Lo stato laico non è uno stato indifferente al sentire religioso. Semplicemente non è teocratico e non è confessionale. Chi lo ha concepito e lottato per realizzarlo mirava a una cooperazione culturale, economica politica fra i popoli, appartenenti a una medesima area, che, in riferimento a fatti storici concreti, ci vuol poco a identificare con L’Europa. Se sono cattolico, perché non posso fare affari con un ebreo o un islamico specie se scopro che, come può pure capitare, quell’ ebreo o quell’islamico rispetta gli impegni, è puntuale nella consegna e mi vende la merce a un giusto prezzo? Perché mai le frontiere del mio paese devono chiudersi a chi, senza far nulla di male, professa una religione diversa dalla mia?

Ci si dimentica che lo stato moderno e laico, proprio in quanto moderno, nasce quando il cittadino scopre d’avere una coscienza che è una sorta di contenitore più capace dell’anima. L’anima è sensibilità, sensualità, disposizione a percepire a volte non si sa bene che cosa. La coscienza è di più e la si scoprì all’epoca in cui fece la sua apparizione in Europa il protestantesimo. Uomini di chiesa e “filosofi” fecero presto a capire che la disposizione di legge per cui s’era fatto valere il principio cuius regio, eius religio non tacitava i dubbi perché, per dirla con la semplicità di un genuino ragionamento, non potrò dire “sono stato protestante in vita perché il mio sovrano era protestante; se fosse stato cattolico, sarei stato cattolico”. Nel redde rationem questa scusa non può valere. Dovrò dire d’aver fatto la scelta che era alla mia coscienza la più corretta.

Questo appello alla coscienza non c’era stato ai tempi dello scisma d’Oriente perché in quell’occasione le due diverse confessioni la cattolica e la copta si presentarono spontaneamente come espressione di una spiritualità caratterizzante due aree culturali diverse, l’uno latina e cattolica, l’altra greca e ortodossa. Il protestantesimo nelle sue varie forme quali il luteranesimo, il calvinismo, l’anabattismo si diffusero a macchia di leopardo nei territori dell’impero dell’attonito Carlo V.

La nozione di coscienza, che servì ai più acculturati a dirimere i problemi derivanti dall’urgenza di risolvere un problema nato da una situazione nuova, suggerì l’idea che perfino chi fosse dubbioso d’avere un’anima, poteva peraltro avere una coscienza. E si cominciò a parlare di coscienza civica, di condivisione dei problemi comuni a chiunque viva negli spazi di una società civile, a prescindere dal fatto d’avere o non avere una fede religiosa. E il cosiddetto libertinismo, tipico della cultura francese ma anche di certe aree italiane, riprese silenziosamente quota.

Questi non altri furono i presupposti da cui nacque lo stato moderno che è liberale e, come autenticamente liberale, non pone frontiere alle merci, il che comporta non porre frontiere alle idee. Il risultato più apprezzabile è che il cittadino di uno stato dell’EU può oggi girare l’Europa in lungo e in largo perché cittadino della Comunità.

Quello di Israele non è oggi uno stato né liberale né moderno ed è perfino dubbio che lo sia mai stato, se si considera che gli appartenenti all’ etnia palestinese più che non integrati, sono stati di fatto (e di diritto) tollerati, per essere oggi indiscriminatamente uccisi, vecchi, donne e bambini compresi, dandosi ad Hamas tutta la responsabilità delle stragi compiute per ordine dell’attuale governo israeliano. Mi pare un’enormità. Se infatti altri usano per proteggersi degli scudi umani, io non posso e non devo colpire quegli scudi, dimenticandomi che, scudi per quanto, sono sempre esseri umani e, se da una parte c’è un’incudine, io poi non posso agire come martello.

Si dirà che tutto questo sa di moralismo e che la politica è altra cosa. Non è così perché così facendo le schiere di Hamas, quando dovesse finire questa sporca guerra, diventeranno nel giro di pochi anni più numerose e agguerrite. Ed è probabilmente per scongiurare questo rischio che si mira alla distruzione dell’etnia palestinese nel territorio d’Israele. 

Io non tollero ma mi sforzo d’essere cortese e ospitale nei confronti di chi visibilmente non appartiene alla mia cultura. “Sforzo” che compio perché nelle sue più remote radici la cultura italiana alla quale io appartengo ha delle sue diffidenze nei confronti di chi non appaia italiano / europeo. Anch’io, come tutti noto chi è “diverso” da me per come veste, per come mangia, per come parla e perfino per i gesti che fa. La mia coscienza civica di uomo moderno mi impone però di pensare che queste cose per me non debbano avere alcuna importanza. Fino a prova contraria le persone meritano tutte uguale rispetto. L’equivoco è quello di cedere a pregiudizi razziali, rischio che si sta inspiegabilmente rinnovando negli stati europei.

Anche qui ribadisco che non si tratta di fare i moralisti, ma di riconoscere che non c’è ragione di addossare a quanti ancora non hanno neanche messo il naso nel nostro paese colpe immaginarie ignorando l’insufficienza di tutta una macchina organizzativa lenta perfino nell’accertare i diritti, se vi sono, dei richiedenti asilo politico; tardigrada nel concedere il diritto di soggiorno al lavoratore straniero in regola; incapace di individuare e perseguire datori di lavoro che, evitando di denunciare l’assunzione di un dipendente, ne fanno un “clandestino”.

Ammetterò di non aver dimenticato quanto in Italia è accaduto a Satnam Singh. A proposito, a quanti italiani questo nome dice ancora oggi qualcosa?