Non mi interesso quasi più di scuola perché ritengo ormai un discorso quasi impossibile quello volto  alla riqualificazione di questa istituzione. Se si considera la mia esperienza anche di docente liceale e di presidente  nazionale della Federazione italiana dei Docenti, si può cogliere la mia fortissima  delusione che mi ha portato a disinteressarmi dei problemi scolastici. Ogni tanto leggo sui giornali qualche articolo, ma con assoluta parsimonia, perché i temi della scuola e anche dell’università  possono provocarmi delle reazioni dolorose che cerco di evitarmi. Solo raramente leggo soprattutto articoli relativi all’Università che è meglio messa rispetto alle scuole superiori.

Leggendo un ‘intervista  in occasione delle prove degli Esami di Maturità di quest’anno ad Eraldo Affinati -che deve la sua fama soprattutto  alla dedizione, insieme alla moglie, al mondo della scuola – ho notato in particolare una riflessione dello scrittore sulla incapacità dei giovani d’oggi ad affrontare il commento di  un testo perché la scuola non insegna e non abitua alla lettura. Quindi Tomasi e Pasolini diventano ostici, come d’altra parte ogni testo letterario. La sintesi, i riassunti sono alla base della scuola d’oggi, dice lo scrittore.

Il discorso è certo  assai più complesso perché molti studenti non sono in grado di capire un testo anche non letterario perché mancano delle basi linguistiche, morfologiche e sintattiche, considerate ormai obsolete. Mancano in alcuni casi  anche delle capacità di ragionamento, quello che Pascal definiva “il pensare come si deve“.

Le osservazioni di Affinati mi hanno fatto venire alla mente il peggior professore della mia carriera di studente: tal Remo Frassino o Fassino (non sono riuscito a ricostruire neppure il cognome) nativo e residente a Pinerolo che tutte le mattine a bordo di una 600 veniva a Torino ad insegnare, nel ginnasio da me frequentato, ben cinque  materie: Italiano, Latino, Greco, Storia e Geografia. Ore ed ore ogni settimana, un tormento ed una noia infiniti. Mai un guizzo di intelligenza, mai qualcosa che non fosse il grigiore tendente al rossiccio, il colore dei suoi capelli e non solo… Era un bacchettone, scapolo, abbastanza ignorantello, un catto-comunista ante litteram che quell’anno ci obbligò a fare un quaderno sul quale dovevamo incollare i ritagli degli articoli sul Concilio Vaticano II che il professore vedeva come una nuova presa della Bastiglia.

Il docente era esigentissimo nell’obbligarci a fare riassunti di ogni materia ,senza capire che finiva di proporci una pseudo -cultura fondata sul detestato Bignami usato di norma  dagli studenti privi di impegno.  Riassumere era il suo imperativo categorico. La lettura, ad esempio dei “Promessi sposi “, diventava secondaria rispetto al riassunto che il professore controllava periodicamente per controllare che tutti avessero i quaderni a posto, senza mai verificare il contenuto di queste sintesi che spesso nel caso mio, scriveva mia madre, per evitarmi una ulteriore fatica, considerata dalla mia mamma del tutto inutile. I miei genitori che pure dissentivano totalmente dal professore non fecero mai nulla contro di lui , anzi lo ignorarono del tutto senza andare neppure una volta a colloquio con lui. Solo per interposta persona consigliò come ripetitore di Greco (dove vacillavo) un suo amico: un consiglio che mio padre non prese in considerazione. Per fortuna la quinta ginnasio passò e mi  ritrovai in liceo dotato di ferree capacità di tagliare e incollare (quasi come si fa oggi con il pc) articoli e anche di riassumere.

Se però avessi avuto una guida come il professore pinerolese anche in liceo sarebbe stata la fine. Fui invece stimolato, anzi direi obbligato a leggere i testi ed ebbi un’educazione estetica anche da parte di un precettore privato scelto da mio padre. Era un professore che aveva conosciuto Croce e mi mise in mano il suo “Breviario di estetica“ . Capii in modo inequivocabile i limiti del professore del Ginnasio che appariva già allora l’esempio di un nozionismo becero in cui eccelsero tutti i miei compagni di scuola che forse non riuscirono neppure a laurearsi ma al ginnasio giunsero al 10.

Per tutt’altri motivi la scuola è di nuovo ridotta così. Il vento tempestoso  del ‘68 ha travolto tutto, ma il semplicismo mnemonico è rimasto. Anche gli slogan sessantottini erano a modo loro sintetici e frutto di letture frettolose.

Nel ‘69 il ministro Fiorentino Sullo  pensò di eliminare la contestazione, riducendo l’esame a due prove scritte e due orali. Da quel momento i licei incominciarono a perdere il loro valore formativo e via via prevalse il facilismo con la conseguente desertificazione degli studi. Tra licei e istituti tecnici il divario venne colmato e tutti i diplomati dal 69 vennero ammessi a tutte le facoltà indiscriminatamente ope legis.  La visione stitica – mi si passi la piccola volgarità che rispetto al linguaggio d’oggi è una raffinatezza – del professore di Pinerolo e’ sopravvissuta a tutto, anzi e’ l’unica cosa che resta.

Certo un testo di Tomasi di Lampedusa e anche di Pasolini (che ebbe una formazione classica) diventa una prova difficoltosa perchè la sintesi è il punto di arrivo dell’analisi attenta e della lettura puntuale. Cose che nella scuola d’oggi sono diventate delle rarità. Giustissimo vietare i telefonini a scuola, ma vietare non basta: bisogna ricostruire o costruire ex novo.