Il cristianesimo si fonda sulla incarnazione, morte e risurrezione di Cristo. Cristo è l’Uomo Dio venuto su questa terra a patire e a morire per la salvezza del genere umano.
Non entra nel nostro mondo in pompa magna, come un grande sovrano, ma nasce da una insignificante vergine, Maria, promessa sposa del giusto Giuseppe. Maria concepì Cristo per opera dello Spirito Santo. Maria in Luca 1, 48 si definisce “umile”. Il testo evangelico recita: “… perché ha guardato l’umiltà della sua serva”, che nell’originale greco suona oti epeblepsen epi tēn tapeinōsin tēs doulēn autou. Il sostantivo greco che la CEI traduce con “umiltà”, in realtà veicola idee quali: “uguale a niente”, “povera di spirito”, “insignificante”, “anonima”.
Ma questa povera vergine viene ricoperta dall’Ombra di Dio (Luca 1, 35). L’espressione non poteva non richiamare per l’ebreo la nube, attraverso la quale Dio si manifestava durante il pellegrinaggio nel deserto. Questa nube si posava sopra l’Arca dell’Alleanza, che conteneva le Tavole della Legge. Ora è Maria la novella Arca dell’Alleanza, in quanto in lei nasce il Logos, Cristo, la Parola.
Perché Dio si incarna qui scegliendo come dimora l’utero di una nullità? Dio viene tra noi per amore, per portare a realizzazione le promesse dei Profeti relative all’era messianica, allo Shalom, la Pace Messianica, termine ebraico che veicola etimologicamente il significato di “pienezza” dei doni di Dio verso la povera umanità.
Cristo realizza questo insondabile mistero di amore offrendosi come sacrificio a Dio Padre, così da dare compimento ai sacrifici antichi. Il sacrificio cruento avvenne più di duemila anni fa sulla croce: la Messa è il rinnovamento del sacrificio in modo non cruento.
Infatti, il sacerdote invoca la discesa dello Spirito sul pane e sul vino (epiclesi) cosicché essi diventino realmente, veramente e sostanzialmente il corpo e il sangue di Cristo. Questo mistero si chiama transustanziazione. Del pane e del vino rimangono solo gli accidenti, le specie, le apparenze, mentre sono diventati nella sostanza Cristo stesso.
Questa verità è sempre esistita nella chiesa. Gesù dice riferendosi al pane: “Questo è il mio corpo”. San Paolo parla di una “comunione” a Cristo durante il banchetto eucaristico. Ma tale verità venne formalizzata così dalla teologia medioevale, la quale si rifaceva ad Aristotele, il quale introdusse nel pensiero filosofico occidentale le categorie di sostanza e accidente. In verità Aristotele parlava di sinolo, per cui sostanza e accidente sono tra di loro uniti, tanto che non può sussistere l’accidente senza la sostanza. Allora i teologi medioevali si chiedevano: per via della dottrina del sinolo, come è possibile che cambi la sostanza del pane e del vino ma che sussistano allo stesso modo gli accidenti del pane e del vino? Si tratta di un ulteriore miracolo che Dio compie in ogni Messa.
Il sacerdote poi spezza il pane e versa il vino: vale a dire che sacrifica a Dio Padre il corpo e il sangue di Cristo.
Inoltre Cristo non è solo vittima sacrificale, ma anche sacerdote. È dottrina cattolica che l’unico vero sacerdote è Cristo Signore, mentre il sacerdote umano esplica la funzione sacrale “in Personā Christi”, nella Persona di Cristo, vale a dire che è Cristo che agisce nell’essere umano.
Tommaso d’Aquino risponde a una obiezione. L‘Apostolo Paolo (Ebrei 10, 14) afferma che Cristo “con un‘unica oblazione ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati”. Ora, quell‘oblazione fu la sua immolazione, quindi per alcuni teologi Cristo non si immolerebbe di nuovo nella celebrazione di questo sacramento. Allora il grande Tommaso risponde citando Ambrogio (Summa Theologiae III q83 a 1 ad 1):
Come dice S. Ambrogio, “unica è la vittima”, quella che Cristo ha offerto e che noi offriamo, “e non molte, essendosi Cristo immolato una volta sola, ed essendo questo sacrificio modellato su quello. Come infatti unico è il corpo che viene offerto in ogni luogo, e non molti corpi, così pure unico è il sacrificio”.
