopher Dawson, e da Hugo von Hoffmannstahl  all’Assunto e da chi scrive queste note a Fulvio Janovitz, per tacer d’altri ).

Nel 1918 e dintorni, infatti, Max Weber si impegna nel discorso su Parlamento e Governo, denso di passione politica per le sorti del parlamentarismo, e di congiunta netta critica verso le posizioni del cancelliere Bismarck, le origini della Repubblica di Weimar, e le ventate di nazionalismo e d’ irrazionalismo, ch’egli  intravedeva all’orizzonte; laddove esaltava la sede del Parlamento come luogo di libera competizione e formazione delle élites, dibattito delle idee e presidio della Libertà, tutti valori e aspetti di organizzzione etico-politica dovuti all’Occidente, a partire dall’Inghilterra, ma senza escludere affatto le altre nazioni. Con il consueto e felice “colpo d’occhio”, il Croce fu tra noi ( ma anche in Europa ) tra i primi, se non il primo fra tutti, a capire la importanza della lezione parlamentare di Weber, traducendola in italiano per Laterza da una copia ottenuta tramite un amico in Svizzera; come ricorderà più tardi Delio Cantimori. (2)

Era stato l’amico Karl Vossler a comunicare al Croce di aver dato al di lui pressocché coetaneo Max Weber una copia della Logica come scienza del concetto puro, come scriveva in una lettera dell’ 11 luglio 1905. E’ stato, quindi, il Vossler ( cui lo stesso Croce più tardi allude ), a propiziare l’incontro tra i due pensatori. Weber, tuttavia, critica il Croce, ravvisando nella sua filosofia una “confusione tra ‘valutazione’ e ‘spiegazione’ “. (3) E sia al Vossler che a Croce contesta: “Questa terminologia ha però il difetto di condurre alla confusione tra ‘essere’ e ‘norma’. (..) Io ritengo che la terminologia sua ( i.e.: di Karl Vossler ) e di Croce, la quale tende sempre a una mescolanza logica del ‘valutare’ e dello ‘spiegare’, e a una negazione del’autonomia di quest’ultimo, indebolisca la forza persuasiva dell’argomentazione”. (4)

Ma il Croce badava, anzitutto, all’essenziale e al precipuo della testimonianza etico-politica weberiana, pur mantenendo tutte le proprie riserve sul piano gnoseologico e metodologico avverso la “sociologia”. Era la critica allo spirito “carismatico”, al potere straripante della “burocrazia” limitante i diritti della libertà, che gli interessava e lo attraeva, nella tempestiva denunzia di Weber. Così, ricordava in “Quaderni della Critica” del 1948, poi nelle Terze pagine sparse del 1955, ove accolse quella recensione alla pubblicazione del Lavoro intellettuale come professione: “Come ricorda il Cantimori nella sua bene informata e istruttiva prefazione alla edizione italiana del libro sul Lavoro intellettuale ( Torino 1948 ), la prima introduzione di un’opera di Max Weber in Italia fu fatta da me nel 1918; e io voglio aggiungere che, procuratomi allora l’originale di quel libro attraverso la Svizzera, ne promossi subito la traduzione affinché in Italia fruttasse la critica confessione dolorosa che il Weber faceva dell’inferiorità della concezione burocratica della politica, coltivata ed esaltata dai tedeschi, rispetto a quella libera dell’ Europa occidentale ( alla quale apparteneva l’Italia ), che i dotti deteschi sprezzavano come caotica e deridevano come ciarlatanesca, invece di intenderne la sanità e il vigore e consigliarla al proprio popolo”. Aggiungeva Croce: “Avevo conosciuto il Weber nel congresso di filosofia internazionale di Heidelberg del 1908, amico di miei amici e da essi tenuto in gran conto”. Pure: “Qual è il difetto della sua famosa derivazione della libertà moderna dallo spirito del calvinismo e dal concetto della vocazione e della elezione divina ? Questo: che è una deduzione psicologica, e non una spiegazione filosofico-storica, come solo si può fare e solo si richiede nel trattare di una categoria spirituale”. Sul piano storico, si tengano ben ferme de date. Dopo il Convegno internazionale di filosofia di Heidelberg, di cui dà prova la famosa foto di Croce con Boutroux e Weber nel 1908, l’editore Mohr di Tubinga, esattamente tra il 15 e 21 dicembre dell’anno dopo, il 1909, chiede a Croce tramite l’amico e critico Fritz Medicus la pubblicazione in tedesco per i suoi Grundiss di un manuale di “Filosofia della Storia”. Il che Croce accetterà, pur con incertezze e revisioni tanto profonde da portare alla compilazione in forma diversa del volume Zur Theorie und Geschichte der Historiographie, di anno in anno procrastinato fino al 1915, dal momento che Croce, negando ogni valore “scientifico” alla richiesta e accademicamente fortunata “Filosofia della Storia”, aveva visto cangiarsi il proprio progetto iniziale nel quatro volume della “Filosofia dello spirito”, edito in italiano per il consueto Laterza due anni dopo, nel 1917. Questo è l’unico volume della “filosofia dello spirito” ad apparire prima in tedesco poi in nostra lingua: data la complessa sua e tormentata genesi, si può supporre: – E se l’idea di proporre a Croce presso il Mohr di Tubinga non provenisse inizialmente proprio dal Weber, che lo aveva conosciuto personalmente l’anno prima in Heidelberg ove Croce lesse la splendida lezione L’intuizione pura e il carattere lirico dell’ arte : idea “mediata” con l’intervento del collega Fritz Medicus ? (5) Non sappiamo; ma la concordanza di dati e date, sollecitazioni ed incontri è perlomeno sorprendente.

