Una delle tematiche più “calde” e dibattute di questo afoso mese di luglio, è indubbiamente costituita dalla riforma della Giustizia. Essa, infatti, da oltre venti anni, appassiona e divide i cittadini e nelle ultime settimane il dibattito, sia politico che mediatico, attorno a tale argomento si è, indubbiamente acuito per l’esame parlamentare del testo di riforma proposto dal Ministro della Giustizia Marta Cartabia e per la raccolta firme relative al referendum sulla “Giustizia Giusta”. Tale dibattito, di natura politica e parlamentare, è, però, incentrato, pressoché esclusivamente, sulla riforma del processo penale. È su di esso, di conseguenza, infatti, che sono, dagli anni novanta del secolo scorso in poi puntati i riflettori anche dell’opinione pubblica. Vi è, però, un’altra Giustizia, oltre quella penale, della quale raramente si parla: la Giustizia civile. Eppure, quest’ultima a differenza della Giustizia penale, riguarda un numero nettamente maggiori di cittadini “utenti” del sistema Giustizia. È dalla Giustizia civile che dipendono, ad esempio, le sorti di un’impresa, di un  contratto, di un credito, di un risarcimento del danno, di una separazione o di un divorzio, dell’affidamento di un minore. Andando contro corrente rispetto al dibattito attuale incentrato prevalentemente sulla riforma della Giustizia penale, è opportuno puntare i riflettori dell’opinione pubblica su questa altra metà del cielo, spesso ingiustamente trascurata. E così nei giorni scorsi è stata predisposta da un gruppo di associazione che rappresentano, sotto profili differenti, le istanze dei cittadini, la piattaforma di proposte “Per una riforma della Giustizia civile a misura di cittadino”, la quale è stata sottoposta al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi, ed al Ministro della Giustizia, Marta Cartabia. Essa prende le mosse dalla piena consapevolezza delle Associazioni promotrici delle difficoltà di adottare, nel breve periodo, una riforma dell’intero  processo civile e, nello stesso tempo, della necessità di adottare alcune misure urgenti e di facile attuazione. Le proposte elaborate, infatti, non comportano una revisione dell’attuale impianto processuale ma la semplice introduzione di alcune misure ritenute, ormai, non più procrastinabili. Più in particolare è stato proposto al Presidente Mattarella, al Presidente Draghi ed al Ministro Cartabia di prevedere:

a)il termine massimo di 3 anni e mezzo di durata di ogni grado del processo civile;

b)il rendere esenti da spese vive tutti i processi civili di valore non superiore ad € 5.000,00;

c)l’implementazione della trattazione scritta del processo civile;

d)una proposta concreta e formale di conciliazione  da parte del Magistrato nella fase iniziale del processo, e, di conseguenza, la previsione della procedura di mediazione finalizzata alla conciliazione facoltativa in tutte le materie.

Sebbene tutti e quattro i punti oggetto della proposta siano diretti nella direzione comune – e siano tra loro strettamente collegati – di rendere più efficace, snello, veloce ed economico il processo civile, in questa sede appare opportuno soffermarci su due profili. Innanzitutto la durata massima del processo civile. Tale aspetto, non concerne la prescrizione della quale si dibatte con riferimento ai processi penali, bensì i tempi di risposta del sistema alla richiesta di giustizia per la violazione di un diritto, in sede, appunto, civile. La lunga durata dei processi civili comporta o può comportare dei gravi danni per il titolare del diritto violato. Basti pensare alle conseguenze che può avere per una azienda l’attesa di anni per ottenere il riconoscimento di un proprio credito o ancora per un cittadino il trascorrere del tempo per ottenere il risarcimento del danno. Con il decorso di un ampio spazio temporale tra la proposizione del processo e la conclusione dello stesso, potrebbe, infatti, accadere di tutto. Il debitore potrebbe essere fallito o ancora il soggetto danneggiante, restando agli esempi citati, potrebbe avere depauperato il proprio patrimonio e non avere, quindi, più beni per poter soddisfare l’eventuale pretesa della controparte il cui diritto sia stato riconosciuto in giudizio. È, quindi, evidente in questi casi che la eccessiva durata del processo crea un danno al soggetto al quale è riconosciuto un diritto in sede processuale. Per questi motivi è necessario prevedere una durata massima dei processi civili. Ancora i costi della giustizia. Nel processo civile, infatti, vi sono delle spese vive, che prescindono dagli onorari dell’avvocato, basti pensare al contributo unificato, alle marche da bollo ed alle spese di notifica. Soprattutto il contributo unificato, il quale è previsto dallo Stato in misura prestabilita in base al valore della causa, costituisce spesso un esborso notevole per colui che voglia promuovere un processo civile. Purtroppo, tale aspetto, può comportare la rinunzia del soggetto interessato a difendere e far valere i propri diritti, i quali, in tal modo, divengono facilmente “calpestabili”. Lo Stato dovrebbe impegnarsi a rimuovere ogni possibile ostacolo all’accesso alla Giustizia del cittadino. Una misura che potrebbe essere adottata al riguardo è quella di rendere esente da spese vive tutti i processi, al di là della materia, aventi un valore non superiore ad € 5.000,00, così come previsto nella piattaforma “Per una riforma della Giustizia civile a misura di cittadino”. Oltre all’elaborazione della detta piattaforma ed al sottoporre la stessa alle Istituzioni, è stata lanciata su “change.org” una petizione on line, volta all’adozione delle misure proposte, invitando i cittadini a sottoscrivere la stessa attraverso il link http://chng.it/5QsgwNnHS8. Speriamo che da questa proposta spontanea e non politicizzata, popolare e non populista, possano scaturire dei benefici concreti per i cittadini.

Avv. Emilio Graziuso – Responsabile Nazionale “Dalla Parte del Consumatore”