All’avventura parigina di Giorgio De Chirico, Alberto Savinio e “Les Italiens de Paris”, è dedicata la mostra ospitata al Museo torinese Accorsi Ometto e prorogata fino al 27 febbraio prossimo. Nel 1928 prendeva corpo, sotto gli auspici di Waldemar George, al Salon d’Escalier di Parigi, il gruppo des Italiens de Paris, di cui facevano parte Giorgio De Chirico, Alberto Savinio, Mario Tozzi, Filippo De Pisis, Rene’ Paresce, Gino Severini e Massimo Campigli. Da allora il gruppo fu presentato in diverse esposizioni, fino all’ultima tenutasi alla Galerie Charpentier di Parigi. Sono stati proprio “les Italiens a Paris” a rubare la scena ai pittori francesi che li soprannominavano “metechi”. Questi artisti sono stati capaci, infatti, di fondare e contribuire a creare generi e innovare le avanguardie. “Les Italiens” arrivarono a Parigi ciascuno per conto proprio e nel 1928 si riunirono intorno a Mario Tozzi per la prima mostra collettiva del gruppo, suscitando l’ammirazione dei colleghi e le critiche dei detrattori, soprattutto da parte della cosiddetta “accademia francese, che guardava con sospetto tutti quegli artisti stranieri che rubavano la scena ai francesi. Esisteva un sottile fil rouge che univa questi artisti, seppur diversi tra loro, vale a dire l’identità del classico e la stessa idea di una pittura mediterranea e metafisica. Les Italiens erano consapevoli del fatto che, dopo le avanguardie, l’artista dovesse tornare a essere un maestro, ma anche un uomo di pensiero e un intellettuale moderno, come ai tempi del Rinascimento, cambiando tecnica e stile. Accanto a loro Rene’ Paresce, di cui sono presenti opere nella mostra al Museo Accorsi, svolse un ruolo di tramite con la cultura dell’Ecole de Paris, la grande scuola che a Parigi accomunava i pittori apolidi. L’esposizione al Museo Accorsi, curata da Nicoletta Colombo e Giuliana Godio, riesce in modo efficace a restituire, attraverso una settantina di opere, quel clima artistico dialogante e provocatorio che era presente negli anni Venti e Trenta del Novecento a Parigi, capitale di un crocevia spazio temporale irripetibile e unico. Il titolo della mostra si ispira a quello dell’autobiografia scritta da Gualtiero di San Lazzaro, celebre scrittore e critico d’arte emigrato a Parigi, appunto “Parigi era viva”, in cui vengono narrate la vita e le vicende lavorative di Matisse, Picasso e Les Italiens. Di Alberto Savinio, fratello di Giorgio De Chirico, è dedicata, come al secondo artista, un’intera sala della mostra. Savinio, approdato a Parigi nel 1911 e divenuto molto amico del poeta Apollinaire, vi sarebbe ritornato verso la fine degli anni Venti, esponendo in una personale alla galleria Bernheim, con presentazione del catalogo di Jean Cocteau. Sono, questi, gli anni del surrealismo in cui Savinio socializzò con Breton e compagni, frequentando gli altri pittori italiani a Parigi, tra cui De Pisis, Campigli, Gino Severini. Nel ritratto del madre, dipinta accanto a una figura scultorea dell’antichità, emerge il concetto di incomunicabilità tra passato e presente. Il sentimento della nostalgia nei confronti dell’infanzia da parte di Savinio si delinea nell’opera “Tomba di un re moro”, in cui l’aggettivo, in greco, riporta alla figura del bambino. Il pittore, che fu anche critico, musicista e scenografo, fa emergere anche il suo amore per il tema della metamorfosi nell’opera “Penelope” e il suo legame per il teatro nell’opera intitolata “La notte del Re Salomone”. Nel dipinto dal titolo “La fille de la statue” Savinio crea una commistione di antico e moderno, mettendo a confronto il mondo borghese con la cultura classica. Nelle opere presenti in mostra del fratello di Savinio, Giorgio De Chirico, si ritrovano, accanto all’Autoritratto, rimandi metafisici, presenti nei dipinti intitolati “Le cabine misteriose” del 1934, “Le muse” o “Le muse in villeggiatura” del 1927. Di Massimo Campigli l’esposizione propone opere di soggetto femminile con riferimenti a modelli etruschi,
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