Il libro “Il vento tra i capelli – La mia lotta per la liberà nel moderno Iran”, di Masih Alinejad, è un’ autobiografia che la giornalista iraniana, esule negli Stati Uniti, ha scritto nel 2020, quando ancora non era possibile prevedere ciò che sarebbe avvenuto a settembre di quest’anno nell’antica Persia, vale a dire una vera e propria rivoluzione, scatenata dall’uccisione di Mhasa Amini dalla “polizia morale”, accusata di non aver indossato correttamente il velo che le donne iraniane sono costrette a portare nei luoghi pubblici. Successivamente a quell’episodio, le proteste di piazza non si sono mai fermate, e proseguono tutt’oggi, con determinazione e coraggio, nonostante le centinaia di ragazze e ragazze uccisi dal regime durante le quotidiane manifestazioni nelle strade, nelle università iraniane e nelle carceri del Paese. La lettura di questo emozionante, per non dire toccante libro, ci conduce e ci introduce nell’Iran di oggi, attraverso il racconto della vita di una giornalista coraggiosa, oggi esponente di primo piano, a livello internazionale della contestazione del regime teocratico, che dal 1979 soffoca il Paese, costretta a lasciare il proprio Paese di origine per aver contestato il regime illiberale degli Ayatollah attraverso il proprio lavoro di cronista per giornali liberali e antigovernativi. L’oppressione del regime iraniano viene descritto da Masih Alinejad attraverso il racconto della sua vita e di quella della sua famiglia, una famiglia tradizionalista di provincia e, come ricorda molte volte l’autrice, povera. L’aggettivo povera è significativo, in quanto da esso, l’autrice, fa dipendere parte rilevante della forza del regime, vale a dire l’impossibilità, soprattutto per le bambine e le donne, di poter studiare e, quindi, di migliorare la propria condizione sociale, in un Paese che sotto lo scudo dei principi islamici discrimina e segrega le donne, sacrificando le loro capacità e i loro diritti, oltre che impedendo loro di poter essere sé stesse e, spesso, di svolgere liberamente attività lavorativa extradomestica, al pari degli uomini. La lotta di Masih Alinejad è, dunque, contro un’ interpretazione dei principi religiosi che impedisce a tutti, ma soprattutto alle donne di poter esprimere il proprio modo di essere, costringendole a subire schemi sociali precostituiti che possono costare la vita, come successo a Mhasa Amini. Masih Alinejad racconta di essersi ribellata all’obbligo di indossare il velo, non previsto da nessun precetto religioso, alla segregazione sociale e culturale, al matrimonio combinato con un ragazzo del suo paese, all’impossibilità di poter acquistare dei libri, perché in famiglia non vi erano abbastanza soldi per poterlo fare, di aver sofferto per le limitazioni che il divorzio le ha imposto in relazione all’affidamento del figlio, costringendola a dover accettare di vederlo una volta al mese; e ciò anche se ormai giornalista affermata e residente nella grande città di Theran , a riprova del fatto che in Iran e in molti altri Paesi del mondo, nascere donna significa condanna alla discriminazione ed alla prevaricazione maschile, per il solo fatto di appartenere al genere femminile. Tuttavia, Masih Alinejead non aveva mai accettato tutto questo, e sin da ragazzina aveva partecipato a movimenti di opinione “sovversivi” del regime teocratico, unitamente ad altri amici, uno dei quali diverrà il suo primo marito, e dal quale divorzierà, pagando tale partecipazione con il carcere. Il potere degli Ayatollah non conosce status sociale, è sopraffazione, prevaricazione in quanto appartenenti ad un genere inferiore, che deve essere umiliato e sottomesso ogniqualvolta sia possibile. Questa, è la sintesi, della testimonianza di Masih Alinejead, in quanto donna e in quanto giornalista, una testimonianza di coraggio e di libertà, che i giovani iraniani stanno seguendo proprio in queste settimane, per le strade di Theran e di molte altre città del Paese, al grido di “Donna, Vita, Libertà”. “Prima copriti i capelli”, come scrive l’autrice, è “ Un appunto che conoscono tutte le iraniane”, e che può costare il carcere, o la vita, come nel caso di Mhasa Amini. E’ un monito terribile, che sa di morte e di violazione dei diritti umani, che tutti noi dobbiamo ricordare, per comprendere l’importanza della libertà e dei diritti, oltre che per non dimenticare il coraggio di Masih e di tutte le donne che in Iran, in Afghanistan e in ogni parte del mondo lottano per il diritto di essere sé stesse e per la dignità, a costo della loro stessa vita. E, come in Iran in queste settimane lottano, per cambiare il loro Paese e poter sentire, la libertà leggera del vento tra i capelli.
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