In Institutiones, Liber Secundus, Saecularium Litterarum, V, De Musica, § 2 (ca. 560) Aurelio Cassiodoro scrive: «Musica quippe est scientia bene modulandi; quod si nos bona conuersatione tractemus, tali disciplinae probamur semper esse sociati. Quando uero iniquitates gerimus, musicam non habemus. Caelum quoque et terra, uel omnia quae in eis dispensatione superna  peraguntur, non sunt sine musica disciplina; nam Pythagoras hunc mundum per musicam conditum et gubernari posse testatur»[1]. Un ignoto traduttore, sensibile tanto all’orrore della malvagità umana quanto alla suprema bellezza edificante e salvifica della musica, così volgarizza epigraficamente: «Se continueremo a commettere ingiustizie, Dio ci lascerà senza la musica». La versione proposta, timorosa ed esaltata, propria di uno spirito inquieto e passionale, ancorché fascinosa è tuttavia non poco forzata, perché l’intero testo in realtà vuol dire che se ci comportiamo male o ingiustamente offendiamo l’armonia dell’Universo. Cassiodoro si rifaceva alle teorie pitagoriche soprattutto attraverso Sant’Agostino, che nel De Musica, 389, è ammaliato dallo scienziato e filosofo greco per la concezione matematica del Creato[2], e Severino Boezio, che nel De Institutione Musica, ca. 507-510, teorizza la celebre tripartizione di musica mundana (la pitagorica cosmica “musica delle sfere” appunto), musica humana (che muove dal macrocosmo al microcosmo, cioè contempla le forme percepibili all’uomo nate dalla trasformazione o adattamento o semplificazione della precedente, suprema e inudibile in Terra)e musica instrumentalis (quella che gli umani eseguono normalmente con gli strumenti musicali).

            Quale che sia l’avvenire del mondo, speriamo che in ogni caso Dio (o qualche umano inaffidabile) non ci lasci davvero senza musica.


[1]Corsivo nostro.

[2]In particolare Agostino è un fanatico del numero 10, straordinariamente sacro come somma dei primi 4 numeri; inoltre per lui la Luna simboleggia la Vergine Maria e il Sole Gesù Cristo.