Breve ricognizione delle più recenti sentenze CEDU in materia di sessismo negli atti giudiziari, di Giuseppe Piccardo
Il sessismo negli atti giudiziari di parte e dei giudici di linguaggio sessista o discriminatorio, nei confronti delle vittime di violenza di genere è, purtroppo, sempre attuale e ha costretto la CEDU, ad intervenire contro l’Italia in diverse occasioni e in diversi contesti.
Con la presente nota, si intende effettuare una brevissima ricognizione dei più recenti interventi al riguardo.
La CEDU, nel condannare più volte l’Italia, come detto, sul punto,ha sottolineato l’importanza del ruolo della magistratura nella lotta alla violenza di genere, in conformità ai principi della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (nota come la Convenzione di Istanbul), nonché alle Direttive, Raccomandazioni e Risoluzioni del Parlamento Europeo.
Infatti, secondo la Corte di Strasburgo, sul presupposto che i processi e le sanzioni hanno un ruolo cruciale nella risposta istituzionale alla violenza di genere e nella lotta alla disuguaglianza di genere, hanno precisato che “È quindi essenziale che le autorità giudiziarie evitino di riprodurre stereotipi sessisti nelle decisioni dei tribunali, minimizzando la violenza di genere ed esponendo le donne a una vittimizzazione secondaria attraverso l’uso di un linguaggio colpevolizzante e moraleggiante che mina la fiducia delle vittime nel sistema giudiziario” (vedi sent. CEDU 27.5.21, J.L. c/Italia, ricorso n.5671/16).
Detti principi si pongono in continuità con quellli già espressi con la sentenza CEDU 28.5.15, Y. c/Slovenia (ricorso n. 41107/10) e sono stati ribaditi, in un altro caso di violenza sessuale commessa sul posto di lavoro, nella recentissima sentenza CEDU 4.9.25 c/Francia (ricorso n. 30556/22), con cui si è affermato che nello svolgimento del procedimento, parallelamente alla garanzia dell’effettivo rispetto dei diritti della difesa, le autorità giudiziarie devono garantire la tutela dell’immagine, della dignità e della vita privata delle presunte vittime. La Corte, in particolare, ha precisato che è essenziale evitare di riprodurre stereotipi sessisti nelle decisioni giudiziarie, minimizzando la violenza di genere ed esponendo le donne a vittimizzazione secondaria, utilizzando un linguaggio colpevolizzante e moralizzatore che può scoraggiare la fiducia delle vittime nel sistema giudiziario. Qualora l’indagine abbia portato all’avvio di un procedimento dinanzi ai tribunali nazionali, tale obbligo procedurale si estende anche alla fase del processo (vedi CEDU Z. c/Bulgaria, 28 maggio 2020, ricorso n. 39257/17).
Di rilievo è altresì l’utilizzo di espressioni offensive o sconvenienti in atti giudiziari, in relazione ai quali, ad avviso dello scrivente, può essere chiesta la cancellazione al giudice, ai sensi dell’articolo 89 c.p.c., anche al fine di dissuadere chi ne fa utilizzo a conformarsi a principi di corretta esposizione e difesa nei casi di allegazioni di violenza, ed evitare il gravissimo fenomeno della vittimizzazione secondaria.