Sul piano politico, si può dire che la posizione di Croce all’altezza del 1918, cioè all’esito della guerra “distruggitrice” e del libro Parlamento e governo di Weber, è esattamente speculare rispetto a quella di Weber, all’interno della cultura tedesca. Come Croce era stato e rimaneva “neutralista” e non interventista, fino al punto d’essere tacciato di “germanofilia” da poco generosi critici e interessati polemisti, contestando nelle sue Pagine sulla guerra ogni affermazione mistica di irrazionalismo e fanatismo e ogni presupposto di nazionalismo foriero di future sventure; così, per parte sua, il Weber criticava lo spirito “carismatico”, il personalismo, la politica nazionalistica del Bismark, e con essi, l’eccesso di burocratismo inferiore al parlamentarismo, elogiato nella cultura politica occidentale, ispirata all’ideale liberale. Né va dimenticata – prima di passare all’aspetto gnoseologico – la recensione dello stesso Croce al libro di Frederic Lilge, The abuse of Learning. The Failure of German University ( Mac Millan, New York 1948 ), raccolta dipoi nelle già citate Terze pagine sparse, ove il filosofo si soffermava ( contro la ventata di irrazionalismo, insita nella filosofia di Heidegger  e dell’esistenzialismo, come nella versione nazistica della storia della civiltà occidentale ) sull’ultimo capitolo, in cui “l’autore rammenta l’opposizione che a questi avviamenti dello spirito tedesco fece Max Weber, coraggioso nel segnalare l’inferiorità politica dei tedeschi rispetto ai da loro spregiati popoli occidentali, ma che, sociologo com’era, mancava della possanza erculea richiesta in un caso così disperato. Donde verrà a quel gran popolo il genio suo redentore ? Oggi non se ne vede ancora neppure un lontano accenno, e rimane la paura che i prodotti mentali dell’ultimo mezzo secolo ritornino a ribollire in orrenda miscela”. (6)

La cosiddetta “possanza erculea” in sede teoretica era offerta dalla lucida critica sviluppata dal filosofo triestino Carlo Antoni ( 1896-1959 ), con il pregevole volume Dallo storicismo alla sociologia, dove l’originale interprete e prosecutore di Croce distingueva “storicismo” italiano da “historismus” germanico, e la teoria del giudizio storico elaborata dal primo rispetto alla dottrina degli “ideal-tipi” costruita appunto dal Weber, e reimpiegata in altri autori e tendenze intellettuali della Germania ( Dilthey, Troeltsch, Meinecke, Wollflin ). Il giudizio storico – spiegava Antoni -era “sinolo”, “universale concreto”, unione di soggetto e predicato, cioè dottrina che inverava il classico principio di identità di origine aristotelica, giusta la formula A = a; mentre la teoria degli “idealtipi” weberiana rispondeva solo ad un’astrazione, atta a mettere in campo “giudizi funzionali”, schemi o stenogrammi, rispondenti a mero ufficio pratico. Così, Croce stesso si riferiva al lavoro di scavo dell’amico esperto di storia delle idee europee, sostenendo le di lui tesi e sottolineando, in particolare, che la “sociologia è una pseudoscienza”, sorta di ircocervo linguistico, formato 

