L’amore di Dio per tutti, di Marco Calzoli

Noi esseri umani nasciamo dalla volontà di due genitori, ma che sono unicamente lo strumento della vera causa, che è la Volontà di Dio.

        Dio nutre nei confronti di ogni essere umano, generato da due persone, un amore in qualche modo analogo a quello dei genitori biologici.

          È questo il grande mistero della nascita. Dio ama follemente le sue creature, ci ama come una tenera madre, di più, come un’amante. Il Cantico dei cantici è un poemetto biblico, contenuto nell’Antico Testamento, che prospetta allegoricamente la storia del popolo di Israele con il suo Dio quale una storia di amore tra un giovane e una fanciulla.

          Se vogliamo, questa lettura è confermata dall’inizio del libro della Genesi, in cui è scritto:

1 1In principio Dio creò il cielo e la terra. 2 La terra era informe (tohu) e deserta (bohu) e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.

        I due termini ebraici che abbiamo riportato (tohu e bohu) non vengono conosciuti adeguatamente dall’antichità ad oggi. Sono quasi degli hapax perché ricorrono in coppia solo qui e in Isaia 34, 11 e Geremia 4, 23. Pertanto le traduzioni antiche, non disponendo di altri passi da confrontare, non sapevano bene il loro significato.    

            La traduzione greca della LXX rendeva i due termini: aoratos kai akataskeuastos, “invisibile e distrutta/desolata”.

            Un altro testo antico che deve aver assunto l’interpretazione di tohu e bohu come parole che descrivono lo stato della terra è il Libro dei Giubilei (2, 2-3): tutti gli altri elementi primordiali menzionati in Genesi 1, 2 sono menzionati in questo brano come creati da Dio il primo giorno, ad eccezione del tohu wa-bohu, e la ragione di questa assenza è senza dubbio che – analogamente alla LXX, ai targum e ad altre tradizioni esegetiche – non furono interpretati dall’autore del Libro dei Giubilei come elementi primordiali. Sarebbero prima della creazione del mondo e oltre la creazione. Infatti questo testo anticiperebbe una interpretazione tannitica, per la quale “tohu è una linea verde che abbraccia il mondo intero, da cui proviene l’oscurità… Bohu – questo significa: pietre ricoperte di fango che affondano nell’abisso, da cui sgorga l’acqua” (Talmud Babilonese, Hagiga 12A).

            In tempi più recenti ci sono solo ipotesi linguistiche. Collegamento con una presunta base thh, quindi tohu vorrebbe dire “informe”. Oppure con l’aramaico tahah, “vastità”. Altri propongono con la radice semitica *tuhw, che si ritrova nell’arabo tihun, “deserto”. Oppure con la radice semitica tahah: “rendere denso” > “massa grezza, confusa, deserta” > “devastazione, distruzione” > “deserto” (quale luogo desolato).

            Oggi si ritiene spesso che tohu e bohu siano delle voci onomatopeiche che veicolano l’idea del caos prima della creazione, concetto, questo, espresso altresì dal tehom (“abisso”, che ricorda la divinità mesopotamica Tiamat, distrutta prima dell’atto creativo) e del ruah ‘Elohim (“vento di Dio”, che sarebbe un superlativo semitico indicante un vento fortissimo).   

            I cristiani arabi traducono la prima parola (tohu) con l’arabo khariba, che vuol dire “distrutta, demolita”. È la esatta traslitterazione dell’ebraico ḥareb. La stessa radice araba è presente nel termine arabo harb, “guerra” (si tratta di due esiti diversi della stessa radice). Che tohu significhi “guerra” o “distruzione”?

            Sempre i cristiani arabi traducono bohu con khalia, da una radice che veicola l’idea dell’ “essere vuoto”. Gli studiosi invece collegano il termine bohu all’arabo baha, “essere bello, splendente”, da cui il bey ottomano, che era più o meno un principe. Ma anche queste due associazioni non paiono convincenti (notiamo per inciso che la lingua araba non è necessariamente collegata alla religione islamica, per esempio ci sono anche ebrei che parlano arabo).

