Due cose sono certe: una è la morte, l’altra le lamentele dei genitori al termine delle lezioni.
Ogni anno viene lanciata una petizione che propone di ridistribuire le vacanze scolastiche durante l’anno, assottigliando la pausa estiva fino a ridurla al solo mese di agosto. Secondo i promotori, la scansione dell’attuale calendario scolastico non risponderebbe alle esigenze delle famiglie, poiché ancora legata all’antica abitudine di impiegare i minori nella raccolta dei prodotti agricoli durante i mesi caldi.
Non vi dirò le solite cose che tutti sappiamo già – ma qualcuno finge di non aver mai sentito – cioè che gli insegnanti sono in servizio anche dopo il termine e prima dell’inizio delle lezioni per svolgere riunioni e riorganizzare il materiale, oppure perché impegnati negli esami. Oggi voglio parlare d’altro.
Proviamo ad analizzare la lunga storia dell’evoluzione del calendario scolastico italiano. Nell’Italia postunitaria la prima campanella suonava il primo di ottobre, mentre le porte delle aule venivano chiuse nel mese di luglio. Ogni giovedì era di riposo, poiché l’intento del legislatore era di permettere ai bambini di riposarsi, visto che erano anche impiegati nei campi e nelle officine. Visto e considerato che più di metà della popolazione era analfabeta, ai tempi il vero problema era convincere i genitori a mandare a scuola i figli e non a tenerli a casa. Questa fu una costante preoccupazione pure negli anni successivi alla riforma Gentile, quando il numero di giorni di lezione fu fissato a 180 e il termine delle lezioni, esami compresi, al 30 giugno. Pare che anche allora d’estate facesse caldo e che questo influisse negativamente sui risultati scolastici degli alunni, come riportato nella circolare ministeriale n. 62 del 21 agosto 1926.
E oggi? Attualmente il calendario scolastico prevede almeno 200 giorni di lezioni. Strano, ma vero, in Europa è un primato che l’Italia si contende con la Danimarca. In tutti gli altri Paesi si ha una durata che varia tra 175 e 195 giorni. A guardar bene, quindi, i genitori italiani hanno quasi un mese di scuola in più rispetto, per esempio, ai colleghi dell’Estonia.
Inoltre, anche se la pausa estiva venisse ridotta, i giorni di frequenza resterebbero comunque 200. Perciò si creerebbe un altro problema: organizzare un cre ogni tre o quattro settimane. Con l’aggravante che si dovrebbe andare a scuola nei mesi più caldi, quando le temperature possono raggiungere i 40°. E, forse, non tutti sanno che noi insegnanti siamo molto ecologisti e quindi, per contenere i consumi e salvare il pianeta, l’aria condizionata è installata solo negli uffici delle segreterie e delle dirigenze. Lascio immaginare ai lettori le condizioni climatiche delle aule, soprattutto quelle ai piani alti.
Forse sarebbe il caso di non prendersela con la scuola, dove non ci crederete ma lavorano anche tanti genitori tra personale ata e docenti. Forse sarebbe il caso di prendersela con chi non si preoccupa di supportare le famiglie con progetti a lunga durata.