Ecco la formula della consacrazione secondo la versione di Luca, capitolo 22:
14Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, 15e disse: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, 16poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio”. 17E preso un calice, rese grazie e disse: “Prendetelo e distribuitelo tra voi, 18poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio”. 19Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. 20Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”.
Gli studiosi osservano come in queste parole di Cristo siano condensati almeno tre nuclei tematici.
Innanzitutto, Gesù si richiama a Esodo 24:
1 Aveva detto a Mosè: «Sali verso il Signore tu e Aronne, Nadab e Abiu e insieme settanta anziani d’Israele; voi vi prostrerete da lontano, 2 poi Mosè avanzerà solo verso il Signore, ma gli altri non si avvicineranno e il popolo non salirà con lui». 3 Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose insieme e disse: «Tutti i comandi che ha dati il Signore, noi li eseguiremo!». 4 Mosè scrisse tutte le parole del Signore, poi si alzò di buon mattino e costruì un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele. 5 Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. 6 Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare.
7 Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!». 8 Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!».
Pertanto Gesù, evocando le parole di Mosè, vuole istituire una Nuova Alleanza, questa volta fondata non sul sangue di animali ma sul suo medesimo liquido vitale. Dio ama talmente l’umanità da morire per salvarla! E il sangue di Cristo ha una potenza salvifica molto più alta rispetto a quella del sangue animale. Infatti Paolo scrive (Ebrei 9):
12 e non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma mediante il proprio sangue, è entrato una volta per sempre nel santuario, avendo acquistato una redenzione eterna. 13 Perché, se il sangue di capri e di tori e la cenere di una giovenca sparsa su quelli che sono contaminati santificano in modo da dare la purezza della carne, 14 quanto più il sangue di Cristo, che mediante lo Spirito eterno ha offerto se stesso puro di ogni colpa a Dio, purificherà la vostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente?
Bisogna osservare che il sacrificio di Mosè è quello che in seguito venne chiamato “di comunione”, che a poco a poco fu soppiantato da quelli di espiazione in cui il sangue era asperso sull’altare e non sul popolo. Questi sacrifici di espiazione hanno finito col dominare la liturgia sacrificale di Israele – sacrifici di riparazione, sacrifici per il peccato – nei quali il sangue aveva valore “espiatorio”: grazie a questo rito, il peccato del popolo veniva cancellato. L’espiazione aveva talmente invaso il pensiero ebraico che un targum del I secolo trasformava il racconto di Esodo 24 in una cerimonia espiatoria (Targum su Esodo 24, 8).
Il secondo elemento contenuto nella formula neotestamentaria della consacrazione eucaristica è un passo di Geremia 31:
31 «Ecco verranno giorni – dice il Signore – nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. 32 Non come l’alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d’Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Parola del Signore. 33 Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. 34 Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato».
L’alleanza antica era legata alla discendenza di Abramo, quindi al popolo ebraico. La Nuova Alleanza invece è quella istituita nel cuore e nella fede dei credenti e sigillata dal sangue di Cristo.
Il terzo elemento è quello del Servo di Dio. In Isaia 53 possiamo leggere i Canti del Servo di Dio, dove viene presentano questo enigmatico personaggio, il quale si sacrifica per le colpe del popolo di Israele pur essendo senza colpa. Si leggono queste parole:
“Questo è il mio corpo, che è dato per voi; il mio sangue, che è versato per voi e per molti”.
Probabilmente la figura del Servo di Dio in Isaia si giustifica con il fatto che gli ebrei dopo l’esilio non avevano più il tempio, quindi si poneva un problema concreto: come continuare la comunione con Dio senza il sacrificio di animali? Quindi dovette nascere nel profeta Isaia la convinzione che ora il rapporto con Dio dovesse essere fatto non più dal sacrificio nel tempio bensì dalla sofferenza dei giusti di Israele.