             Allora i filologi ricorrono alla cosmogonia fenicia, quale ci è stata tramandata da Filone di Biblo: si tratta di un frammento presente nell’opera di Eusebio di Cesarea. In questo passo, tramandato in lingua greca, Filone presenta la consorte di un dio, la quale si chiama Baau in lingua fenicia e poi specifica che si tratta della Notte. Dato che i fenici erano semiti, come gli ebrei, gli studiosi concludono che l’esatto significato di bohu debba essere quello di “notte”: infatti le tenebre compaiono proprio nell’incipit della Genesi, quasi associate alla parola bohu.

            Nello stesso passo di Filone di Biblo compare anche Pothos, un termine greco che vuol dire Desiderio. In semitico “desiderio” è veicolato dalla radice hwy, di cui, secondo alcuni studiosi, tohu dovrebbe essere la corruzione (per determinate ragioni fonetiche, la /h/ diventa la /t/). A conferma di questa lettura c’è Isaia 24, 10, che parla in ebraico di qiryat-tohu. Alcuni traducono con “città Tou”, quale fosse un toponimo, mentre Girolamo si era accorto che la parola in questione voleva dire “desiderio” o qualcosa di simile, infatti traduceva con: civitas vanitatis.

             Pertanto, stando a tale ricostruzione, all’inizio della Genesi compaiono la Notte (bohu) e il Desiderio (tohu), i due elementi che comparivano anche nella cosmologia fenicia, secondo la testimonianza di Filone di Biblo.

              Questo vuol dire che tutto l’essere creato nasce da qualche cosa che già c’era. Prima di creare, Dio poteva avere di fronte agli occhi la Notte e il Desiderio. Infatti, i filologi ricordano che il verbo ebraico usato nell’incipit della Genesi per “creare” è barà, il quale non indica la creazione dal nulla, bensì da qualcosa di preesistente. Gli studiosi riconoscono quindi che la nozione di creazione dal nulla non verrà formulata prima di 2Maccabei 7, 28.

           Secondo noi, questo vuol dire che Dio, prima di creare all’inizio il mondo e prima di creare ogni singolo uomo nel seno di sua madre (la quale è solo causa strumentale, mentre la causa efficiente è unicamente Dio), ha a che fare con il proprio desiderio. Cioè Dio prima di creare AMA/DESIDERA la sua creatura in un rapporto singolarissimo.

            Non è forse vero che nella Bibbia ebraica la “misericordia” di Dio verso le sue creature è detta anche rachamim, un plurale ebraico che vuol dire letteralmente “viscere materne”?

             La storia della salvezza altro non è che l’incontro tra il Desiderio di Dio e l’uomo. È una grande storia di amore. Dio vuole essere riamato perché ci ha amati per primi! Nella chiesa delle origini il banchetto eucaristico era detto agapē, sostantivo greco che significa “amore“.

             È certamente un amore sia filiale sia sponsale. Per gli induisti Dio si comporta come un giocatore di dadi (Ṛg-Veda 2.12.5): yaṃ smā pṛcchanti kuha seti ghoram utem āhur naiṣo astīty enam | so aryaḥ puṣṭīr vija ivā mināti śrad asmai dhatta sa janāsa indraḥ | “colui di cui tutti chiedono Dov’è?, il (dio) pauroso di cui si dice che Non esiste, proprio lui fa sparire (mināti) le ricchezze degli ari (il rivale) come (un giocatore) di dadi”.  In seno alla tradizione greca gli uomini sono “paighnion tōn theōn”, “gioco degli dei”, come se il Divino giocasse con noi quale un Padre con i suoi piccoli. La Sapienza di Proverbi 8, che sarà in seguito identificata con Cristo, gioca oppure danza. Filone ci mostra un Logos giocoso che stende la storia nel tempo via via sollevando e abbattendo imperi; ne proverrà, secondo Hugo Rahner, il Logos ragazzino di Valentino. Alcuni Padri della Chiesa parlano di un Deus ludens, un Dio che gioca.

            Ma Israele è anche la sposa di Dio, secondo una antichissima tradizione che affonda le radici nell’Antico Testamento. Questa immagine sarà ripresa da Apocalisse 19 in riferimento alla chiesa: “Sono giunte le nozze dell’Agnello, la sua sposa è pronta”.

