Secondo la mitologia indiana la pittura nasce per volere del saggio Narayana (cioè il dio supremo Viṣṇu). Egli venne provocato dalle ninfe le quali, esaltando la propria bellezza, cercavano di distoglierlo dalla meditazione, allora il dio usò del succo di mango per raffigurare un’incantevole figura femminile a cui infuse vitalità. Il nome di questa icona, che venne alla vita, era Urvashi, e divenne di gran lunga la più bella di tutte le ninfe. Vedendola, le provocanti fanciulle non ressero il confronto e se ne andarono con disappunto.

         Questo mito, presente in un trattatello sulla pittura denominato Citrasutra, contiene almeno due insegnamenti fondamentali.

         Innanzitutto la figura dipinta nasce dalla immaginazione del dio e si sviluppa nella immaginazione di chi guardo (le ninfe). È nella immaginazione che l’arte ha il suo inizio e il suo compimento.

          In secondo luogo la stoltezza (negativa) delle ninfe ha come contraltare la bellezza del dipinto (positivo): e questo contrappunto ristabilisce l’armonia del mondo.

          Il mondo è una continua tensione tra ordine e disordine, quindi da qui nasce la necessità del ripristino dell’armonia.

           Il male si affaccia alla ribalta della storia dell’uomo in continuazione. Per questo gli esseri umani hanno bisogno, sempre, di una redenzione, ricorrendo alla vera fede. 

          Da duemila anni il cristianesimo asserisce che l’unico salvatore dell’umanità è Gesù cristo, l’Uomo Dio incarnato nel nostro mondo per morire come sacrificio di salvezza per tutti noi.

         Per capire chi è Gesù Cristo prendiamo i vangeli. Vogliamo presentare brevemente la professione di fede che fa Pietro a Cesarea di Filippo. La regione in cui si trova questa città, oggi chiamata Banias, è di estrema importanza in quanto si trovano le sorgenti che formano il fiume Giordano. Esse sono tre: quella di Banias, l’altra sta a Dan e la terza in Libano. Il Giordano entra nel lago di Galilea scorrendo da nord. 

         Il Salmo 42 ricorda i giorni dell’esilio e, menzionandoli, ricorda anche le sorgenti del Giordano in quanto gli ebrei passarono di lì andando in esilio a Babilonia:

“ ….

6 L’anima mia è abbattuta in me;

perciò io ripenso a te dal paese del Giordano,

dai monti dell’Ermon, dal monte Misar.

7 Un abisso chiama un altro abisso al fragore delle tue cascate;

tutte le tue onde e i tuoi flutti sono passati su di me.

8 Il SIGNORE, di giorno, concedeva la sua grazia,

e io la notte innalzavo cantici per lui

come preghiera al Dio che mi dà vita.

9 Dirò a Dio, mio difensore: «Perché mi hai dimenticato?

Perché devo andare vestito a lutto per l’oppressione del nemico?»

10 Le mie ossa sono trafitte

dagli insulti dei miei nemici

che mi dicono continuamente: «Dov’è il tuo Dio?»

11 Perché ti abbatti, anima mia?

Perché ti agiti in me?

Spera in Dio, perché lo celebrerò ancora;

egli è il mio salvatore e il mio Dio”.

         La Palestina è spesso un deserto ed è viva perché vi è il fiume Giordano.

         Banias è una storpiatura del nome originario, Paneas, città ellenistica dedicata al dio pagano Pan, la divinità della natura e del cosmo. Dio selvaggio, raffigurato con caratteristiche caprine, che vagava per i boschi cercando le ninfe con cui accoppiarsi, dandosi alla musica con lo zufolo. I riti a Pan includevano anche danze, estasi e orge. Dalla raffigurazione di Pan è venuta l’immagine classica del demonio cristiano. Era il dio del profondo interiore che fa paura, dell’abisso e quindi dell’estasi violenta, da cui il nostro termine “panico”.

         Banias sta nella regione detta Iturea, che era uno snodo commerciale di importanza strategica per il passaggio verso Damasco e verso la Fenicia (Tiro), quindi era molto paganizzato. I profeti biblici ammonivano spesso gli abitanti della regione in quanto deragliavano dalla vera religione. I sovrani seleucidi, inoltre, incentivavano il culto idolatrico.

         L’occupazione romana era avvenuta già dal 63 a.C. ma proseguì grandemente come pressione politica fino a una vera e propria conquista. I romani nel 24 a.C. affidarono la regione della Traconitide a Erode il Grande e nel 20 a.C. vi aggiunsero la Iturea. Quindi proprio nel 20 la città di Paneas fu assegnata dall’imperatore Ottaviano Augusto a Erode il Grande, il quale come riconoscenza costruì un maestoso tempio davanti alla grotta di Pan in onore dell’imperatore. 