con l’unione  di un etimo latino ( da “societas” ) e un etimo greco ( “logos” ), insomma “una pseudoscienza che pretendeva risolvere non filosoficamente problemi filosofici, e il Weber stesso, quando, criticando il materialismo storico, credeva di contrapporgli concetti spiritualistici, gli contrapponeva semplici istanze ed esigenze psicologiche”. (7)

Nonostante l’affine sentire storico-politico, il divario filosofico tra i due grand era perciò immane, diversi essendo i presupposti teoretici per lo studio della storia e dei moventi dell’azione umana.

Il Weber, nella sua opera fondamentale di cui si dettero in Italia due edizioni complete in cinque volumi ( Edizioni di Comunità la prima, negli anni Novanta del secolo scorso; e per Donzelli la seconda, tra il 2014 e il 2018 ), che è Economia e società, così definisce: “La sociologia (..) deve designare una scienza la quale si propone di intendere in virtù di un processo interpretativo l’agire sociale e quindi di spiegarlo causalmente nel suo corso e nei suoi effetti. Inoltre, per ‘agire’ si deve intendere un atteggiamento umano ( sia esso un fare, o un tralasciare, o un subire, di carattere esterno o interno ) se e in quanto l’individuo che agisce o gli individui che agiscono congiungono ad esso un senso soggettivo. Per agire ‘sociale’ si deve però intendere un agire che sia riferito – secondo il suo senso intenzionato dall’agente o dagli agenti – all’ atteggiamento di altri individui, e orientato nel suo corso in base a questo”. Sono definizioni alquanto complesse, per non dire intricate, che rendono chiara la disposizione concettuale dell’autore ( anche con le ambivalenze riconosciute nelle parentesi interne del suo dettato ). (8) “Tuttavia, – aggiunge Weber – io parlerò di azione ‘sociale’ per parlare di un’azione che, tenendo conto della componente cognitiva intenzionata o pensata dall’agente o dagli agenti, si riferisce al comportamento di altri e risulta essere condizionata in modo cosciente nel suo articolarsi empirico da tale comportamento”. Si intrecciano così, di continuo, livello cosciente del condizionamento, nel rapporto tra singolo e altri individui, relazione stabilita in un senso soggettivo, corso empirico degli effetti, interpretazione di un processo oggettivo e causativo ma poi anche mentale ed ermeneutico, e via; sì da giustificare la congerie di commenti e postille, interpretazioni e derivazioni di scuola, che si sono moltiplicate sul testo weberiano ( dal commento di Schutz al funzionalismo di Niklas Luhman, dagli svolgimenti di K. Polanyi e di Talcott Parsons alle riprese di Lorenzo Infantino sul Potere e della scuola marginalistica austriaca a proposito delle conseguenze non volute di azioni umane intenzionali ).

Ed è su questo punto che io preferisco concentrar l’attenzione, quando cioè il sociologo tedesco vuol articolare in concreto le forme del cosiddetto “agire sociale”, non pago di averne dettati i predicati e gli assiomi. Ed è, allora, che Weber si rammenta della topica della “quaternità”, forse e senza forse mémore del sistema di Croce ( che conosceva dai primi anni del Novecento, tramite Karl Vossler ), ma all’interno di una giustificazione differente, che si gioca su una coppia di “modi razionali”

( anche se diversamente “razionall” ) e una diade di modi e possibilità “non” razionali. Poi, Weber aprirà a ventaglio una seconda traccia ermeneutica di “quaternità”, proprio all’interno del terzo modo, quello cosiddetto “affettivo”. Ma vediamo con ordine il primo schema dei “quattro modi dell’agire sociale”. Essi sono: 1. Modo razionale rispetto allo scopo ( Zweckrational ). 2. Modo razionale rispetto al valore ( Wertrational ). 3. Modo affettivo ( Affektuell ). 4. Modo tradizionale

( Traditional ).

