Coda, l’amico biellese, di Pier Franco Quaglieni

Il Centro Pannunzio è ormai radicato in tutta Italia ed ha tra i suoi soci le personalità più diverse e anche contrastanti come è giusto che sia in un centro liberale, ma non necessariamente di cultura liberale. Questa è una distinzione importante che non tutti colgono. Essere esclusivamente di cultura liberale sarebbe molto riduttivo. Mario Coda è stato fin dal 1968 un pannunziano, anzi il pannunziano di Biella che aveva letto per anni “Il mondo“ di Pannunzio. Ieri è  morto a Biella a 91 anni, una vita per il socialismo democratico e l’ideale monarchico. Le sue idee potevano essere anche considerate un ossimoro vivente, mentre l’idea di una monarchia nordeuropea poteva essere un’ipotesi possibile, anche se oggettivamente  lontana dalla storia sabauda. Fu un socialista saragattiano in un terra, quella biellese, ricca di tradizioni socialiste riformiste, che espresse anche dei parlamentari. Coda, che fu consigliere e assessore comunale di Biella, avrebbe potuto rappresentare in Parlamento la sua zona, ma gli fu preferito un tal Barbera che non aveva storia e venne eletto al Senato. La politica anche nella prima repubblica andava così. Coda aveva un rapporto diretto con Saragat che lo invitava a pranzo quando era in vacanza in Valle d’Aosta. Sicuramente ha conservato testimonianze preziose di questa lunga amicizia che in parte ho condiviso. Il PSDI era il partito di Nicolazzi e di Magliano e un uomo di vasti interessi culturali come lui doveva sentirsi a disagio in un partito di grandi e nobili ideali, ma totalmente assoggettato al clientelismo che privilegiava i mediocri e i procacciatori di tessere. Un suo grande amico Marziano Magliola che fu anche lui assessore a Biella, scelse di entrare nel PRI, stanco di una stagnazione politica mortificante. Ricordo che una volta in cui mi trovai in un caso pazzesco e mi avevano clonato una mia lettera del tutto falsa pubblicata su un giornale a mia firma, fu il primo a scendere in campo a mia difesa senza neppure chiedermi la benché minima spiegazione. Nell’ambiente monarchico fu una rara avis, considerato al pari di un eretico. Nell’Umi ebbe pochi amici come Vincenzo Pich e Guido Aghina che fu assessore socialista a Milano. I vari gerarchi monarchici da Boschiero al generale Mazzara lo detestavano e fecero di tutto per farlo tacere, ma il suo giornale “Il sentiero“ continuò ad uscire imperterrito. I capi non capirono che Coda dimostrava che la monarchia era al di sopra delle parti e che l’Umi raccoglieva monarchici di ogni orientamento. A loro andava bene un’associazione di fatto allineata con la destra reazionaria, in alcuni casi anche fascista. Solo il Re Umberto, come disse anche a me più volte, stimava ed apprezzava Coda insignito di una onorificenza sabauda che lo nobilitava. Su un punto dissentivamo: Piero  Gobetti che lui vedeva come un mito. Quando lesse  un mio libro, Mario si convinse che Gobetti non meritava il culto ostentato da molti che più che liberali progressisti erano  in realtà dei veri comunisti. Credo si sia dissociato dal centro Gobetti di Torino, covo di gente incompatibile con le nostre idee democratiche ed europeiste. E’ stato anche uno studioso e un cultore  scrupoloso di storia locale. Ebbe una predilezione per il Santuario di Oropa dove ricoprì incarichi di responsabilità. A Pollone nella biblioteca “Benedetto Croce”  il 25 aprile di quest’anno venne insieme a Marziano Magliola a presentare il mio libro su Matteotti. Io ero ancora un po’ acciaccato dall’ intervento del ‘24, mentre il novantenne Coda fu  molto brillante e fonte inesauribile di ricordi precisi e lucidissimi. Sarei stato tentato di chiedergli la ricetta dell’elisir della sua  lunga vita, poi ritenni la battuta fuori posto perché Mario era rimasto giovane nella mente e nel fisico. Era inevitabile ricordare insieme un convegno a Sauze d’ Oulx nel 1967 di cui siamo unici superstiti Magliola e chi scrive. Al ritorno Vittorio Prunas Tola ci invitò a cena a Cavour alla Locanda della Posta. Prunas che era un uomo colto ed onesto, aveva capito chi era Coda.Viene da dire: O gran nobiltà dei cavalieri antiqui. In riferimento ovviamente a Prunas e a Coda. Ci sarebbero tanti altri ricordi di una lunga amicizia che era iniziata nel 1963 e che segnò anche incontri a me non graditi, legati ad una rancorosa invidia  giovanile nei miei confronti. Di quegli anni l’unico amico che resta oggi, è il conte Giorgio Brinatti, gentiluomo di antico stampo ritrovato in questi ultimi anni con gli stessi sentimenti di allora. Con Mario c’erano anche idee  diverse e persino contrastanti – io sono rimasto soprattutto un liberale -, ma l’onestà intellettuale che improntava il nostro rapporto, ci consentì di vivere un’esperienza che non ha eguali. Nella mia vita ho conosciuto tanta gente e sono stato amico di molti, ma la longevità del rapporto con Coda e con Magliola resta unica insieme a quella con Brinatti  fortunatamente “recuperato” di recente quando venne ad ascoltarmi a ricordare Umberto II. Coda fu molto legato a Gustavo Buratti Zanchi, imprenditore illuminato, politico che dal PNM passò al PSI, poeta raffinato e molto altro. Pur riconoscendone l’importanza, non ho mai legato con Buratti che finì anche di condividere posizioni un po’ estremiste a me lontanissime. Buratti, non a caso, si riteneva un gobettiano. Coda seppe tenere salda una coerenza che resta la parte più nobile della sua lunga vita e rende ancor più  dolorosa la sua morte. Resta di lui un ricordo pieno di dignità e di cultura. Un esempio da indicare ai giovani che non appartengono alla generazione Z e che vogliano riscoprire le radici della storia e della vita.