Mario Soldati, uno degli scrittori più amati, prestò sempre grande attenzione ai luoghi. Uno in particolare, però, lasciò una traccia indelebile nel suo animo: il lago d’Orta. È qui che la grande amicizia e il sodalizio tra Soldati e Mario Bonfantini trovò l’occasione e l’habitat ideale per saldarsi in modo inscindibile. Sulla rivista Lo Strona (n. 1/1979), ricordando l’amico Bonfantini, da poco scomparso, Soldati rievocava “il momento più importante della nostra amicizia e forse anche della sua e della mia vita: un lungo momento magico, tra l’autunno del 1934 e la primavera del 1936, quando il destino ci appaiò, ci assecondò nella scelta di un volontario esilio sul lago d’Orta: quell’auto confino rigeneratore, quel delizioso paradiso perduto e ritrovato che accogliendo lui e me, Mario il vecchio e Mario il giovane, ci salvò in extremis da strazianti, estenuanti, storte vicende sentimentali e restituì l’uno e l’altro al suo vero se stesso”. Soldati nel suo Gli anni di Corconio offriva una bellissima descrizione del viaggio da Novara al Cusio, raccontando luoghi, persone e vicende con una delicatezza che tradiva i suoi sentimenti e l’affetto che nutriva per quel suo luogo dell’anima. Un viaggio che intrapresero in bicicletta, con lo stretto necessario di biancheria e libri legato sui portapacchi (“… tutto il resto, quando avremmo potuto dare il nostro definitivo indirizzo, ci sarebbe arrivato per ferrovia o portato su da qualche amico di Novara che possedeva un’automobile”). Fu un’esperienza importante che Soldati fissò nella sua memoria, al punto da descriverla “come uno dei momenti più felici della mia esistenza”, raccontando la partenza in un pomeriggio dei primi di ottobre del 1934: “… filavamo appaiati sull’asfalto deserto di un lunghissimo rettilineo, nell’aria fresca, nella chiara ombra delle alte cortine dei pioppi. La strada in continua, regolare, lieve salita sembrava fatta apposta per sfidare i nostri garretti: provavamo il piacere di mantenere, con uno sforzo sensibile, ma assolutamente indolore, una velocità quasi da professionisti”. In un primo momento puntarono verso Nebbiuno, sulle colline del lago Maggiore, dove si fermarono sedotti e affascinati da quel nome. Qui però non trovarono l’agognata pace ma il terribile frastuono della fabbrica di chiodi, dal quale fuggirono con orrore. Intrapresa la via dell’alta Valle dell’Agogna, verso Sovazza e Armeno, con l’immagine svettante del Monte Rosa all’orizzonte, apparve davanti ai due letterati-ciclisti il “miraggio, famigliare, idillico, complementare di quello del Rosa: il lago d’Orta, che Mario amava già appassionatamente, e che anch’io amavo, ma conoscevo appena. Da quel momento, fu come se fossimo guidati da una concorde ispirazione, da un’intelligenza misteriosa che ci spingeva, ci spronava a continuare, a scendere verso il lago. Percorremmo velocemente la strada tra Armeno, Miasino e Vaciago, e, dopo Vaciago, giù, senza più ricordare la carta geografica, senza pensare a nessun nome di nessun luogo. Forse era solo, molto semplicemente, la gioia della discesa: o forse quell’azzurro che, tra il verde di ogni tornante, ci invitava a scendere verso il lago”. Così giunsero a Corconio, dove dimorarono nell’alberghetto gestito dalle due sorelle Rigotti, l’Angioletta e la Nitti. Lì, entrambi, quasi adottati da quella famiglia, misero radici e vissero intere stagioni alloggiando in “una stanza d’angolo, la più bella e più soleggiata dell’albergo, con una finestra a nord e una a ovest. Pagavamo ciascuno, per l’alloggio e il vitto vino compreso, centoventi lire al mese”. Le lunghe chiacchierate davanti al fuoco del camino con il Pédar e il Nando, mangiando castagne arrosto o bollite, bevendo il vino nuovo nelle ciotole, si accompagnarono alle pagine che vennero scritte, ai libri che presero forma, agli articoli e ai saggi critici che consentirono loro di racimolare il necessario per poter vivere “da scrittori”. A Corconio, il giovane Soldati rimase due anni. Vi scrisse il suo bellissimo America primo amore (che Mario Bonfantini fece pubblicare da Bemporad a Firenze) e iniziò il romanzo Confessione, oltre a confezionare innumerevoli articoli per Il Lavoro e altre testate giornalistiche. L’ambiente circostante si offriva a loro in tutta la sua bellezza. Sul lago d’Orta, come lui stesso scrisse, indagò — insieme all’inseparabile amico — sul senso da dare al termine civiltà. E lo trovò nelle cose semplici, ma ricche di valori di quell’esperienza. A suggellare il legame tra Mario Soldati e la “terra tra i due laghi”, quel territorio che si distende attorno al Mottarone, svettante, solitario, tra il Maggiore e l’Orta, ci sono anche l’ambientazione delle scene finali del film Piccolo mondo antico , parecchi episodi de I racconti del Maresciallo e quell’atto d’amore rappresentato dal breve documentario Orta Mia del 1960. Altre due iniziative di Mario Soldati, entrambe legate alla nascita di importanti premi letterari, confermano il suo legame con quelle terre: nel 1959, quando contribuì ad istituire il Premio letterario della Resistenza “Città di Omegna”, e nel 1976, quando partecipò alla fondazione del Premio Stresa di Narrativa. Tanti modi diversi per rendere palese e manifesto il suo innamoramento per quel lago stretto tra i monti.
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