Il primo modo è determinato “da aspettative dell’atteggiamento di agenti del mondo esterno e di altri uomini, impiegando tali aspettative come ‘condizioni’ o come ‘mezzi’ per scopi voluti e considerati razionalmente, in qualità di conseguenza”. Esso è tipico della razionalità formale: si può anche definire come “l’avere uno scopo chiaro ed organizzare razionalmente i propri mezzi per conseguirlo, in rapporto alle eventuali conseguenze ( previste )”. Esso è proprio dell’agire economico. Nell’ambito delle teorie storicistiche o psicologiche o esistenzialistiche, può serbare tratti affini alla Teoria della previsione di Raffaello Franchini ( 1964 e 1972 ) o ad alcuni aspetti della semantica di Carl Gustav Jung, Karl Jaspers ed Eugène Minkowski.

Il secondo modo è derterminato “dalla credenza consapevole dell’incondizionato valore in sé – etico, estetico, religioso, o altrimenti interpretabile – di un determinato comportamento in quanto tale, prescindendo dalle sue conseguenze”. Esso è caratteristico dell’etica della intenzione: si può anche dire “azione conforme a princìpi di valore, a valutazioni condivise, restando fedeli alle idee e ai princìpi, senza considerare le eventuali conseguenze. Esso è proprio dell’agire etico ( dedizione a una causa, libertà, patria, giustizia, solidarietà, fedeltà alla parola data etc. ). Si noti che anche qui, e già all’ interno dei “valori” plurali, Weber apre uno spiraglio sulle varie “prospettive” ( etiche, estetiche, religiose o “altrimenti interpretabili” ) della “valutazione”. I contesti categoriali sono assolutamente differenti. Epperò, si badi al fatto che Max Weber è venuto così attualizzando non solo due delle classiche “forme spirituali” di Croce  ( l’economica e l’etica ); ma si è anche reso conto – nell’abbozzo della esemplificazione introdotta al secondo modo – che bisogna pur articolare il conferimento di senso ai valori, intenzionati a seconda dei casi per la dedizione “estetica”, o “etica”, o “religiosa”, o altrimenti vissuta e “interpretata”. Siamo nell’ambito della sociologia dell’agire, non dello storicismo dell’universale concreto. Ma quanta parte della “filosofia dei valori” tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento ( Dilthey, Windelband, Rickert, Hartmann, Croce ) non è ancor qui immessa e coinvolta, come ha dimostrato – tra gli altri – Eugenio Garin ? (9)

Il terzo modo dell’azione sociale è determinato da “affetti e stati attuali del sentire”. Poi Weber spiega meglio, dicendo che questo modo è “al limite” dell’azione sociale o intenzionale: “L’azione è affettiva se soddisfa un bisogno, attualmente sentito, di vendetta o di gioia o di dedizione o di beatitudine contemplativa o di manifestazione di affetti”. Così, questo modo di azione non è dettato dalla razionalità di “scopo” né dalla razionalità in vista di un “valore”; ma dalle emozioni e dai bisogni, “attualmente sentiti” ( si badi: come nella teoria crociana della ideale “contemporaneità della storia”, per la prima volta edita in tedesco con la edizione Mohr di Tubinga di Teoria e storia dell storiografia, nel 1915, prima cioè della sintesi weberiana su cui lavoriamo ).