             Per via di tanto amore di Dio verso le sue povere creature, le forze del male si oppongono strenuamente: non vogliono la felicità dell’uomo, quindi ostacolano il rapporto con Dio. Il sostantivo greco diabolos veicola etimologicamente il significato di una entità che “getta (ballein) in mezzo (dià)”, cioè il diavolo è colui che divide.

            Dio non ha creato il male, ma esso è stato introdotto nella creazione dalle forze del male, le cui strutture sono presenti in ogni opera umana. I santi dicono che il male è come una ragnatela che ricopre tutto il mondo. Il Concilio Vaticano II (Gaudium et Spes 13) così dichiara:

Infatti l’uomo, se guarda dentro al suo cuore, si scopre inclinato anche al male e immerso in tante miserie, che non possono certo derivare dal Creatore, che è buono. Spesso, rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio, l’uomo ha infranto il debito ordine in rapporto al suo fine ultimo, e al tempo stesso tutta l’armonia, sia in rapporto a se stesso, sia in rapporto agli altri uomini e a tutta la creazione. Così l’uomo si trova diviso in se stesso. Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. Anzi l’uomo si trova incapace di superare efficacemente da sé medesimo gli assalti del male, così che ognuno si sente come incatenato. Ma il Signore stesso è venuto a liberare l’uomo e a dargli forza, rinnovandolo nell’intimo e scacciando fuori «il principe di questo mondo» (Giovanni 12,31), che lo teneva schiavo del peccato. Il peccato è, del resto, una diminuzione per l’uomo stesso, in quanto gli impedisce di conseguire la propria pienezza. Nella luce di questa Rivelazione trovano insieme la loro ragione ultima sia la sublime vocazione, sia la profonda miseria, di cui gli uomini fanno l’esperienza.

           All’inizio della Genesi il male è rappresentato dalla figura del serpente, che tenta Adamo e Eva al primo peccato della storia. Questo animale richiama i culti idolatrici del Vicino Oriente antico, dai quali anche gli antichi ebrei erano sedotti. Si trattava di riti sessuali o orge sacre in onore delle divinità locali. Quale grande colpo al cuore gli uomini di tutti i tempi infliggono al cuore amante di Dio! Dio vede i suoi figli e teneri oggetti di amore prostituirsi nello spirito e nella carne in culti blasfemi anziché rendere gloria al loro Creatore! I Padri conciliari (Gaudium et Spes 37) dichiarano:

Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall’origine del mondo, destinata a durare, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio.

             Il latino è una lingua assai pregnante: il termine iustitia non ha a che fare unicamente con i tribunali, bensì con la perfezione. Infatti “giusto” è ciò che è fatto in maniera “giusta”, “perfetta”, “completa”. Cicerone parlava di una “iusta victoria”, “una vittoria completa”. E la cosa più perfetta che esista è la santità di Dio. Iustitia deriva dal latino ius, che veicola l’idea del “perfetto” in quanto “diritto”, “lineare”. Ius a sua volta deriva dalla radice sanscrita yuj-, che significa anche “unione” (donde yoga). Pertanto se noi non siamo uniti a Dio, non possiamo essere interiormente “giusti”, vale a dire “perfetti”, “integri”, né d’altra parte avere “giustizia” sociale, cioè la pace nel mondo e nelle famiglie. 

             I diavoli hanno due armi per colpire i figli di Dio e ogni altro uomo sulla terra: la persecuzione (la violenza, la minaccia, i malefici), ma il metodo più usato e anche più subdolo è l’inganno. La chiesa svela la presenza di Satana nel mondo, quindi egli si nasconde divenendo “simia Dei”, “scimmia di Dio”, come diceva anche Lutero, cioè fa finta di essere una entità positiva, anzi migliore di Dio, per attrarre i semplici e gli sprovveduti. In questa lotta contro il potere delle tenebre che avviene nel cuore degli uomini, riscuote più successo l’inganno: la falsa profezia e le altre astuzie. Se il diavolo si manifestasse per quello che è, il distruttore dell’umanità, avrebbe poco seguito. Ma le conseguenze dei doni del demonio, se anche all’inizio sono piacevoli, alla lunga sono terribili, in quanto ci separano da Dio e dalla sua grazia. Infatti, come dice la Madonna di Medjugorje, Satana ci distrugge con quello che ci offre.

