Dal 2022, in forza dell’intervento della Corte Costituzionale,  è possibile attribuire ai nuovi nati, il cognome materno, da solo o in aggiunta a quello paterno. Il principio, a tre anni  dalla storica sentenza della Consulta, numero 131 del 27 aprile 2022, è rimasto, sul piano pratico, solo parzialmente attuato, in assenza di una legge che disciplini e risolva alcuni profili critici dell’attribuzione del cognome materno ai figli.

Tuttavia,  nonostante quanto sopra, va precisato che la portata storica della citata sentenza non sminuisce il pregevolissimo lavoro interpretativo che la Corte Costituzionale ha svolto e che ha avuto, quale esito finale, la dichiarazione di incostituzionalità  del primo comma dell’art. 262 del codice civile da cui derivava l’automatismo del cognome paterno. L’articolo 262 c.c., relativo al cognome del figlio nato al di fuori del matrimonio, prevedeva, in particolare, l’assunzione del cognome paterno, qualora il il riconoscimento venisse effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori.

La norma rifletteva la disciplina sull’attribuzione del cognome del figlio nato all’interno del matrimonio. Infatti,  la formulazione dell’articolo  144 c.c., antecedente alla riforma del 1975 (legge 19 maggio 1975, n. 151, recante «Riforma del diritto di famiglia»), con un testo  sovrapponibile a quello al quale si ispirava, l’art. 131 del codice civile del Regno d’Italia del 1865 , disponeva, in particolare, che: «il marito è capo della famiglia; la moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome ed è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli crede opportuno di fissare la residenza».
In tale contesto, il cognome del marito imposto alla moglie era quello della famiglia; ciò, ovviamente, rendeva superfluo esplicitare la sua trasmissione ai figli nati nel matrimonio.

Con la riforma del diritto di famiglia del 1975,  veniva introdotto l’articolo  143-bis c.c., con la previsione dell’aggiunta (invece della preesistente sostituzione),  del cognome del marito a quello della moglie, disposizione univocamente interpretata nel senso che attribuisse a quest’ultima una facoltà e non un obbligo ( riguardo all’unione civile tra persone dello stesso sesso le parti, per la durata dell’unione civile, possono stabilire di assumere un cognome comune, scegliendolo tra i loro cognomi ai sensi dell’ art. 1, comma 10, l. n. 76 del 2006 e art. 70 octies d.P.R 396 del 2000).

Con la revisione del diritto di famiglia del 1975, si iniziava, quindi, a mitigare l’immagine del cognome del marito quale unico cognome familiare.. La riforma della filiazione, introdotta dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali) e dal d.lgs 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219) non modifcava, in alcun modo detta disposizione di legge.

Tale assenza di intervento legislativo, provocava diversi interventi della Corte Costituzionale sul tema del cognome materno del figlio nato al di fuori del matrimonio, con particolare riguardo al sopra citato articolo 262 c.c., ed in particolare:
– nel 1988, con riferimento al cognome del figlio nato nel matrimonio, rilevava che “sarebbe possibile, e probabilmente consentaneo all’evoluzione della coscienza sociale, sostituire la regola vigente in ordine alla determinazione del nome distintivo dei membri della famiglia costituita dal matrimonio con un criterio diverso, più rispettoso dell’autonomia dei coniugi, il quale concili i due principi sanciti dall’art. 29 della Costituzione, anziché avvalersi dell’autorizzazione a limitare l’uno in funzione dell’altro» (ordinanza n. 176 del 1988).
– nel 2006, invece, la Consulta precisava che «l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna” (sentenza n. 61 del 2006, ripresa dalla successiva ordinanza n. 145 del 2007).
– nel 2016, preso atto che, a “distanza di molti anni  dalle citate pronunce, un “criterio diverso, più rispettoso dell’autonomia dei coniugi, non ancora stato introdotto» (sentenza n. 286 del 2016), la Corte, «in attesa di un indifferibile intervento legislativo, destinato a disciplinare organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di parità» accoglieva le questioni di legittimità che le erano state sottoposte e, negli stretti limiti tracciati dal petitum, ha, dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma, nella parte in cui non consentiva «ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno», estendendo così, in via consequenziale, i suoi effetti sia all’art. 262, comma 1, secondo periodo, c.c., sia a quella sull’attribuzione del cognome all’adottato (maggiore d’età) da parte di coniugi (art. 299, comma 3, c.c.)

Successivamente a detti interventi, nel 2022, la Corte Costituzionale veniva investita di una nuova questione di legittimità costituzionale dell’art. 262 c.c., sotto un duplice profilo.
*  a seguito di rinvio – ordinanza iscritta al n. 78 del reg. ord. 2020 – da parte del Tribunale di Bolzano, con il quale veniva denunciata l’illegittimità costituzionale nella parte in cui non consentiva di attribuire, con l’accordo fra i genitori, il solo cognome della madre; si invocava quindi, un intervento additivo avente contenuto radicalmente derogatorio della regola generale sull’automatica trasmissione del cognome paterno;
* in via  pregiudiziale, con ordinanza iscritta al n. 25 del reg. ord. 2021, prospettata dalla medesima Corte quale giudice remittente, nella parte in cui, in attesa di un intervento legislativo/sostitutivo della norma, era ancora prevista, in mancanza di diverso accordo tra i genitori, l’attribuzione alla nascita del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi.