         Erode il Grande morì nel 4 d. C e suo figlio Filippo cambiò nome a Paneas in Cesarea, in onore dell’imperatore romano (detto Cesare). Abbiamo quindi il nome: Cesarea di Filippo, per distinguerla da Cesarea Marittima, dove Erode aveva la sua residenza.

         Gesù portò i suoi discepoli proprio qui, terra certamente bellissima, il cui ricordo riaffiorava negli esiliati, ma anche dedicata ai culti pagani e persino dell’imperatore. Ottaviano Augusto voleva farsi credere un dio ed era conosciuto in Oriente come “dio da dio”, un titolo che entrerà nel Credo cristiano.

         Matteo 16:

“13 Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». 14 Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15 Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». 16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17 E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. 18 E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20 Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo. doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare 21 Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che il terzo giorno. 22 Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai». 23 Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!»”.

         Il nome nuovo che Gesù diede a Simone è Cefa, termine aramaico che vuol dire “roccia”, “pietra”: Pietro in greco. Questa parola allude a una grande roccia che forma il complesso del tempio all’imperatore romano. Lo stesso Pietro chiama Gesù “Figlio del Dio vivo”, distinguendolo dalle altre divinità, gli idoli, che sono falsi, quindi morti.  

         Pertanto Cristo portando gli apostoli proprio in quel luogo pagano voleva esaltarsi come vero Dio. Ci sono molti idoli ma un solo Dio e i discepoli lo devono sapere bene. Solo il vero Dio può dare la salvezza. Solo la vera fede è la grande ricompensa dell’essere uomini!

          La chiesa viene fondata sulla Roccia in quanto Pietro riceve il mandato dal Figlio del vero Dio, quindi tale istituzione ha un fondamento incrollabile. Anche se soffiano le tempeste, le porte degli inferi non potranno mai prevalere.

           L’Apocalisse è l’ultimo libro della Bibbia e presenta la storia come una grande dialettica tra Bene e Male. In questo grande scontro gli eletti non devono temere in quanto essi sono i discepoli del vero Dio, che è l’Agnello immolato.

         Rivelazioni private confermano che coloro che fanno la volontà di Dio non devono temere mai nulla, specie se si affidano a Maria. Maria mette sotto il proprio manto gli eletti del Signore e li protegge dai castighi che giungono all’umanità per colpa dei peccatori. Già Romani 8, 28 rivelava: “Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno”.

         Apocalisse 6:

 “1 Quando l’Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, vidi e udii il primo dei quattro esseri viventi che gridava come con voce di tuono: «Vieni». 2 Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora.

3 Quando l’Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che gridava: «Vieni». 4 Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.

5 Quando l’Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. 6 E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d’orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati».

7 Quando l’Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». 8 Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l’Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra”.

        L’intero brano è costruito sulla falsariga di Zaccaria 6:

“1 Alzai di nuovo gli occhi, guardai, ed ecco quattro carri che uscivano in mezzo a due monti; e i monti erano monti di bronzo. 2 Al primo carro c’erano dei cavalli rossi; al secondo carro dei cavalli neri; 3 al terzo carro dei cavalli bianchi, e al quarto carro dei cavalli chiazzati di rosso. 4 Io chiesi all’angelo che parlava con me: «Che significano queste cose, mio signore?» 5 L’angelo mi rispose: «Questi sono i quattro venti del cielo, che escono dopo essersi presentati al Signore di tutta la terra. 6 Il carro dai cavalli neri va verso il paese del settentrione; i cavalli bianchi lo seguono; i chiazzati vanno verso il paese del sud, 7 e i rossi escono e chiedono di andare a percorrere la terra». L’angelo disse loro: «Andate, percorrete la terra!» Ed essi percorsero la terra. 8 Poi egli mi chiamò e mi parlò così: «Ecco, quelli che escono verso il paese del settentrione placano la mia ira sul paese del settentrione»”.

         Il primo dei quattro viventi dell’Apocalisse gridava come una voce di tuono. Il tuono allude alla sfera del divino in quanto nella Bibbia la nube è un segno della manifestazione di Dio. Abbiamo qui la unione tra l’essere vivente e Dio, cioè tra immanenza e trascendenza. Sullo sfondo vi è una liturgia, il vivente potrebbe essere un sacerdote, è insomma la chiesa stessa.

         La chiesa, fondata su progetto divino, porta in sé i segni della trascendenza.

          Il primo cavaliere ha la corona, che nell’Apocalisse indica il riconoscimento solenne di una vittoria riportata. L’arco è il giudizio di Dio. Quindi il primo cavaliere indica la vittoria di Dio, probabilmente il colore bianco allude alla risurrezione. La tradizione cristiana vi ha visto Gesù Cristo o la sua Parola.

