Il libro di Oliva sulla prima guerra civile italiana, di Pier Franco Quaglieni
Secondo lo storico Gianni Oliva, che è uno dei pochi studiosi non a priori ideologicamente schierati, le rivolte e la repressione nel Mezzogiorno dopo l’Unità d’Italia rappresentarono la prima guerra civile italiana. Non so se la tesi sia totalmente condivisibile perché chi scrive resta fermo al magistero di Rosario Romeo che ebbe una visione diversa del problema del brigantaggio, del latifondo e della stessa questione meridionale perché vide nel Risorgimento e nell’ Unità d’Italia la prospettiva di riscatto delle plebi meridionali. Anche Giajme Pintor, che si era occupato del socialismo risorgimentale di Carlo Pisacane, riconobbe nel Risorgimento l’unico episodio della nostra storia politica capace di restituire all’ Europa“ un popolo di levantini e di africani“. Oliva sceglie una sua strada, facendo una ricerca non preconcetta. Tralascia giustemente anche il lavoro realizzazato da Alessandro Barbero che entrò in dialogo polemico con Pino Aprile, capofila del violento ed esasperato revisionismo filo borbonico che demonizza il Risorgimento. Oliva analizza una situazione che rischiò di mettere in crisi lo Stato unitario a pochi anni dalla sua fondazione : da una parte i ribelli che si oppongono con la violenza più brutale ed efferata alle nuove istituzioni, dall’altra lo Stato che risponde con rastrellamenti , incendi di villaggi e fucilazioni sommarie. Oliva analizza le cause sociali del brigantaggio, riconoscendo però che a volte si trattò di bande criminali che si ammantavano di pretesti politici. Riconosce anche che agenti borbonici, papalini e reazionari locali non esitarono a fomentare il caos per destabilizzare lo Stato appena costituito.
In effetti, come scrisse Narciso Nada, lo Stato dovette difendersi e le ragioni immediate della forza dovettero necessariamente prevalere sulle valutazioni sociali. La classe dirigente liberale, di fronte anche al pericolo di possibili interventi stranieri, dovette reagire. Imputare ad essa una rozza insensibilità sociale come fa Federico Fornaro, scrivendo anche del libro di Oliva, senza recensirlo,significa rimasticare la vulgata gramsciana senza neppure considerare Rosario Romeo che dimostrò con rigore storiografico la valenza ideologica e non documentata della critica gramsciana. La stessa legge Pica contro il brigantaggio promulgata dal re Vittorio Emanuele a Ferragosto sta a dimostrare l’emergenza drammatica i cui si era caduti. Fare gli Italiani, come diceva d’Azeglio, richiedeva tempi lunghi specie al Sud, difendere l’Italia imponeva tempi rapidi e il ricorso all’ Esercito.Non ci furono altre strade percorribili. Se non si fosse difesa l’esistenza dello Stato, non sarebbero stati possibili ne ‘scuole ne’ ospedali, come mi disse una volta Rosario Romeo. Questa risulta essere la verità storica che nell’ultimo periodo della sua vita riconosceva anche Umberto Levra che si era liberato dagli ideologismi della giovinezza. La visione moderata di Nada andrebbe totalmente ricuperata perche essa rappresentò una lettura del Risorgimento che impedi a molti di noi di lasciarsi abbindolare dalle sirene del manicheismo ideologico. Il libro di Oliva si discosta dalle vulgate e contribuisce a dare un giudizio complessivo su quella che rappresentò la prima guerra civile italiana. Forse una guerra un po’ ibrida, si direbbe adesso, non una guerra di classe come il buon Fornaro sembra sottintendere.