             Dato che le forze del male sono così potenti da traviare continuamente il cuore dell’uomo, durante il rito del battesimo viene tracciata sul petto la croce con l’olio dei catecumeni. Il catecumeno è colui che si prepara a servire Dio, tale era detto il battezzato. Questo rito con l’olio, tuttora praticato, deriva dal mondo romano, ove i lottatori si ungevano i muscoli per prepararsi allo scontro fisico, così come gli atleti in genere per superare la gara. Il cristiano quindi è chiamato a una strenua lotta contro il mondo, la carne e il demonio per compiere la volontà di Dio.

           Il secondo olio impartito al battezzato è il crisma. Si tratta di un unguento profumato e il suo significato è questo: il battezzato diventa idoneo a portare nel mondo il profumo di Cristo. Ogni cristiano ha il compito di annunciare ai fratelli la Buona Novella a parole ma soprattutto con l’esempio.

           Altri simboli del battesimo sono l’acqua (purificazione), la veste candida (la nuova vita senza peccato) e la candela (il fuoco dell’amore che deve sempre ardere per Dio).

            Battezzare significa ricevere lo Spirito Santo, che ci rende figli di Dio, cioè ci fa nascere fratelli di Cristo e come Lui eredi del Regno di Dio. Il battesimo imprime su ognuno di noi la dignità di re, sacerdote e profeta.

             Dio crea il mondo con il solo fine ultimo di porre a compimento un’opera che riami il suo Creatore. Secondo il racconto della torre di Babele (Genesi 11), all’inizio gli uomini avevano un’unica lingua e volevano creare una unità, per questo Dio infrange tale sogno dando loro lingue diverse, così da non farli capire tra di loro. Qual è il senso recondito di questo racconto? Dio vuole che i cuori umani siano tra loro uniti non nelle vanità, nel potere, nei desideri sbagliati, bensì unicamente in Dio.

           A chi gli chiedeva cosa cerca l’uomo, Aristotele rispondeva: la felicità. I cuori umani sono fatti unicamente per Dio e Dio sa che la massima felicità dell’uomo sta nel riamare un Creatore così buono.

           In arabo la radice semitica *ḏhb ha dato luogo al verbo “andare” e al sostantivo “oro”. Chi si incammina lungo il proprio percorso, in autenticità, troverà l’oro, cioè Dio. In latino il “desiderio” è detto appetitus, dal verbo latino ad-petĕre, “aspirare a”.  Appetitus darà luogo all’italiano “appetito”, cioè “fame” (quale desiderio di cibo) e traduce il sostantivo greco orexis, che vuol dire “desiderio” e “fame” (l’an-oressia è la mancanza di fame). Orexis a sua volta deriva dal verbo greco oreghein, che vuol dire “aspirare, tendere”. Il verbo oreghein condivide la radice con il verbo latino regĕre, “tracciare una linea dritta”. In Omero il verbo oreghein al medio indica l’atto del protendersi in avanti dei cavalli nel combattimento, cioè stendersi in linea retta (Iliade 16.834). Il latino regĕre ha la stessa radice di rectus, “retto, dritto, corretto, giusto” (il sostantivo latino rex, regis immortala il “re” nella pratica arcaica di tenere “dritto” l’aratro per tracciare la linea di confine della città). Allora si desidera veramente, nel profondo del proprio cuore, solo ciò che è giusto! E, come sosteneva Socrate, il male è semplicemente un errore dovuto all’ignoranza. Ora, ciò che è massimamente giusto è Dio. Per questo Tommaso d’Aquino scriveva che l’uomo ha dentro di sé il desiderio di Dio, al quale aspira sempre, anche se non se ne rende conto. Certamente tale desiderio primario collima con l’amore: il vero amore è tensione al Bene. Non per nulla il verbo egiziano antico merj significa sia “amare” sia “desiderare”. Il verbo latino petĕre condivide la radice indoeuropea con il verbo greco piptein, “volare”: il desiderio autentico, quello fondamentale, ci fa volare, cioè ci innalza alle realtà spirituali, a Dio stesso. Tale aspirazione, infatti, è espressione della nostra anima spirituale. 