          Allora possiamo dire che la storia umana, nonostante la dialettica tra forze contrapposte, è segnata dalla vittoria di Dio e degli eletti, che come Lui risorgeranno all’ultimo giorno. Interessante il participio presente nikōn, “vincente”, detto del cavaliere: l’aspetto verbale indica una vittoria continua, permanete. Ma tale vittoria passa attraverso la chiesa, la quale evoca con il comando orale l’entrata in scena del cavaliere.

           Gli studiosi vedono nel cavaliere dal cavallo bianco un flagello del mondo romano dell’epoca, i parti, i quali avevano come arma caratteristica l’arco. Quindi i parti, che diedero molto filo da torcere ai romani tra I e IV secolo, diventerebbero simbolo di una forza terribile, pertanto della vittoria.

           L’intero brano è di stile squisitamente semitico. Infatti “il primo … il primo”, in greco mian ek … enos ek, è un ebraismo. “Chi lo cavalcava aveva un arco”, in greco kai o kathēmenos ep’auton echōn toxon, è una proposizione nominale (participiale) circostanziale di tipo semitico che va tradotta con una relativa. Anche il v. 8 ha stile semitico: “chi lo cavalcava aveva nome”, kai o kathēmenos epanō onoma autōi, è il tipico caso di nominativus pendens seguito da una proposizione nominale di stampo marcatamente semitico.  

            Nella sua onnipotenza Dio ha deciso di dare alla sua chiesa il controllo delle forze in campo. Quali sono queste forze in campo? Il cavallo rosso, quello nero e quello verdastro, simboli rispettivamente di sangue (guerra), fame e malattia (peste).

            La guerra è fatta dagli stati, infatti avere o portare la spada richiama l’autorità statale (cfr. Romani 13,4). Il colore nero allude alla morte e chi cavalca la bestia nera ha la bilancia per razionare il cibo in tempo di fame. E i prezzi sono altissimi, non raggiungibili dalle masse: il denaro d’argento era la paga di una giornata di lavoro (Matteo 20, 2) e il rapporto tra denaro e misura di grano era di 1×12, tra denaro e misura di orzo di 1×24, invece nel brano dell’Apocalisse a un denaro viene corrisposta solo una misura di grano, a un denaro vengono corrisposte solo tre misure di orzo. Il colore verde allude al cadavere in decomposizione, specie quello impestato.

            È il diavolo che ha fatto entrare il male nel mondo e le sue schiere demoniache non fanno altro che perpetrare nella storia dell’uomo questa distruzione continua. Ma la vittoria è di Dio e degli eletti. La vittoria è della chiesa. Fuori della chiesa vi è un buio assoluto. Come diceva Sant’Agostino, il mondo è Massa Damnationis. È solo la vera fede che permette di salvarsi!

            Ma l’Apocalisse a chi allude esattamente? Oggi da più parti si ritiene che l’Apocalisse polemizzasse contro l’impero romano. Il libro biblico non nomina mai Roma, ma ci sono rilevanti indizi che sia stato scritto sotto l’impero romano.

          Infatti Sant’Ireneo (Contro le eresie, V.30.3) affermava che l’Apocalisse venne redatta alla fine del regno dell’imperatore Domiziano, cioè attorno agli anni 90. Datazione simile è tramandata anche in Sant’Eusebio (Storia Ecclesiastica III.20.8-9), san Girolamo (De Viris Illustribus IX.6-7), Sulpicio Severo (Chronicon II.31).

          È chiara nell’Apocalisse la presenza di una minaccia, continua, nei confronti dei cristiani. La tradizione antica tramanda la efferata persecuzione dei cristiani da parte di Domiziano. Così Sant’Eusebio (Storia Ecclesiastica III.17):

“Domiziano diede prova di efferata crudeltà verso molti: a Roma, senza regolare giudizio, fece giustiziare una folla grande di nobili e di persone ragguardevoli; condannò ingiustamente un numero altissimo di uomini illustri all’esilio al di là dei confini dell’Impero e alla confisca dei beni … egli fu il secondo a scatenare contro di noi (=i cristiani) la persecuzione, sebbene Vespasiano suo padre non avesse tramato disegno ostili a noi”.

         La critica storica odierna tende a ridimensionare la efferatezza della persecuzione domiziana. La stessa Apocalisse non parla di esecuzioni di massa, ma di violenze non-fisiche (diffamazione, inganno, ostracismo, confische, tasse, minacce, intimidazioni), quindi l’obiettivo del libro biblico è quello di incoraggiare alla resistenza e soprattutto verso future persecuzioni anche fisiche, come si avranno tra il II e il III secolo.

