Le sorelle Kessler, di Pier Franco Quaglieni

Il caso delle sorelle Kessler costringe tutti, senza eccezioni, al rispetto e al riserbo anche se l’idea del lutto di fronte ad suicidio programmato e assistito appare fuori posto. Due persone di spettacolo che durante la loro carriera erano rimaste sempre abbastanza riservate, hanno deciso di chiudere con il botto finale. In certe decisioni gioca sicuramente il declino, l’oblio e la solitudine. Gli articoli che ho letto, volti ad esaltare – pur tra tanti se preliminari – la fine delle due sorelle come una conquista civile in Italia impossibile, non mi hanno convinto. La decisione di due donne molto anziane non può essere discussa, ma neppure strumentalizzata e citata come esempio. Gli esempi da citare – se ci sono – sono altri.

In passato il suicidio veniva indicato come atto estremo di amore per la libertà e della Patria da Catone l’Uticense a Jacopo Ortis. Oggi il suicidio è non solo rifiuto del dolore fisico, ma persino paura della vita. Ricordo che ci fu un giudice torinese, Giuseppe Manfredini, che si suicidò nel 1956 per il dubbio di aver commesso un errore giudiziario. Il suo fu un vero dramma che suscitò clamore, ma oggi è un caso del tutto dimenticato di fronte alla sicumera di certi personaggi. Mi sono venuti in mente casi molto diversi e lontani da quello delle due ballerine. Il nichilismo relativista ha demolito valori ritenuti irrinunciabili e la Chiesa cattolica appare oggi più possibilista su certi temi. Lo slogan infelice usato in Toscana che ha approvato una legge sul fine vita, appare tremendo nel suo cinismo: ”Liberi subito fino alla fine“.

Ho letto il libro sul fine vita di un mio vecchio amico studioso di filosofia che adesso si atteggia a filosofo e debbo dire con sincerità che i suoi sofismi non mi hanno convinto. A me resta ben presente il valore della vita e il dramma della morte attraverso il suicidio. Posso umanamente capire, ma non condividere, l’idea di porre fine alla propria esistenza di fronte a dolori intollerabili, ma non riuscirò mai a vedere nel suicidio  assistito un valore positivo, anche prescindendo dalla fede religiosa. Che un piccolo cantante dica che dalle due sorelle “si impara a vivere” mi sembra un’affermazione quasi oscena.