A volte, di notte, soffia un vento che lucida le stelle e rende il cielo talmente chiaro e nitido che ogni cosa prende forma anche nel buio. I contorni delle barche che dondolano all’ormeggio, i pali scuri degli attracchi dei battelli della navigazione, i pontili e i moli lasciano dietro di sé lunghe ombre. Si vedono nettamente i profili delle montagne e basta andare un poco più in alto, sulla scalinata della chiesa di Baveno, per distinguere le vette della catena alpina al confine con la Svizzera. Siamo sulla sponda piemontese del lago Maggiore, lo specchio d’acqua che ha stregato illustri personaggi , artisti e scrittori: Hemingway, Goethe, Byron, Fogazzaro, D’Azeglio, Rosmini, Manzoni, Flaubert, Mann, Bernard Shaw, Wagner, Toscanini, Verga. Marie-Henri Beyle, più noto come Stendhal, ne fu affascinato al punto da affermare in una lettera che “se si ha un cuore sensibile bisogna vendersi anche la camicia pur di visitare il lago Maggiore”, omaggiando il luogo dove ambientò due capitoli de La certosa di Parma e buona parte del suo Viaggio in Italia. E’ il lago dove, terminata la guerra, scrittori, artisti e intellettuali di diverse parti del mondo, da Hesse a Remarque, da Frisch alla Highsmith, da Jawlenski a Max Ernst, decisero di prendervi dimora. Ma è, senza nulla togliere ad altri, il lago descritto con amore dai luinesi Piero Chiara e Vittorio Sereni. Per non parlare di Dario Fo che raccontò la sua infanzia sulle sponde del Maggiore nell’autobiografico Il paese dei Mezaràt. Guardando al calare della sera il lago dall’imbarcadero di Baveno è tutto un gioco di luci che si rincorrono sui lungolaghi dell’altra parte del golfo Borromeo, tra Suna e Pallanza fino alla punta della Castagnola, dove la riva ridiventa scura e si può solo intuire che c’è Intra, nascosta dietro la curva dell’Eden. Verso Laveno e Santa Caterina del Sasso, sulla sponda lombarda, quella “magra”, altre luci, altre strade, case e gente. Il ritmare dell’onda che s’infrange, ritirandosi per far posto ad un’altra prima di compiere nuovamente lo stesso movimento, secondo il moto dell’acqua e la direzione del vento, è come una musica che calma i nervi, distendendo l’animo. Sono le onde del lago che viene risalito per tutta la sua lunghezza dall’Inverna, il vento che nella buona stagione si alza ogni giorno dalla pianura piemontese e lombarda e migra in Svizzera, nel canton Ticino. E’ il lago delle onde vagabonde che arrivano così, senza preavviso: l’acqua scappa e ritorna indietro, succhia i remi delle barche e le accarezza sotto il ventre legnoso, affidando il proprio odore d’alga all’aria che soffia. E’ il fascino di questo lago di confine dove non è infrequente vedere qualcuno che, a riva, ne annusa il vento, ascolta le onde, guarda il profilo dei monti che si riflettono nell’acqua cangiante. E quando la luna si staglia più lucente che mai nel cielo nitido, trapuntato di stelle, e l’aria diventa più fresca viene spontaneo tirarsi su il bavero della giacca, infilare le mani in tasca e godersi lo spettacolo del lago che ha rubato l’anima a letterati e viaggiatori.
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