E’ notevole che, nella esemplificzione discorsiva indispensabile per la illustrazione di questo punto, il Weber si apre ancora una volta allo sforzo di conseguimento della “totalità”- “quaternità”, anche se qui sub specie affectionis; come, poc’anzi, aveva saggiato sub specie voluntatis. E quindi individua anzitutto: gli aspetti vitalistici di “vendetta” o di “gioia” ( emblemi del “vitale” ); poi della “dedizione” a una causa ( di nuovo: “etica” ); quindi della “beatitudine contemplativa” ( e cioè: “estetica”, ambito in cui la filosofia di Croce eccelleva e che il Weber nel proprio sistema ospitava, pure se formulando talune riserve al riguardo della tesi della “intuizione pura”); e infine della “manifestazione di affetti” in generale ( “sensibilità” o “Estetica” nel senso baumgartiano e settecentesco di “Cognitio sensitiva” ). Insomma, mancherebbe la forma Logica del “concetto puro”; ma il quadro è indubitabilmente neo-crociano: il gioco delle categorie e dei princìpi torna e si rimodula di piano in piano o di “modo” in “modo”. E d’altra parte, si potrebbe dire che non potrebbe essere altrimenti, visto che le forme spirituali, le quattro “modificazioni della mente umana”, vichianamente parlando, non possono essere che codeste; ed eventuali alternative si ricondurrebbero sempre all’interno della quadrilogia delle forme di attività spirituali elaborata dal Croce. La “logica” può esere soddisfatta nel conferimento di senso “razionale” in vista di uno scopo o di un valore, messa in campo nelle prime due modalità weberiane dell’azione sociale; anche se certo, in quest’ultimo caso, non si parla di “concetto puro” e “teoria dei giudizi”, bensì solo di “orientamento verso gli altri individui “ e di “agire intenzionato” ( essendo diverso l’interesse weberiano ). Si noti piuttosto come il pùngolo della “vendetta” costituisca assillo precipuo per il Weber, non solo nella prima semplificazione del concetto di “modo affettivo dell’azione sociale” ; ma anche nel lineamento principale de “Il concetto di agire sociale”. “L’agire sociale ( comprendendo il tralasciare o il subire ) può essere orientato in vista dell’atteggiamento passato, presente, o previsto come futuro, di altri individui ( come la vendetta per attacchi precedenti, la difesa da un attacco presente, o misure protettive contro attacchi avvenire ). Messo alla prova, lo fu duramente l’ingegno di Weber. “Vigilate ! Vigilate !”, oserei ripetere con il Vangelo di Luca, per il quale “il male è settumplice”. E non a caso Karl Popper ripeterà con calore nel nostro tempo: “La libertà è un’eterna vigilanza”. Il che comporta inevitabilmente “sofferenza”, “accrescimento del dolore”. Quindi, per “non soffrire” ( come scrissi in L’anima e l’occidente ), si compie il ricorso alla Quaternità, simbolo junghiano di Totalità, diversificazione degli interessi, qualificazione perenne del negativo in un diverso valore “positivo”.  Addirittura, in un punto del suo Potere. La dimensione politica dell’azione umana, Lorenzo Infantino ricorda di Weber il chiarimento sulla “fede”, che “è in gran parte dei casi semplicemente la ‘legittimazione’ etica della brama di vendetta, di potenza, di bottino e di prebende”. (10)

Subentra, così, il quarto modo weberiano dell’agire sociale: “il Tradizionale”: cioè quello determinato da “un’abitudine acquisita”. Anche questo tipo di azione è “al limite dell’intenzionalità”, dice Weber, dacché si tratta di azioni compiute in ossequio a “riflessi radicati in una pratica consuetudinaria, senza interrogarsi se esistano altre vie per raggiungere il medesimo fine”. Si sono richiamati in proposito il teorema di Thomas: “Una situazione definita dagli attori come reale, diviene reale nelle sue conseguenze”; oppure la formola di R. K. Merton a proposito della “profezia che si autoavvera”, ben nota in psicopedagogia; e comunque, riferibili, sia il primo che il secondo asserto, a casi particolari della franchiniana “Teoria della previsione” ( specie su Statistica Legislazione Medicina ). Sta di fatto che la quarta “modalità” weberiana assurge a una funzione di  “3+1”, analoga a quella categoria che per Jung è il compimento e complemento necessario onde la triade si concretizzi in tetrade, il quarto momento ( che sembra di “risulta” o di “raccolta” inferiore ) conferendo il titolo di “Totalità” alla connessione e implicazione reciproca di tutti quanti gli altri. Max Weber parla non a caso di “sublimazione”, a proposito del modo affettivo, impegnando un termine desunto dalla psicoanalisi.

Tutto si richiama nella dottrina, o meglio nelle dottrine, della “complessità”. E vi rientra il ruolo delle “emozioni”, delle “passioni”, del “vitale”, che in Weber risulta sì “liminale” ( rispetto alla intenzionalità di “scopo” o di “valore”); ma di impulso per la azione e la costruzione della società in senso orizzontale e insieme di spinta per la edificazione della più complessa struttura ‘verticale’ del potere carismatico. Si tratta di un grido d’allarme ( come ognun vede ) ancora attuale; anche se carico di “psicologismo”, come sembrò al Croce, solidale sul piano politico ma diffidente e critico su quello filosofico, rispetto al Weber. E pensare che alcuni avveduti e rigorosi interpreti del pensiero crociano, quale Gennaro Sasso, hanno ravvisato in Croce alta eco dell’etica “calvinista”, proprio per la dedizione al lavoro, professata in maniera indefessa dal filosofo italiano.