In questo senso Gesù applicando su di sé le parole del Servo di Dio di Isaia, intende essere un giusto del popolo santo, mediante il quale avviene la comunione definitiva tra sfera del divino e sfera umana. Il Giusto per eccellenza, in tutto uguale agli uomini tranne che nel peccato.
E la cosa sconvolgente è che questo rapporto definitivo con Dio si compie nel sacrifico di Dio stesso. Cristo è il buon pastore che dà la vita per le sue pecorelle.
Un Dio talmente buono che muore in croce per i suoi figli. La crocifissione era la peggiore condanna prevista dai romani, applicata ai criminali più colpevoli, tanto che i cittadini di Roma ne erano esentati, per questo il cittadino Paolo venne decapitato, mentre Pietro venne crocifisso (a testa in giù).
Il Salmo 145, 18 così descrive Dio:
Il Signore è vicino a tutti quelli che lo invocano,
a tutti quelli che lo invocano in verità.
È Dio il vero Padrone del Mondo, ma questi esercita la sua regalità non nella potenza di un dominio coercitivo bensì nell’amore tributato a tutte le creature che gli sono fedeli.
Nel Salmo 145, 16.19 si legge:
Tu apri la tua mano,
e dai cibo a volontà a tutti i viventi
…
Egli adempie il desiderio di quelli che lo temono,
ode il loro grido, e li salva.
Questi aspetti della regalità di Dio, che è misericordia verso gli ultimi, incarnata perfettamente in Cristo, che si definisce medico e diviene addirittura cibo e bevanda per coloro che lo cercano, si ritrovano anche nei profeti del post-esilio. Infatti leggiamo in Isaia 52, 7:
Quanto sono belli, sui monti,
i piedi del messaggero di buone notizie,
che annuncia la pace,
che è araldo di notizie liete,
che annuncia la salvezza,
che dice a Sion:
«Il tuo Dio regna!»
In Michea 4, 7 è scritto:
Degli zoppi io farò un resto,
degli sbandati una nazione forte.
E il Signore regnerà su di loro
sul monte Sion,
da allora e per sempre.
Gesù è “la mano misericordiosa del Padre” (Giovanni della Croce, Fiamma Viva d’Amore, II, 16). Non si può comprendere il cristianesimo senza avere in mente l’amore “eccessivo” (Francesco di Assisi) di Dio verso gli uomini. I mistici riferiscono di aver incontrato un Dio “pazzo di amore”, che addirittura si fa mendicante di amore alla porta dei suoi figli.
Dio vuole che i cristiani ricambino questo amore amando a loro volta Dio e, per amore di Dio, amando i fratelli. Certamente non si può imporre l’amore, ma Dio prima di essere amato va conosciuto. Solo dopo aver capito di quale grande Padre siamo figli, potremo avere accesa nel cuore la scintilla dell’amore per lui e per coloro che Egli pone sul nostro cammino.
In Giovanni 13, 34 Gesù istituisce il nuovo comandamento:
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Paolo in 1Corinzi ci ha trasmesso una delle quattro tradizioni relative alla Eucaristia, dopo quelle dei vangeli sinottici.
Allacciandosi alla teologia della croce, Ratzinger dice che segue un altro livello, del tutto connesso con la croce, che è questo testo di Paolo, che contiene almeno quattro passi che parlano del sacramento del corpo e del sangue del Signore.
Il primo è al capitolo 5:
6 Non è una bella cosa il vostro vanto. Non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta? 7 Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! 8 Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità.
Qui appaiono i due elementi fondamentali della Pasqua ebraica: l’agnello immolato e il pane azzimo. L’agnello immolato la notte dell’esodo costituì il sacrificio di espiazione dei peccati e il pane azzimo (senza lievito) fu tale perché gli ebrei fuggirono in fretta dal giogo egiziano. Ancora oggi gli ebrei celebrano la loro Pasqua con questi due elementi.