           Gesù in persona rivelò a Faustina Kowalska che l’essere umano è racchiuso nella misericordia di Dio più profondamente di un bimbo nel grembo di sua madre. Allora quando gli esseri umani si accorgono di tanto amore, non possono non riamare Dio di vero cuore anche consapevolmente. Ed è questo che dona la vera “felicità”, termine che in sanscrito è sukha, composto da su, “buono”, e kha, in genere “asse portante, punto di riferimento”, quindi “cielo, realtà spirituali”. Nel Ṛg-Veda (4.11.2), il più antico dei Veda, i testi sacri dell’induismo, è scritto in sanscrito vedico: vi ṣāhy agne gṛṇate manīṣāṃ khaṃ vepasā tuvijāta stavānaḥ, “Agni, che sei generato ripetutamente e glorificato dal sacrificio, apri il cielo (khaṃ) a colui che ti offre adorazione”.  È quindi felice solo colui che ha come pietra angolare nientemeno che il cielo, le realtà spirituali, quindi Dio. In greco la felicità è detta eudaimonia, cioè stare uniti a una buona (eu-) divinità (daimōn).

         Ai più sembra tutto scontato e sembra tutto dovuto: in realtà tutto ciò che ci accade è preordinato da Dio in un rapporto unico tra Egli e la sua creatura. La santa Edith Stein ebbe una intuizione sulla sua vita passata: ogni singolo evento della sua storia era stato determinato direttamente da Dio stesso.

           La nostra vita ha una dignità e un valore immensi, infiniti, quanto è infinito Dio stesso. Per questo occorre riamare Dio per essere felici: è Dio stesso il nostro vero Padre!

           Dio è Trinità: tre Persone uguali e distinte. Una sola sostanza divina in tre Persone (Padre, Figlio e Spirito Santo). Come ciò sia possibile è un mistero che mente umana non può capire.

            La Persona divina meno conosciuta è lo Spirito Santo. Dio agisce sempre con le tre Persone in maniera inscindibile, ma ognuna di esse ha delle “specificità”. Il Padre crea il Figlio, che è generato dal Padre: l’amore tra Padre e Figlio è lo Spirito Santo. Dato che è lo Spirito che ci rende cristiani il giorno del battesimo donandoci la vita eterna, allora possiamo dire che noi nasciamo alla vera vita come atto di Amore.

             Anche la Santa Messa ha uno schema trinitario. Cristo è il Figlio che si offre in sacrificio al Padre per il perdono dei peccati: la conseguenza è che lo Spirito ci rende nuove creature in Cristo, Agostino diceva che “in Illo uno unum” (nell’unico Cristo siamo uno). 

            Diventiamo membra del corpo di Cristo, sempre Agostino diceva che Cristo è caput et corpus, capo e corpo. Per questo chi crede di amare Cristo ma oltraggia la chiesa, sta oltraggiando nientemeno che Cristo che crede di amare!

            Nella Santa Messa si invoca due volte lo Spirito: nella epiclesi (sopra le offerte affinché diventino il corpo e il sangue di Cristo, che continua a offrirsi in sacrificio al Padre) e quando il sacerdote pronuncia la formula:

Guarda con amore, o Dio,

la vittima che Tu stesso hai preparato per la tua Chiesa;

e a tutti coloro che mangeranno di quest’unico pane

e berranno di quest’unico calice,

concedi che, riuniti in un solo corpo dallo Spirito Santo,

diventino offerta viva in Cristo, a lode della tua gloria.

         Come lo Spirito permette la presenza vera e reale del corpo, del sangue, dell’anima e della divinità di Cristo nel pane e nel vino consacrati (transustanziazione), così permette anche la trasformazione dei peccatori in cittadini del Cielo, fratelli di Cristo.

          Papa Francesco si riferiva alla “rivoluzione della tenerezza”, che i cristiani devono portare nel mondo nel segno della pace e della mitezza.

