Con il passare degli anni, si manifesta in modo sempre più netto una certa disaffezione dei cittadini alla res publica, alla partecipazione della vita politica del paese, a cominciare dal momento saliente: le elezioni, la cui affluenza è in costante calo.
In questo, molti si chiedono se la democrazia stessa sia la soluzione migliore ai problemi della collettività o non sia più efficace una forma di governo autoritaria. Le recenti affermazioni elettorali di molti partiti di destra in Europa sembrano far trapelare un’idea di questo tipo. É un’idea estremamente pericolosa, anche se nel breve periodo può sembrare corretta.
Un decisore singolo indubbiamente può dare risposte immediate ed univoche a problemi di tipo emergenziale, invece di aspettare un complesso meccanismo di lacci e lacciuoli la cui ultima ratio, il bilanciamento dei poteri, è proprio rallentare eventuali fughe in avanti.
La Repubblica romana aveva già previsto la figura del dictator, in sostituzione dei due consoli, spesso in conflitto tra loro: in più occasioni salvò Roma dall’annientamento (Cincinnato nel 458 a.C., Quinto Fabio Massimo nel 217 a.C.). Tuttavia, tra le istituzioni della repubblica, era quella con più limiti, innanzitutto temporali, rimanendo in carica solo sei mesi, a sottolineare la consapevolezza della pericolosità di una simile scelta. Possiamo visualizzare il valore della democrazia, pur nella inefficienza, mutuando una metafora dalla fisica.
Collochiamo due bottiglie sul tavolo, una appoggiata sulla base, l’altra al contrario, appoggiata sul tappo. Al trascorrere del tempo entrambe rimangono nella propria posizione: si dice che sono in equilibrio. Ad un certo punto interviene una perturbazione, un colpo al tavolo le sposta dalla posizione di equilibrio, in altra posizione. Successivamente la prima oscillerà ritornando sulla base (equilibrio stabile), la seconda si rovescerà sul tavolo raggiungendo una terza posizione ben diversa da quella iniziale (equilibrio instabile).
In questo esempio la prima bottiglia è la democrazia, i cui pesi e contrappesi rendono stabile agli shock derivanti da crisi o oscillazioni emotive dell’opinione pubblica. La dittatura è la seconda bottiglia: anche se inizialmente sembra sicura e più efficace, finisce con il degenerare facilmente in qualcosa che i suoi sostenitori, soprattutto passivi, realizzano di non volere affatto. A quel punto è però tardi per tornare indietro in modo indolore.
I sovrani illuminati magari regnano saggiamente e sanno dare sviluppo ed armonia ai sudditi, ma i figli sono all’altezza? Quali garanzie vi sono di stabilità nel tempo? Il fascismo ebbe un certo consenso, ma quando produsse leggi razziali e guerra, il consenso venne meno senza che vi fossero strumenti democratici per opporsi; per abbatterlo fu poi necessaria una dolorosa guerra civile.
Il nazismo ottenne risultati organizzativi ed economici strabilianti (che varrebbe la pena di approfondire); in pochi mesi perse un paese sull’orlo del fallimento, lo portò alla piena occupazione, ne rilanciò la produzione industriale facendone un paese in forte crescita (si veda The nazi seizure of power 1965 di William Sheridan Allen pubblicato in Italia da Einaudi con il titolo Come si diventa nazisti), mentre negli Stati Uniti John Steinbeck non aveva difficoltà a trovare materiale per scrivere Furore (1939). Quindi il regime stupì tutti con le Olimpiadi di Monaco del 1936. Quando uscirono i capolavori di Leni Riefensthal Triumph des willens 1935 ed Olympia 1938, i registi americani, e non solo loro, capirono di aver ampiamente sottovalutato cosa avevano di fronte. Il resto è storia: per distruggere un reich di neanche 70 milioni di tedeschi, furono necessari sei anni di guerra combattuta da un’alleanza di quasi tutti gli altri popoli della Terra. I successi iniziali generarono molto consenso, ma quando si mandarono milioni di padri di famiglia a morire in Russia e milioni di ebrei (e non solo) nei campi di sterminio, o le città furono rase al suolo, il sistema politico era ormai degenerato nella più dura repressione e non vi erano più mezzi per opporsi.
Il nazionalsocialismo fu razzista sin dagli albori, ma l’olocausto fu deciso in seguito, non era certo nel programma elettorale del 1932. Non fu fermato perché inizialmente non ci fu la capacità di fiutarne il pericolo derivante dalla sua involuzione.
Per questo, parafrasando Benedetto Croce, non possiamo non dirci antifascisti, sin da subito, accettando la democrazia con le sue inefficienze e prendendo le distanze da qualsiasi tentativo autoritario, per quanto in nuce.