L’8 e il 9 giugno saremo chiamati a esprimere le nostre preferenze nei quattro quesiti referendari sul lavoro, promossi da CGIL, e sul quesito per riformare la legge sulla cittadinanza italiana, proposto da +Europa, Possibile, Partito Socialista Italiano, Radicali Italiani e Rifondazione Comunista.

Vediamo un po’ di che cosa si tratta:

  1. Jobs act: si propone di reintrodurre l’art. 18 nelle imprese con più di 15 dipendenti, affinché chi viene licenziato illegittimamente possa essere reintegrato nel proprio posto di lavoro. Chi aveva abrogato l’art. 18? Era stato il governo con a capo Matteo Renzi, allora segretario del PD, nel 2015, con effetti non retroattivi. Ciò significa che oggi assistiamo al paradosso per il quale il Jobs Act non vale per chi è stato assunto nel settore privato prima del 2015. Inoltre, esso non vale nel settore pubblico, dove l’art. 18 è ancora in vigore. Mentre il Jobs Act (no art. 18) si applica agli assunti nelle aziende private post 2015. Un bel ginepraio. E una bella disparità. Con la vittoria del sì l’art. 18, comunque, non verrebbe applicato – come non le era in passato – alle aziende con meno di 15 dipendenti.
  2. Licenziamenti PMI: si chiede che il giudice possa disporre un indennizzo senza limiti massimi di legge per il dipendente licenziato senza giusta motivazione o giusta causa. Attualmente una PMI può pagare fino a sei mensilità al lavoratore licenziato ingiustamente. Quante e quali sono le PMI in Italia? Partiamo dalle microimprese: le imprese individuali sono il 65% del totale; quelle che hanno da 1 a 4 dipendenti sono il 25%; quelle che hanno da 5 a 9 dipendenti sono solo il 5% circa. Passiamo alle piccole imprese (da 10 a 50 dipendenti), che sono, invece, il 4.8%. Poi ci sono le medie (da 50 a 250 dipendenti), che sono lo 0.5%. Infine, le grandi (oltre 250 dipendenti) raggiungono solo 0.1% del totale. La nuova norma andrebbe a colpire solo le aziende con più di 15 dipendenti (circa il 5% del totale), dove sarebbe applicabile l’art. 18. (N.B. i dati sulle PMI sono in continua evoluzione, perciò le percentuali variano sempre).
  3. Causale lavoro temporaneo: le imprese saranno obbligate a giustificare sempre le assunzioni per brevi periodi. Mentre attualmente era possibile stipulare contratti a tempo determinato fino a 12 mesi, senza esplicitarne la motivazione (Jobs Act 2015). Ma si sa che la maggior parte delle aziende ricorre alla somministrazione di lavoro (ex-lavoro interinale) per sopperire alle esigenze di breve periodo, senza assumere direttamente i lavoratori. Quando è stato introdotto il lavoro a tempo determinato in Italia? Il 24 giugno 1997 con la legge 196 (Pacchetto Treu), durante il governo Prodi, che rivoluzionò il mercato del lavoro in Italia, permettendo alle aziende con più di 15 dipendenti, di non assumere più solo a tempo indeterminato, aggirando i vincoli dell’art. 18.
  4. Infortunio in subappalto: il lavoratore infortunato potrà chiedere il risarcimento anche al committente. Ciò è, in realtà, già previsto dal d.lgs. 494/1996 (Gov. Prodi) sulla sicurezza e salute nei cantieri temporanei nel settore dell’edilizia. Tanto che il privato cittadino che ristruttura la propria abitazione è responsabile della sicurezza dei lavoratori all’opera. Il quesito estenderebbe la responsabilità a tutti i settori lavorativi.
  5. Cittadinanza: attualmente uno straniero extracomunitario può chiedere la cittadinanza italiana se risiede da almeno dieci anni in Italia. La norma propone di dimezzare questo periodo, stabilito dalla Legge Gentiloni del 1992, emanata durante il governo Andreotti VII. Se andiamo alle origini della storia d’Italia, scopriamo che il periodo di 10 anni di residenza per richiedere la naturalizzazione era già previsto dal Codice Civile del 1865 e dalla legge 555 del 1912. Attualmente, in Europa non c’è una regola univoca per la naturalizzazione: in Spagna e Portogallo servono 10 anni di residenza, in Francia e Germania 5. A questo requisito, poi, si aggiungono esami in lingua più o meno complessi: ad esempio, in Francia e in Italia è richiesto un livello B1 (intermedio). In Italia la conoscenza a livello B1 è stata introdotta nel 2018. E non è una grande richiesta se si considera che in Gran Bretagna, per ottenere la cittadinanza, bisogna superare il test “The life in the UK” sulla storia e la cultura del paese di Sua Maestà: 24 quesiti in 45 minuti. Non proprio uno scherzo. (Apro una parentesi: pochi sanno che in questi giorni è stato approvato un Decreto sulla Cittadinanza, che limita lo ius sanguinis (previsto dalla legge del 1992) per chi risiede all’estero a due generazioni: solo i figli o i nipoti degli italiani con doppia cittadinanza potranno diventare cittadini italiani.)

Dopo questo breve excursus storico, sembrerebbe di poter affermare che i quesiti proposti negli attuali referendum dalla CGIL vadano a scompaginare un apparato legislativo quasi tutto made in PD. Strano, ma vero, l’art. 18 non è stato eliminato da uno dei tanti governi Berlusconi, né il lavoro a tempo determinato è stato introdotto in Italia da qualche Ministro del centro-destra, né la legge sulla cittadinanza è figlia di qualche proposta leghista. Altrimenti, queste riforme non sarebbero mai state approvate: vi immaginate le manifestazioni contrarie? Gli scioperi generali? Invece, nessuno si è opposto. Si è pensato che fossero buone idee. Oggi, invece, no. E per pubblicizzare al meglio il referendum è anche uscita in libreria l’autobiografia di Landini. Mentre la Schlein chiede che i cittadini possano accedere a una informazione completa sul referendum. Mi auguro che questo articolo possa contribuire alla conoscenza storica degli ultimi decenni di una legislazione sul lavoro, che ha provato ad abbattere la disoccupazione in Italia, e di una legislazione sulla cittadinanza, che si fonda sulla continuità con le origini del nostro Paese.