Nella mia ideale classifica dei più grandi giornalisti italiani del Novecento Enzo Biagi è al 1° posto, Giorgio Bocca al 2°, Indro Montanelli al 3°. Dunque, non una scelta ideologica. Biagi centro, Bocca sinistra, Montanelli destra.

E’ una classifica per bravura. E’ la classifica dei migliori interpreti di un secolo di giornalismo italiano. Tutti e tre di scrittura meravigliosa, di analisi profonde, di ricerca minuziosa sulle notizie. Ognuno di loro con opinioni ben salde a cui hanno mantenuto fede per l’intera loro vita. Io non credo che esistano i maestri di giornalismo, è un definizione obsoleta. Ma se dovessi indicare tre persone capaci di trasmettere alle nuove generazioni il fascino di questo lavoro, ebbene indicherei proprio loro tre. Direi leggeteli, studiateli, amateli.

Ora che dovrei fare con il terzo, Montanelli? Dopo l’ondata d’indignazione per i fatti gravissimi, dei quali siamo a conoscenza da più di mezzo secolo, di cui viene accusato, accaduti nel 1935 in Etiopia durante la guerra voluta da Mussolini, ecco che cosa dovrei fare? Cancellare brutalmente Montanelli dalla mia classifica? Rinnegare me stesso per avere apprezzato la penna più cruda, più lungimirante e più letteraria del giornalismo italiano? Dovrei anch’io sfregiare il monumento che lo ritrare in un giardino di Milano?

E perché io che discendo da una famiglia di ebrei non mi sono frenato nella passione per la limpidezza della scrittura di un uomo che era stato apertamente antisemita e fascista fino alla radice dei capelli?

Troppe domande e non ho risposte. Se non una. Io Montanelli non lo cancello dalla classifica dei tre giornalisti più grandi di sempre. Perché mi manca, perché ogni mattina vorrei leggere un suo fondo, vorrei scorrere riga dopo riga i suoi pezzi. Mi manca così tanto che ogni giorno mi domando: ma Montanelli che cosa avrebbe scritto?