Se l’agnello è prefigurazione di Cristo, che si immola in sacrificio, il pane è simbolo della nuova esistenza. La pasta non lievitata risulta segno di un nuovo inizio: la vita cristiana viene tratteggiata come una continua festa.
Ratzinger annota che la traduzione “togliete via il lievito vecchio” non rende adeguatamente l’originale greco, che è “purificate il lievito vecchio”, ekkatharate tēn palaian zumēn. Quindi ciò che era una pratica cultuale, viene superato dalla nuova condizione inaugurata da Cristo. L’Eucaristia è la forza che plasma la esistenza dei cristiani, che la purifica. La vita cristiana non è solo un impegno morale, ma vive di colui che per noi si è fatto agnello e pane.
Il secondo passo è al capitolo 6:
15 Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo per farne membra di una prostituta? No di certo! 16 Non sapete che chi si unisce alla prostituta è un corpo solo con lei? «Poiché», Dio dice, «i due diventeranno una sola carne». 17 Ma chi si unisce al Signore è uno spirito solo con lui.
È formulato in modo autorevole il contenuto della spiritualità cristiana sulla comunione eucaristica. La vita cristiana non ha come base l’ascesi, che però può essere di aiuto, ma l’autodonazione di Dio che riceviamo nel sacramento.
“Sacramento” è la traduzione del termine greco mustērion, da una radice che vuol dire “chiudere la bocca e gli occhi”, quindi in sé il “mistero” è qualcosa di inesprimibile perché segreto. Il termine greco adoperato dalla Bibbia indica anche i consigli divini che sono segreti ma che Egli decide di rivelare, infatti leggiamo in Sapienza 2, 22: “Non conoscono i segreti di Dio, kai ouk egnōsan mustēria theou; non sperano salario per la santità né credono alla ricompensa delle anime pure”. E in Marco 4,11: “A voi è dato il mistero del Regno di Dio, umin to mustērion dedotai tēs basileias tou theou. A quelli, però, che sono fuori, tutto viene dato in parabole”. A questo significato di base si aggiunge quello di rito misterico: il rito misterico era una azione sacra compiuta dalle religioni misteriche dell’antica Grecia, che convivevano accanto alla religione ufficiale, non iniziatica, che era quella olimpica. Giustino, Ireneo, Tertulliano, Cipriano osservavano una analogia tra i riti sacri cristiani e i misteri pagani. Origene vedeva un legame chiaro tra Bibbia, chiesa e Eucaristia nel concetto di mustērion: “la realtà della Salvezza che è presente sotto un segno visibile, che rivela e nello stesso tempo nasconde”.
Nelle parole di Paolo appena citate, la mistica ha il suo ancoraggio: ricevere l’Eucaristia significa fusione delle esistenze. Una sublime analogia è quella della unione tra uomo e donna a livello fisico e spirituale. Il vero e più profondo fine della creazione e dell’essere umano è questa unione di Dio con l’uomo. È l’abbraccio sacro di cui parla Agostino.
La chiesa è corpo di Cristo, per cui la chiesa diventa tale con la partecipazione alla Eucaristia. La chiesa non è tanto osservare delle norme, ma nutrirsi di Cristo così da diventare come lui. La teologia eucaristica fonda la ecclesiologia. De Lubac dice che la chiesa fa l’Eucaristia ma allo stesso tempo è l’Eucaristia che fa la chiesa. Galati 2,20: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Si forma un io nuovo, un unico corpo del Signore, che si chiama chiesa. Fare la comunione significa diventare chiesa, un solo corpo con Cristo.
