Su un giornale nazionale qualcuno presenta un po’ di statistiche sull’Università, dalle quali emerge che, nel personale docente, di fronte ad una maggioranza di donne a livello di ricercatore (il primo gradino della carriera), c’è una netta maggioranza di uomini al gradino più alto (professore ordinario). Collocato nell’ambito di un indignato discorso sulla (mancata) parità di genere, quel dato mi ispira una riflessione che discende dal mio “vissuto” (come oggi usa dire) e che sottopongo al Magazine scusandomi di introdurla con alcune inevitabili righe autobiografiche.
Entrai tardi (a 30 anni) nella carriera universitaria con uno sparuto bagaglio di pubblicazioni, e impiegai dieci anni per costruirmi il cv che mi valse la cattedra. Ma furono dieci anni di lavoro matto e disperatissimo, che ben poco concedeva ai sabato e alle domeniche, ben poco alla cura della famiglia, in particolare dei figli. Senza contare che, arrivato al vertice, non è lieve fatica lavorare per restarci. Sono passati cinquanta anni, e di quel decennio non ho ancora finito di pagare il prezzo. Come promesso, esco dal “particulare” per pormi la domanda: quante donne sarebbero state disposte ad attraversare una simile prova nei loro anni fertili, in vista di un esito tutto considerato malcerto? Disposte a pagare un prezzo che – ne sono intimamente convinto – per una donna è anche più alto che per un uomo, a parità di condizioni?
Altro giornale, e l’attenzione è dedicata alle aziende importanti, quelle quotate in borsa. La statistica rivela che le donne hanno quasi raggiunto la parità a livello di Presidenti, mentre sono ancora rare come CEO. Non sarà che vale anche qui il discorso fatto per le cattedre universitarie? E l’ambiente è anche più competitivo: quanto costa crearsi la figura con la quale diventare CEO di Generali o di Iren? Una considerazione finale: se è vero quanto dicevo, e cioè che il prezzo di quei dieci anni per una donna è ancora più alto che per un uomo, ebbene, questo implica una disuguaglianza. Ma “per i disuguali l’uguaglianza diventa disuguaglianza”: e questo è Platone…..
Infine, due parole sul “linguaggio di genere”, dopo aver premesso che, secondo me, a creare la lingua è l’uso, non è l’Accademia della Crusca. Molto se ne discute sui media, ma c’è un aspetto che non ho mai incontrato, ed è che il politicamente corretto può produrre effetti inaspettati. Provo ad argomentare prendendo a titolo d’esempio un personaggio famoso ed una frase come la seguente: “molti pensano che Giulia Bongiorno sia il miglior avvocato penalista italiano”. La signora Bongiorno ne sarebbe certamente molto gratificata. Prendiamo adesso l’alternativa “corretta”: “molti pensano che Giulia Bongiorno sia la migliore avvocata penalista italiana”. Chissà perché, sospetto che la signora ne sarebbe un po’ meno gratificata….