L’incontro tra passato e arte contemporanea, tra strutture storiche e creazioni attuali risulta spesso un connubio vincente.
Conservare un patrimonio comune che ha forti legami con il tessuto e la storia di un territorio è indice di rispetto e civiltà. Rendere attraente un edificio senza snaturare il suo significato profondo e senza alterare le stratificazioni del tempo non è sempre impresa facile ma è possibile con interventi adeguati.
Solo la sensibilità di artisti che portano il loro segno forte ma rispettoso dei luoghi in cui espongono crea un cortocircuito positivo e genera una possibile interpretazione dello spazio.
Nel Castello di Ivrea, uno tra i più antichi manieri sabaudi, fino al 28 settembre 2025, interagiscono con gli spazi le opere site-specific di Elisabeth Aro, Riccardo Cordero e Luisa Valentini.
Il Castello, fatto costruire dal Conte Verde nel 1358, dominava la città eporediese molto prima che Torino diventasse capitale del ducato sabaudo.
Fu fortezza medioevale, dimora cortese con la Duchessa Jolanda, presidio militare nel Cinque-Seicento e infine carcere dal 1700 al 1974.
Dopo importanti restauri è ora visitabile in molte sue parti.
I tre artisti sono stati invitati a interpretare questo luogo di memorie con il loro segno personale che si materializza attraverso le tecniche a loro più consone, dall’acciaio al tessuto, dall’alluminio alla grafite.
All’esterno dell’edificio sono collocate tre grandi sculture in acciaio corten di Riccardo Cordero, scultore torinese di fama internazionale con una lunga attività di ricerca formale che dura dagli anni Sessanta. Le sue opere sono presenti in varie parti del mondo dagli Stati Uniti all’Europa, dal Sud America all’Oriente. Dal 2005 ha instaurato un rapporto privilegiato con la Cina dove è stato invitato a realizzare opere monumentali a Shanghai, Taiwan, Wuhu, Pechino, Haining e Zhengzhou. A Pechino per Olimpiadi ha creato una scultura alta ben 17 metri.
Al Castello di Ivrea sono presenti tre sue opere recenti
Cometa di Enke, Satellite e Orbite siderali. Sono realizzate in acciaio corten, materiale che si distingue per la sua capacità di formare in superfice una patina protettiva di ruggine di colore bruno rossastro. L’ossidazione naturale del corten ben si adatta allo sfondo delle mura in mattoni del Castello.
Ispirate ai corpi celesti del sistema solare, le sculture non sono figurative. Si presentano come leggeri segni calligrafici che si concretizzano nella materia, come forme geometriche circolari, spezzate, posate a terra senza piedistallo che sembrano gravitare nello spazio circostante. Sono sculture aperte che lo spettatore deve completare con lo sguardo. A seconda dell’angolatura da cui si guardano propongono forme diverse creando una metamorfosi di pieni e vuoti, di ombra e luce.
Nel Settecento, le stanze del Castello erano state private degli originari arredi sabaudi per essere utilizzate a scopo detentivo. In quelle celle, luogo di dolore e costrizione,
Luisa Valentini e Elisabeth Aro hanno scelto di allestire le loro sculture come metafora di riscatto da sofferenze e privazioni.
Pur provenendo da realtà diverse e utilizzando materiali differenti -il metallo Luisa, i tessuti preziosi Elisabeth-, hanno scoperto affinità concettuali tanto da condividere gli stessi spazi sotto il macro-titolo di Natura condivisa.
Torinese, Luisa Valentini ha un ampio curriculum di mostre, realizzazioni di opere e spazi scultorei da abitare, come gli interventi all’interno di Palazzo Bricherasio a Torino e gli arredi liturgici della nuova chiesa di La Loggia dedicata alla Vergine Maria.
Argentina, Elizabeth Aro è nata Buenos Aires dove ha studiato Storia dell’Arte. Per quindici anni ha vissuto in Spagna e ora vive e lavora a Milano. Tra le varie tecniche predilige i tessuti per creare installazioni site-specific su larga scala incentrate sulla percezione dello spazio e sul suo mutamento.
Nella prima stanza le artiste hanno condiviso il concetto di volo, fuga, leggerezza, libertà. Sul soffitto troviamo un grande uccello di velluto rosso, El Zopilote dalla apertura alare di oltre due metri di Elisabeth Aro, mentre al centro troneggia una Libellula gigante, con le ali chiuse poggiate a terra, di Luisa Valentini. L’insetto, come in una metamorfosi, assume la sagoma della veste di un’antica dama con corpetto e crinolina. Le celle successive contengono singolarmente un lavoro per artista che si può vedere attraverso le inferriate.
In una si trova La musica segreta delle piante di Elizabeth Aro. Una selva di foglie di velluto rosso che evoca l’effetto dell’eco e delle vibrazioni prodotte dalle piante. Uno dei rami fuoriesce dirigendosi verso la cella accanto dalla quale esce lo stelo della scultura di Luisa Valentini, Ampolla, che ingigantisce la struttura di un fiore con acciaio inossidabile, rete metallica, tessuto e lattice.
La natura, se la costringi, la imprigioni, la ingabbi cerca di trovare strade alternative per continuare a vivere e cercare altre forme con cui intersecarsi.
Le sculture delle due artiste cercano di incontrarsi al di là delle sbarre, così come la natura umana ha bisogno di comunicare, di confrontarsi, di solidarizzare con i suoi simili. Le Ramificazioni dell’anima di Lisa Valentini evocano forme cellulari comuni a tutto l’universo degli esseri viventi.
Cornucopie, semi, soffioni, petali, papaveri, rose, alberi, forme segrete della natura ingigantite e interpretate dalle artiste in forme disparate, abitano le altre celle del Castello per trascendere i limiti imposti dalla clausura e liberare l’energia armoniosa e vitale della natura.