I parametri costituzionali violati erano, secondo il giudice rimettente, relativi agli articoli  2 Cost., in relazione alla tutela dell’identità del figlio e 3 Cost.,  a difesa del principio di eguaglianza nei rapporti fra i genitori, ma anche il contrasto con gli obblighi internazionali, fissati dalla  giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, sulla protezione dell’identità personale del figlio, mediata dall’art. 8 CEDU, e sul divieto di discriminazioni, di cui all’art. 14 CEDU, secondo i quali, infatti, il cognome è attributivo della propria identità personale oltre che tratto essenziale della personalità (sentenza n. 268 del 2002; nello stesso senso, sentenza n. 120 del 2001)» (sentenza n. 286 del 2016) e  “diritto fondamentale della persona umana” (sentenze n. 13 del 1994, n. 297 del 1996 e, da ultimo, sentenza n. 120 del 2001).

Peraltro, la selezione della sola linea parentale paterna oscurava, evidentemente e, unilateralmente, il rapporto genitoriale con la madre, considerato che, in ipotesi di riconoscimento contemporaneo del figlio, l’automatismo imposto dal’art. 262 c.c. andava a creare una palese diseguaglianza tra i genitori; inoltre, la regola dell’attribuzione del solo cognome paterno, non può che rappresentare, effettivamente,  il riflesso di una disparità di trattamento che, concepita in seno alla famiglia fondata sul matrimonio, estesa, automaticamente, anche sull’attribuzione del cognome al figlio nato fuori dal matrimonio, ove contemporaneamente riconosciuto.

Tale automatismo, oggettivamente, non era più giustificabile nè nei valori viventi della società, né con riferimento ai principi costituzionali, ed in particolare nell’art. 3 Cost., sul quale si fonda il rapporto fra i genitori, uniti nel perseguire l’interesse del figlio, né nel coordinamento tra principio di eguaglianza e di salvaguardia dell’unità familiare, di cui all’art. 29, comma 2 , Cost., che si riflette sull’unità della famiglia fondata sul matrimonio e sull’uguaglianza dei coniugi, sulla reciproca solidarietà e sulla condivisione delle scelte educative dei figli e delle scelte di vita (art. 143 e 144 c.c.  posr riforma del diritto di famiglia del 1975).

In assenza di una effettiva tutela della possibilità di attribuzione del cognome materno, sulla scorta del solo precedente della Consulta del 2016, sopra citato, che demandava all’accordo in funzione derogatoria tra i genitori, le valutazioni sul cognome del nascituro, la Consulta, nel 2022,concludeva nel senso che il cognome del figlio dovesse comporsi con i cognomi dei genitori, salvo loro diverso accordo.

Quanto sopra, a fronte di una disciplina che, garantendo l’attribuzione del cognome del padre,  poneva la madre in una posizione asimmetrica, inficiante la possibilità di un accordo. Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 262, comma 1, secondo periodo,c.c., e delle norme collegate, relative all’adozione di maggiorenne, all’affidamento e alla disciplina dello stato civile (art. 299, comma 3 cod.civ., sull’adozione da parte dei coniugi del maggiore d’età e  disciplina sull’ordinamento dello stato civile, ove vieta di assegnare al bambino lo stesso nome del padre o del fratello o della sorella viventi), deriva, quindi, un “doppio binario” tra i nati prima e dopo la sentenza della Corte Costituzionale, stante la non retroattività della disposizione.
Dunque, per i bambini nati dopo il 1 giugno 2022, si potrà optare per la scelta dei genitori, sia in ordine al cognome/cognomi da attribuire al neonato, sia in relazione all’ordine, con il consenso di entrambi i genitori; per  i nati anteriormente al 1 giugno 2022,  eventuali richieste di modifica del cognome, salvo specifici interventi del legislatore, dovranno seguire la procedura regolata dall’art. 89 del D.P.R. n. 396 del 2000, come sostituito dall’art. 2, comma 1, del D.P.R. n. 54 del 2012.
Quanto sopra non muta, con riferimento alle coppie di fatto.

Dunque, in sintesi, dal 2022, ai nuovi nati è possibile comporre il cognome come segue:
1. Cognome paterno e cognome materno (anche senza il consenso del padre, che non può opporsi al doppio cognome). L’ordine dei cognomi prevede quindi prima quello del padre;
2. Cognome materno e cognome paterno (se c’è il consenso di entrambi i genitori);
3. Solo cognome materno (se c’è il consenso di entrambi i genitori);
4. Solo cognome paterno (se c’è il consenso di entrambi i genitori).

La regola diventa quindi il doppio cognome, composto da tutti gli elementi del cognome del padre e della madre nell’ordine deciso dai genitori.
Genitori che possono, di comune accordo, scegliere di attribuire anche solo il cognome paterno o solo il materno. Ciò sia in sede di dichiarazione di nascita, sia in tutti i provvedimenti di adozione che impattano sul cognome dell’adottato.

Ad oggi, rimangono irrisolte alcune questioni pratiche, applicative dei principi espressi dalla Consulta, nel 2022, ed in particolare:

– il proliferare di cognomi per i nuovi nati;

– omogeneità di cognomi tra più figli degli stessi genitori;

– criteri di scelta del cognome, da parte del giudice, in caso di disaccordo tra i genitori.

L’auspicio è che il Parlamento proceda, nel più breve tempo possibile, con l’adozione di una normativa adeguata all’attuazione dei principi indicati dalla Corte Costituzionale, senza rimanere, ancora una volta, inerte davanti alle sollecitazioni del Giudice delle Leggi, come sta avvenendo con riferimento ad altre questioni delicate e importanti, in quanto correlate ai diritti fondamentali della persona.