           Le fonti antiche parlano di difficoltà ma non dobbiamo retroiettare la situazione del II-III secolo fino al I. Occorre collocare l’Apocalisse nell’impero di Domiziano, e non dopo.

           La propaganda imperiale era dominante, da Augusto in poi: presentava l’impero romano come la più grande potenza. Esso è Caput orbis terrarum, a capo di tutta la terra, diceva Livio. All’inizio dell’Eneide (I.278) Giove dice: imperium sine fine dedi, “diedi un impero senza fine”, in quanto portatore di una pace perpetua, la Pax Augustea.

         La propaganda imperiale dei Flavi riprende la grande ideologia augustea dopo un periodo di crisi: in seguito alla crisi post-neroniana la dinastia dei Flavi si presenta come colei che porta di nuovo la pace, come aveva fatto in precedenza Augusto. I Flavi pongono come loro mito fondativo la vittoria sui giudei. Vespasiano inizia il suo impero subito dopo la trionfante campagna in Giudea. Abbiamo quindi la celebrazione del trionfo nel 71, quando i romani sconfissero Gerusalemme (Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica VII.116-157). I Flavi ricostruiscono Roma: questa ricostruzione è segnata dal Tempio della Pace (un’enorme costruzione di Vespasiano dedicata alla Pace per contenere il tesoro portato via dal Tempio di Gerusalemme), dall’arco di Tito (per celebrare il dominio di Tito, anche sui giudei, fatto costruire da Domiziano), il Colosseo. Monete dei Flavi con la scritta: Iudea Capta. I Flavi impongono ai giudei il fiscus Iudaicus (gli ebrei pagavano la tassa al Tempio, ma dato che il Tempio venne distrutto, quella imposta continuò ad essere pagata ma ai romani).

        Sotto Domiziano abbiamo la testimonianza di un sentimento antigiudaico in crescita. Svetonio (Vita di Domiziano 12.2) testimonia che il fisco giudaico acerbissime actus est, “venne riscosso in maniera durissima”. Marziale (VII.30.35) e Quintiliano (III.7.21) producono scritti anti-giudaici per far piacere probabilmente all’impero.

          Gli ebrei non hanno mai amato i romani in quanto furono i loro dominatori, ma probabilmente essi e i cristiani nutrivano un sentimento ancor più ostile nei confronti di Domiziano, il quale “ormai pretendeva di essere considerato anche un dio (theòs) e si esaltava moltissimo quando veniva chiamato signore (despotēs) e dio (theòs)“ (Cassio Dione 67.4.7).

        All’epoca di Domiziano vi era una confusione tra giudei e cristiani, che venivano considerati tutti alla stessa stregua, in un continuo sentimento anti-giudaico. L’Apocalisse venne scritta nei luoghi attorno ad Efeso (Asia Minore), e sappiamo che nel 29 a. C. a Pergamo venne costruito un nuovo tempio all’imperatore, e cinquanta anni dopo a Smirne (cfr. Tacito, Annali IV.15, 55-56). Verso il 90 d.C. venne costruito a Efeso da Domiziano il tempio dei Sebastoi, cioè agli Augusti della famiglia di Domiziano, quindi Efeso divenne neōkoros, “custode”, delle tradizioni pagane (cfr. Atti 19, 35).

         Ma la Bibbia ha sempre un afflato universale. La Sacra Scrittura, dal primo libro all’ultimo, presenta scenari storici ma che vengono letti in chiave teologica per dare speranza o insegnamento anche a tutti i credenti che verranno.

        L’Apocalisse presenta enormi difficoltà del suo tempo, probabilmente relative alla persecuzione di Domiziano, però sta parlando al cuore di tutti i cristiani.

        L’Apocalisse vuole dire al cristiano di tutti i tempi che, nonostante l’imperversare del male, abbiamo una speranza certa: l’Agnello immolato. Solo la fede in Lui può farci sopportare le prove presenti e guadagnarci la salvezza finale.  

Bibliografia

  • Citrasutra. Trattato sulla Pittura nell’India Antica, a cura di A. Dallaporta, L. Marcato, Milano 2016;
  • E. Lohse, L’ambiente del Nuovo Testamento, Brescia 1993;
  • A. Paul, Il mondo ebraico al tempo di Gesù. Storia politica, Città di Castello 1983;
  • S.R.F. Price, Rituals and Power: The Roman Imperial Cult in Asia Minor, Cambridge 1984;
  • E. Schürer, Storia del popolo giudaico al tempo di Gesù Cristo, 2 voll., Brescia 1985-1987;
  • U. Vanni, Apocalisse di Giovanni, secondo volume, Assisi 2021.