Come scrisse in Soliloquio, “la morte in ozio stupido non ci può trovare”. “La gloria di Dio si attua attraverso la gloria dell’uomo”, in Ottimismo e pessimismo e le tante schede sul “senso del lavoro”, non da adesso comparate nel mio Crocianesimo e senso del lavoro. (11)

Ma la critica allo psicologismo e alla astrattezza idealtipica trova forse un nuovo ruolo nella radice etico-religiosa del liberalismo crociano. Il “cristianesimo” in Croce è “senso del lavoro”; richiamo alla parabola del servo sciocco e del servo che pone a frutto i beni lasciati dal suo signore; o, se si vuole, all’altra narrazione delle vergini stolte e delle vergini prudenti che lasciano accesa la lampada in attesa dello sposo; alla dialettica dell’essere astuti come il serpente e candidi come la colomba; ancora, al “Date a Cesare quel ch’è di Cesare; e a Dio quel ch’ è di Dio”; più in generale ancora, al travaglio della coscienza morale, trepida e fiduciosa, che fu glorificato dalla prima grande “rivoluzione morale” che fu il Cristianesimo. Qui risiede il discrimine tra mero “psicologismo”, statuto delle “emozioni”, della “vendetta” e della “gioia”, della “difesa” attuale e degli schermi parati per l’avvenire di fronte agli attacchi velenosi degli avversari; e – contrariamente – la “dialettica delle passioni”, il travaglio interiore, il fervore dell’opera, che è drammatico e prospettico, “proteso verso l’avvenire” non “timoroso del futuro” ( condizione che rende impossibile, o almeno quanto mai ardua, l’azione “sociale” ). Notevolmente, è il “giudizio storico” come “giudizio prospettico” che Croce descrive nella Filosofia della pratica del 1908 “colpo d’occhio”, che illumina il filosofo italiano giudicando per le sorti del Lenin il “Futurum docebit” nella recensione all’antologia di “Pagine immortali” proposta dal Leonetti, o nel giudizio all’ Assemblea Costituente a proposito dei futuri svantaggi per le nuove generazioni dall’introduzione nella Costituzione delle istituzioni Regionali; è codesta “capacità di previsione”, che è un “ben vedere il presente”, che troviamo operante nel concetto weberiano di “distanza”, intermedio tra “passione ardente” e “fredda lungimiranza”, richiesto nella Politica come professione: “La ‘mancanza di distacco’, semplicemente in quanto tale, è uno dei peccati mortali di ogni politico e una di quelle qualità che, coltivata dalle nuove leve dei nostri intellettuali, li condannerà all’incapacità politica. Infatti il problema è proprio questo: come possono stare legate insieme nella stessa anima la passione infuocata e la fredda lungimiranza ? La politica si fa con la testa, non con altre parti del corpo o dell’anima. E tuttavia la dedizione alla politica – se per politica non s’intende     un frivolo gioco intellettuale, ma un agire autenticamente umano – può nascere e venire alimentata solo dalla passione. Ma quel forte controllo della propria anima, che contraddistingue l’uomo politico appassionato e lo differenzia dal mero dilettante ‘sterilmente eccitato’  ( nella dizione di Georg Simmel 1911, Der Begriff und die Tragodie der Kultur , l’amico filosofo premorto al Weber) è possibile soltanto attraverso l’abitudine alla distanza, in tutti i sensi della parola. La ‘forza’ di una ‘personalità’ politica è legata in primissima istanza al possesso di queste qualità”. (12)

Ora ci domandiamo: oltre codesta interpretazione, con congiunto impegno di chiarificazione e comparazione distinguente tra Croce e Weber, oggi che imperversano la “barbarie della riflessione”, la cyberdittatura o la Ge-stellung tecnocratica, ai limiti della “fine della civiltà” e dell’ Anticristo che è in noi, in una fase in cui comunismo e capitalismo si scambiano camaleonticamente il volto e le parti e sembra di avvicinarsi all’orlo di un abisso ecologico e ambientale, in una forma di junghiana “enantio-dromia” ( come corsa dei contrari a precipizio e sul precipizio); quali conseguenze possiamo trarre per l’azione, oltre che per la dottrina, dalla lezione weberiana, raffrontata al nostro sempre vivo e tenace umanesimo storicistico ?

