Dicembre 1969, una giovane donna si guarda soddisfatta allo specchio: non è molto alta ma è fatta bene, calza degli stivali di vernice nera dal tacco basso, che superano di gran lunga il ginocchio, attestandosi a mezza coscia; il corto vestitino di velluto nero, tutto decorato di fiori di paillettes dello stesso colore, li sfiora appena. Nonostante sia pudico, con le maniche a sbuffo e il polso alto, la ragazza è davvero sexy: sarà per i capelli biondo platino acconciati in complicate evoluzioni sulla nuca, che ricadono in riccioli a lato del bel volto, o per gli occhi con l’eyeliner. Un mangiadischi gracchia “Ma che freddo fa” di Nada, una bambina paffuta e vivace lo rispinge giù non appena finisce: questo è il ricordo che ho di mia madre che si preparava ad uscire con mio padre, per una serata tutta “shake e balera, lasciandomi con la nonna –io avevo 6 anni e lei 27-.

Scusate il revival nostalgico, ma io me le ricordo bene le atmosfere beat di quegli anni, ravvivate da successi nostrani come “Lisa dagli occhi blu” di Mario Tessuto, “Tutta mia la città” dell’Equipe 84 o “Balla Linda” di Gianni Morandi. Ed è proprio quel periodo incredibile, cerniera tra la spensieratezza dei motivetti orecchiabili anni ’60 e le musiche impegnate del decennio successivo, che “sguazzano”, anzi “suonano” Billi Spuma e i suoi Gassati. I 6 musicisti cantano l’Italia dei capelloni e delle speranze giovanili, del Cantagiro e delle rotonde sul mare, la spensieratezza delle estati nostrane e delle prime libertà di una società in epocale rinnovamento.

Attraverso le capacità di ottimi musicisti e l’ironia, i 6 “gassati”, capitanati da uno scatenato Billi Spuma, al secolo Luigi Ratclif, la voce, ci portano in un viaggio negli anni del beat italiano. Tra twist e hully gully, surf e rthythm and blues, la band nei suo concerti ripercorre la storia, il costume, i balli e le mode degli anni ’60.

I loro concerti hanno una scaletta ricca, con circa 25 brani tra cui successi indimenticabili come “Stasera mi butto”, “Guarda come dondolo”, “Tintarella di luna”, “I Watussi”, “Sapore di sale”, “La pelle nera”, “Bandiera gialla”, “Cuore matto”.

Paul Vinci, chitarra, Benny Pizzuto, basso, Marc Fioretti, organo elettronico e Sandro Marangon, batteria sono le “spalle” musicali di uno scatenatissimo Billi Spuma. Il loro repertorio è incisivo e trascinante, al punto che i presenti, all’inizio timidi, abbandonano i loro posti a tavola e si scatenano al ritmo del ge ghe gè, facendo sembrare attuali brani che hanno oltre 60 anni e trascinando anche i giovani.

Mara: «Luigi, o devo chiamarti Billi? Da dove arrivate? Nel senso: che origini avete?»

Billi: «Siamo insieme da 28 anni e da allora non ci siamo mai fermati. Il debutto avvenne all’Hiroshima Mon Amour di Via Belfiore, poi diventammo la band residente del Big Club. Quando arrivavamo noi, impossibile tenere i piedi fermi e restare seduti. Da lì siamo stati invitati in molti luoghi, tra i quali lo storico Vienna di Modena, dove è nato il beat italiano, e anche all’estero».

Mara: «Un nome come il vostro non è casuale: perché lo avete scelto?»

Billi: «Il nome evoca la bibita simbolo dell’Italia del boom economico, la spuma, la risposta nostrana alla bevanda americana più venduta al mondo. La si trovava ovunque: in drogheria, nei bar, all’oratorio, bionda o bruna, al gusto di cedro o di bitter. La metafora della bibita rende bene lo spumeggiare dei suoni che dall’Inghilterra stavano conquistando il mondo e che in Italia, rivisitati e addomesticati ai nostri gusti, i gruppi nostrani assorbivano e spesso restituivano in cover dalle traduzioni a volte “creative”».

Mara: «Sei un uomo colto, che si occupa di organizzare eventi e divulgare fenomeni e tendenze, cosa ti ha spinto a scegliere questo periodo musicale?»

Billi: «Sono nato nel 1954, quindi negli anni ’60 avevo i calzoni corti; comunque ascoltavo i brani beat che arrivavano dall’Inghilterra, infilando le monetine nei jukebox. Da adulto mi sono interessato a questo periodo in modo professionale, alle sue caratteristiche tecniche, al suo sfruttare elementi del rock and roll, dello swing e del blues, per comporre brani orecchiabili e molto amati dal grande pubblico. Ricordo il modo in cui si diffuse, dando vita a un movimento culturale che si rifletteva anche nella moda e nelle abitudini giovanili, che portarono alla “beat generation”, che vedeva nella musica una forma di ribellione e un modo per esprimere nuove idee e valori. Ebbe un grande impatto sulla cultura giovanile, quindi su di me e i miei coetanei, contribuendo a un cambiamento nelle abitudini musicali, nel modo di vestire e nell’atteggiamento verso la società. Ci piace proporre la musica beat italiana dei numerosi gruppi e solisti che adottarono questo stile, come l’Equipe 84, i Dik Dik, i Nomadi e Patty Pravo».

Luigi è un uomo timido fuori dal palco, ma appena vi sale con le sue giacche sgargianti, si trasforma; si comporta esattamente come il gas che saliva nel collo della bottiglia della spuma, quando si toglieva il sigillo alla macchinetta di ferro che lo bloccava. Vederlo e ascoltarlo è un piacere, così come i suoi colleghi.

Il binomio Osteria Rabezzana-Billi Spuma e i suoi Gassati è ormai consolidato, e spesso il nutrito cartellone della rassegna Rabmatazz lo celebra. Le serate organizzate unendo il buon cibo, il buon vino e la musica diventano occasioni per ripercorrere, in modo leggero e divertente, la storia, il costume, i balli e le mode di quei mitici anni, ricreando le serate in balera del boom economico tra complessi, twist e hully gully, jukebox e canzoni d’amore. Sempre sold-out le serate in osteria e, forse complice il buon vino Rabezzana, dopo i primi brani, tutti i presenti spostano sedie e tavoli e si lanciano in balli scatenati che fanno bene allo spirito e all’umore. Ragazzi! Restate sempre gassatissimi!