Il referendum, di Pier Franco Quaglieni
Ho letto con attenzione la Legge Nordio che genererà un referendum confermativo sulla separazione delle carriere dei magistrati. Non sono entusiasta della legge che non completa affatto la riforma Vassalli che aveva ben altro spessore. E’ una legge minore, non confrontabile con la legge Cantabria ottenuta a prezzo di duri compromessi. Nella legge Nordio manca soprattutto la responsabilità civile dei giudici che è il vero spartiacque tra una legge giusta e una corporativa.
Come presidente del Centro Pannunzio eserciterò il mio ruolo di garante, favorendo civili e pacati confronti tra sostenitori del sì e del no. E quindi garantirò un Centro bipartisan, non luogo privilegiato per nessuno. Questo è lo stile Pannunzio. L’unica volta che ci impegnammo fu nel 1974 contro il referendum abrogativo del divorzio. Se vedo oggi come è ridotto il matrimonio e come il divorzio italiano è diventato, simile a quello fulmineo e poco serio degli USA, come non si sarebbe mai immaginato, credo che sarei stato più cauto nel 1974. Volevo limitarmi a seguire il dibattito, anche se ero deciso a votare sì per distinguermi da chi voterà no e che suscita in me un dissenso e un’antipatia anche umana quasi intollerabile. A decidermi ad impegnarmi è stato il professor Zagrebelski con il suo settarismo fino ad ora mai raggiunto che in pulloverino kashmir ha lanciato parole d’ordine che porteranno tanti a votare sì. L’eterogenesi dei fini che riesce benissimo al vecchio professore torinese. Io ho rapporti di stima e quasi di amicizia con tanti magistrati esemplari che apprezzo. Non sono quelli che vanno in Tv e dominano sui giornali come fossero delle dive. E questi magistrati che lavorano in silenzio ritengo che vadano rispettati e considerati. Sono vittime dei giudici politicizzati. Ho forti riserve invece su una certa magistratura che ha avuto il suo simbolo deteriore in quello che Cossiga considerava più una marca di tonno che un cognome umano.
Debbo aggiungere che anche il sì di Di Pietro mi dà fastidio. Provoca in me un forte dissenso il comitato messo su dalla Fondazione romana “Einaudi“ che è una replica di quella che fu presieduta da Malagodi e da Badini Confalonieri. Il suo Comitato appare abbastanza raffazzonato. Fa quasi pensare ad una piccola armata Brancaleone, almeno nel momento della sua costituzione. Detta Fondazione non va confusa con quella di Torino voluta dalla famiglia di Luigi Einaudi che non scenderebbe mai in contese politiche di parte. A quel comitato non avrei mai potuto aderire.
Ho invece volentieri accolto l’invito ad entrare nel Comitato per il sì Pannella, Sciascia, Tortora, tre nomi che da sempre suscitano in me stima e ammirazione. Tutti e tre sono stati seriamente impegnati per una giustizia giusta e Tortora fu vittima di quella ingiusta. Per Tortora mi sono battuto per la sua innocenza e a fianco di Francesca Scopelliti perché ne fosse tramandato il ricordo non come sterile rievocazione, ma come impegno a cambiare le cose in Italia. Non credo che il sì al referendum possa cambiare molto, un diluvio di sì può però costringere i supponenti sostenitori del no per ragioni corporative a più miti e ragionevoli consigli. Ci vorrebbe Forattini per predisporre un’altra bottiglia di champagne come nel 1974. Il tappo potrebbe avere un volto torinese o siciliano o anche di altre regioni meridionali. Non farò molto perché l’attivismo non è la mia passione in quanto prediligo pensare e scrivere liberamente. Ma darò una mano insieme ad un giovane amico, Mario Barbaro, che stimo molto. Anche lui è uomo che ama gli studi senza i quali la politica è mero attivismo.



