Per Garibaldi era “tutto ciò che ogni italiano non dovrebbe ignorare della propria storia”. Il Canto degli Italiani, quello che tutti conoscono come Inno di Mameli, è molto più di una melodia patriottica: è un filo rosso che attraversa il nostro Risorgimento, le guerre d’Indipendenza, le dittature e la Repubblica, cantato in ogni stagione della storia italiana.
Nato nell’autunno del 1847 dalla penna del giovane poeta mazziniano Goffredo Mameli e messo in musica in una notte da Michele Novaro, patriota torinese, il canto fece il suo esordio il 10 dicembre di quell’anno a Genova, davanti a trentamila persone. Fu subito amato: un’adesione popolare spontanea, profonda. Da allora, non ci fu manifestazione pubblica in cui non riecheggiasse quel coro. Durante le Cinque Giornate di Milano, fu il grido eversivo degli insorti, perseguitati invano dalle autorità. In Piemonte, accompagnò con entusiasmo lo Statuto concesso da Carlo Alberto il 4 marzo 1848. Nelle guerre d’Indipendenza fu conforto e incitamento ai volontari. E nel 1862 Verdi lo scelse, con Marsigliese e God Save the Queen, per rappresentare l’Italia all’Esposizione Universale di Londra.  Dopo l’Unità, lo si insegnava nelle scuole, e continuò a essere cantato anche sotto il fascismo, seppur vietato nelle cerimonie ufficiali perché incompatibile con l’ideologia del regime. Ma non lo si poteva estirpare: apparteneva ormai alla coscienza popolare. L’8 settembre 1943 segnò una cesura. Il Regno abbandonava la Marcia Reale, compromessa dalla complicità col fascismo. Provvisoriamente, venne scelta La Canzone del Piave. Ma intanto Il Canto degli Italiani tornava a farsi sentire, tra le trincee partigiane e i reduci politici liberati da Ventotene. Nel 1946, su proposta del ministro Cipriano Facchinetti, il governo De Gasperi lo adottò provvisoriamente come inno nazionale. E il 22 dicembre 1947, il popolo lo cantò spontaneamente dalle tribune, durante l’approvazione della Costituzione. I Padri Costituenti si unirono al coro, ma dimenticarono un dettaglio: renderlo definitivo. Così, mentre la Carta indicava il Tricolore come bandiera, l’inno restava sospeso, provvisorio, per oltre settant’anni. Lo stemma, almeno, fu scelto tramite concorso: nacque così lo “Stellone” di Paolo Paschetto. Ma l’inno, pur suonato e rispettato, restava senza un riconoscimento formale. Eppure, il suo valore simbolico è indiscutibile. Mameli, morto ventunenne durante la difesa del Gianicolo nel 1849, fu definito da Giancarlo De Cataldo “un ragazzo che sa usare con maestria la spada e la penna”. I suoi versi parlano di libertà, fratellanza, uguaglianza. E riflettono la visione repubblicana e democratica di Mazzini. Non mancarono, certo, le critiche: Mazzini trovava la musica poco marziale, il testo poco incisivo. Negli anni Cinquanta e Sessanta fu giudicato arcaico, perfino “di destra”. I riferimenti alla patria venivano fraintesi, come retaggi del fascismo. “Paese” divenne allora parola più adatta ai tempi. In seguito, arrivarono anche le spinte secessioniste: la prima Lega Nord metteva in discussione perfino i simboli dell’unità nazionale. L’inno finì ai margini. Non si insegnava più. I calciatori italiani tacevano durante le partite. I silenzi dei Mondiali del ’98 e del 2002 fecero rumore. A risvegliarlo fu Carlo Azeglio Ciampi, presidente appassionato del Risorgimento. Rilanciò il Tricolore, la parata del 2 giugno, affidò l’inno a grandi direttori come Sinopoli, Mehta, Abbado. E chiese agli sportivi di cantarlo, “perché è il risveglio degli Italiani che li ha portati alla libertà”. Ai Mondiali del 2006, la Nazionale lo cantò. E vinse. Riccardo Muti ne offrì un’interpretazione musicale raffinata, sobria, “che Dio ce lo conservi”, disse. Roberto Benigni lo raccontò in tv, rendendolo emozionante, comprensibile a tutti. Nel 2012 lo studio dell’inno rientrò nei programmi scolastici. Ma per cancellarne la provvisorietà servirono ancora cinque anni e un Parlamento tenace. Fu Umberto D’Ottavio, deputato piemontese d’origine pugliese, a guidare l’iter, raccogliendo consenso oltre gli schieramenti. Il 4 dicembre 2017, finalmente, Il Canto degli Italiani, musicato da Novaro, diventò Inno ufficiale della Repubblica Italiana. Dopo settantuno anni, un simbolo ritrovato.