Ritorna il problema dei problemi. I “quattro sensi delle guise” vichiane ( modalità; modificazioni della mente umana; passaggio tra le forme di attività; e guisa delle guise, Giudizio o Diritto ); a petto dei “quattro modi dell’agire sociale” ( con tutte le implicazioni precedenti e susseguenti, in Weber ): razionale rispetto allo scopo; razionale quanto al valore; ampiamente affettivo; e latamente consuetudinario o “fonte costante di ovvietà” ( mutuando il linguaggio dall’ultimo Husserl della Krisis, a proposito della LebensWelt o mondo della vita ); ebbene,codesti due cospicui paradigmi

ci possono tornare a beneficio, non solo di delucidazione teorica ma anche di inventiva pratica per l’azione “sociale”, “ecologica”, o “Planetaria” ?

E’ il Diritto, meglio il “Diritto al diritto”, la risposta al grave e incombente problema: nella linea da John Locke a Kant, a Bovio e a Kelsen, e da Constant e Minghetti, a Bobbio e Matteucci; da Enrico Cenni a Croce ( purché depurato da forme di “incantesimo manipolativo” o “sofisma illiberale”; e purché sostenuto da una classe dirigente rinnovata e all’altezza dei nuovi problemi ). Ciò è tanto più vero quanto più sembrano incrociarsi due o più opposti errori, sommandosi tra di loro, quali malinteso e smodato liberismo e malinteso o altrettanto smodato Welfare sttalistico, nell’ “assioma” vichiano che ci sta a cuore. (13) Analogamente, si possono sommare tra loro i gravi limiti del potere carismatico di capi con le insulse dispersività dei protocolli burocratici della macchina amministrativa: donde deriva oggi il paradosso per cui, quanto più si proclama la “semplificazione”, tanto più si aggiunge legislazione a legislazione e si “complica” ulteriormente l’organizzazione della società con l’espletamento efficace e tempestivo delle mansioni. Per dirla con Raymond Aron, se è vero na parte: “Bisogna riconoscerlo, Max Weber con la sua filosofia dell’impegno, non offre necessariamente un più sicuro baluardo contro il ritorno dei barbari. Il capo carismatico doveva fornire un rimedio contro il potere della burocrazia: noi abbiamo imparato a temere le promesse dei demagoghi più delle banalità dell’organizzazione razionale”; (14) è anche vero che soltanto la “guisa delle guise”, ossia il Giudizio e la esperienza e saggezza del vichiano “Diritto Universale”, può parare i colpi di entrambi i versanti socio-politici, a presidio della Libertà. E quando nella Scienza come professione del 1919, Weber accoglie il “pluralismo dei valori”, citando in prima battuta Nietzsche e Baudelaire  dicendo: “Di questo, se non altro, siamo certi: che qualcosa può essere bello non solo anche senza essere buono bensì in quanto non è tale, come abbiamo imparato da Nietzsche, e anche prima lo troviamo illustrato nelle Fleures du mal, come chiamò Baudelaire il suo volume di poesie; ed è infine una verità di tutti i giorni che qualcosa  può essere vero sebbene e in quanto non sia bello, né sacro, né buono”. (15) La “verità di tutti i giorni”, detta da Weber “infine”, come – secondo noi – la cosa più importante, altro non è che il principio di unità-distinzione delle forme, attinto agli inizi del secolo dall’autore dissenziente e consenziente, corrispondente e solidale, Benedetto Croce, cui si deve la prima traduzione italiana di Weber. (16)

(1) Luigi Pellicani, Il potere, la libertà e l’eguaglianza, Rubbettino 2012, pp. 23-32; e già prima, le ricerche “di scuola”, a cura di L. Martello, Sulla genesi del capitalismo, Armando, Roma 1989; e di Alessandro Orsini, Le origini del capitalismo, Marco Lungro 2008.

(2) Max Weber, Il lavoro intellettuale come professione, ed. it., Einaudi, Torino 1948.