Il terzo passo è al capitolo 10:
15 Io parlo come a persone intelligenti; giudicate voi su quel che dico. 16 Il calice della benedizione, che noi benediciamo, non è forse la comunione con il sangue di Cristo? Il pane che noi rompiamo non è forse la comunione con il corpo di Cristo? 17 Siccome vi è un unico pane, noi, che siamo molti, siamo un corpo unico, perché partecipiamo tutti a quell’unico pane. 18 Guardate l’Israele secondo la carne: quelli che mangiano i sacrifici non hanno forse comunione con l’altare? 19 Che cosa sto dicendo? Che la carne sacrificata agli idoli sia qualcosa? Che un idolo sia qualcosa? 20 Tutt’altro; io dico che le carni che i pagani sacrificano, le sacrificano ai demòni e non a Dio; ora io non voglio che abbiate comunione con i demòni. 21 Voi non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; voi non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni. 22 O vogliamo forse provocare il Signore a gelosia? Siamo noi più forti di lui?
Il sacrificio di Cristo non è magia idolatrica bensì comunione con Dio. L’unico pane ci rende un unico corpo: anche qui la teologia eucaristica si converte nella ecclesiologia.
Il quarto passo è al capitolo 11:
17 Mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi, perché vi riunite insieme non per il meglio, ma per il peggio. 18Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo. 19È necessario infatti che sorgano fazioni tra voi, perché in mezzo a voi si manifestino quelli che hanno superato la prova. Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. 21Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. 22Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo! Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. 25Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”. 26Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga. 27Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. 28Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; 29perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. 30È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. 31Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; 32quando poi siamo giudicati dal Signore, siamo da lui ammoniti per non essere condannati insieme con il mondo. 33Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri. 34E se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna. Quanto alle altre cose, le sistemerò alla mia venuta.
Emerge una connessione tra assemblea e celebrazione. La parola greca ekklesia (da cui la parola “chiesa”), è già nell’Antico Testamento il termine classico per l’assemblea del popolo di Dio, la cui immagine originaria e normativa era il raduno al Sinai, ai piedi del Dio che parla, la cui parola convoca gli uomini alla sua presenza per l’ascolto. Ma il raduno al Sinai va al di là della parola, perché nella stipulazione dell’alleanza essa unisce Dio e l’uomo in una specie di consanguineità, di comunione di sangue, che è il nucleo dell’alleanza. Poiché l’Eucaristia è la Nuova Alleanza, essa è la rinnovata assemblea del Sinai, che in Cristo (parola e sangue) raduna di nuovo il popolo creando il nuovo popolo di Dio.
Perché la sublime unione tra Cristo e l’uomo possa realizzarsi, deve precedere un grado più semplice dell’unione: gli uomini si devono radunare per l’Eucaristia. Il radunarsi degli uomini è la condizione affinché Dio possa fare di nuovo una assemblea, il nuovo popolo di Dio. Chi non celebra l’Eucaristia, non può considerarsi a tutti gli effetti parte del popolo di Dio.
Se da una parte l’assemblea eucaristica conduce fuori dal mondo, nell’ambito interiore della fede, dall’altra tuttavia si tratta di un incontro universale di tutti coloro che partecipano al Divin sacrificio.
Oggi si parla molto di fratellanza, ma la vera fraternità non può venire da un movimento orizzontale, soltanto umano, ma squisitamente dall’alto, da Dio, che ci dona lo Spirito di amore anche verso i fratelli. È Dio che fa della nostra carne corrotta un “cuore di carne”, capace di Lui e di amore, che in definitiva è la stessa cosa. Infatti, 1Giovanni 4, 8 rivela che “Dio è amore”.
Emerge chiaramente in Paolo che la celebrazione eucaristica non è un semplice pasto, infatti si domanda: “22 Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere?”. L’Eucaristia è l’incontro, la comunione con Dio! Precisamente è questo pasto sacro che rende l’assemblea di uomini nientemeno che il popolo di Dio, il corpo di Cristo!
Bibliografia
- E. Durand, Le emozioni di Dio. Tracce di un profondo coinvolgimento, Brescia 2023;
- W. G. Jeanrond, Teologia dell’amore, Brescia 2012;
- X. Leon-Dufour, Il pane della vita, Bologna 2006;
- J. Ratzinger, Il Dio vicino. L’eucaristia cuore della vita cristiana, Milano 2003;
- J. Ratzinger, Opera Omnia. Teologia della liturgia, vol. XI, Città del Vaticano 2010.