(3) Cfr. Carteggio Croce-Vossler, Laterza, Bari 1950 e Ed. Nazionale, a cura di Emanuele Cutinelli Rendina, Napoli 1991, p. 68; con Max Weber, Saggi sulla dottrina della scienza (1903-1906 ),ed. it. a cura di A. Roversi, De Donato, Bari 1980, pp. 105-106.

(4) Max Weber, Saggi sul metodo delle scienze storico-sociali, ed. it a cura di Pietro Rossi, Torino 2001, pp. 242-243.

(5) Terze pagine sparse, Bari 1955, II, pp. 130-133; con August Buck, Benedetto Croce e la Germania, in “Rivista di studi crociani”, 1967/4, pp. 129-140,  e Giuseppe Galasso, Nota del Curatore, che ricostruisce tutte le vicissitudini della elaborazione crociana in Appendice all’edizione adelphiana di Teoria e storia della storiografia, Milano 1989, pp. 401-417. A corroborare la mia ipotesi c’è anche il fatto che l’editore Mohr di Tubinga sia stato, nel contempo, editore dello stesso Max Weber nel 1893, 1895, 1909 e poi nel ’22, a cura della moglie Marianne, “Sulla burocrazia” in Gesammelte Aufsatze zur Soziologie und Sozialpolitik e Max Weber. Ein lebensbild ( monumentale biografia ), Mohr ( Paul Siebeck ), Tubinga 1984.

(6) Terze pagine sparse, cit., II, pp. 139-140. – Sull’importanza della lezione weberiana, v. fra l’altro il più recente Vladimir Mironov – Silvano Tagliagambe, Il destino del marxismo in Russia: dall’idolatria al rifiuto, Luiss, Roma 2001 ( con prefazione di Dario Antiseri ).

(7) Cfr. Carlo Antoni, Dallo storicismo alla sociologia, Sansoni, Firenze 1940; B. Croce, Terze pagine sparse, cit., pp. 130-131.

(8) Max Weber, Economia e società, II, Edizioni di Comunità 1995, cap. I.

(9) Eugenio Garin, Intellettuali italiani del XX secolo, Editori Riuniti, Roma 1975.

(10) G. Brescia, L’Anima e l’Occidente, Andria 2000; con la compagine di saggi “La fucina del mondo”. Sintesi del vitale; “Archetipo” junghiano e “senso comune” vichiano; La psicoanalisi è scienza o arte ? ( 2019). Cfr. L. Infantino, Potere, Rubbettino 2013, pp. 132 sgg., con la tematizzazione esposta in M. Weber, Il lavoro intellettuale come professione, ed. it., Torino 1966, p. 116: “dopo la rivoluzione sentimentale, si torna alla realtà quotidiana, e l’eroe creato dalla fede e, soprattutto, questa stessa fede svaniscono, oppure – il che è ancora più importante – divengono elemento della fraseologia convenzionale dei mestieranti e dei tecnici della politica”.

(11) G. Brescia, Croce e il cristianesimo, Lord Acton Istitute, Roma 2003 e Sturzo e Croce, ivi 2006; con i vari apporti su “Filosofia e nuovi sentieri”; “Rivista Rosminiana”; “Osservatorio Letterario Ferrara e l’Altrove”; “Tempo Presente” e “Nuova Antologia” ( inquadrati come momenti dei “Modi della complessità” ).

(12) G. Brescia, Crocianesimo e senso del lavoro, da “Nord e Sud” di Francesco Compagna del 1978 a Questioni dello storicismo.II. Il tempo e le forme, Salentina, Galatina 1981. Cfr., su questi temi del “giudizio prospettico”, Max Weber, La politica come professione, già in Il lavoro intellettuale come professione, cit.; e in Scritti politici, Donzelli, Roma 1998, pp. 216 sgg. in: 175-230.

(13) Cfr. Giuseppe Brescia, Le “Guise della prudenza”. Vita e morte delle nazioni da Vico a noi, Laterza, Bari 2017.

(14)R. Aron, Le tappe del pensiero sociologico, ed. it. , Mondadori, Milano 1972, pp. 514-519.

(15) Max Weber, La scienza come professione (1918), in Il lavoro intellettuale come professione, ed. it., Einaudi, Torino 1948, p. 31.

(16) Lo riconosce anche Angelo Bolaffi, mella sua “Introduzione” a Max Weber, Scritti politici, ed. it., Donzelli, Roma 1998, p. XVI n. in : VII-XXX.