          Per questo papa, sperimentare la tenerezza significa “sentirsi amati e accolti proprio nella nostra povertà e nella nostra miseria”. Vuol dire “essere trasformati dall’amore di Dio”. Così cambiati, dobbiamo cambiare il mondo oltre ogni logica di guerra e di ritorsione.

           La Madonna di Medjugorje ricorda che la pace altro non è che un grande dono di Dio. E Gesù diceva a Faustina Kowalska che gli uomini non ritroveranno la pace se non ritorneranno al cuore misericordioso di Dio.

             I santi dicono che nella Eucaristia vi sia il cuore di Cristo, che tanto ama le sue creature ma tanto viene oltraggiato, oltre a ricevere indifferenza.

              Il nucleo del messaggio cristiano è l’amore! Nasciamo dall’amore Dio, da esso veniamo trasformati in creature celesti e amore dobbiamo portare al mondo per rispetto di un Dio talmente buono.

             Nella Lettera ai Romani leggiamo questa pericope:

5 1Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo; 2 per suo mezzo abbiamo anche ottenuto, mediante la fede, di accedere a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio. 3 E non soltanto questo: noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata 4 e la virtù provata la speranza. 5 La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.

              Questo passo associa i tre tempi dell’esistenza del credente: il passato della giustificazione, il presente della pace e il futuro della speranza di ciò che saremo. “Giustificati dunque per fede” è nell’originale greco dikaiōthentes oun ek pisteōs, ove il participio aoristo allude discretamente a qualcosa che si è compiuto puntualmente mediante l’atto della fede. La fede in Cristo, che ci è donata nel battesimo, ci ha permesso di essere giustificati, quindi avere adesso pace e di sperare nella gloria futura.

              Notiamo anche la nozione trinitaria nel passo di Paolo: sono presenti le tre Persone (Dio Padre, Cristo, Spirito Santo). La chiesa in ogni parte del mondo e in ogni lingua proclama tuttora la Trinità delle Persone, l’Unità della Natura, l’Uguaglianza della Maestà divina. Nelle liturgie caldee si adotta ancora la celebre Anafora dei Beati Apostoli Mar Addai e Mar Mari, la più antica preghiera eucaristica giunta fino a noi, che recita all’inizio: “È  degno di lode da tutte le nostre bocche e di confessione da tutte le nostre lingue il Nome adorabile e lodabile del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo …”. In Matteo 28 Gesù prescrive: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli NEL NOME del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (non si dice “nei nomi” ma si usa l’espressione “nel nome”, in greco eis to onoma: questo vuol dire che Padre, Figlio e Spirito Santo, pur essendo distinti, sono lo stesso Dio Unico).

              Il perfetto usato da Paolo (ekchekytai, l’amore di Dio “è stato riversato” nei nostri cuori, come un liquido) allude al doppio momento concernente lo Spirito, che da una parte è già stato dato (participio aoristo tou dothentos), ma dall’altra rimane tuttora nel cristiano come una acquisizione stabile.

             Nell’Antico Testamento abbiamo il binomio “amore e fedeltà” (rispettivamente in ebraico: ḥesed e ‘emet), che si usa solamente in riferimento al Signore. Infatti leggiamo nel Salmo 25, 10:

Tutte le vie dell’Eterno sono amore e fedeltà, per quelli che osservano il suo patto e le sue testimonianze.

              Questo binomio rimarca la stabilità del suo amore, conformemente al Salmo 111, 7:

Le opere delle sue mani sono stabilità e giustizia; tutti i suoi precetti sono saldi.

             L’amore di Dio per le sue creature non si è mai esaurito e mai si esaurirà. In Genesi 24, 27 si legge:

Sia benedetto il Signore, Dio del mio padrone Abramo, che non ha cessato di usare amore e fedeltà verso il mio padrone.

              Gli uomini sono chiamati a fare altrettanto. In Proverbi 19, 22 è scritto che “ciò che rende caro l’uomo è l’amore”. In Giovanni 13, 34-35 Cristo prescrive:

Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri.

              I cristiani, sulla base di questo mandato, hanno iniziato a trasformare il mondo. Dopo la caduta dell’Impero Romano per via anche delle invasioni barbariche, quando i preposti romani scappavano o venivano uccisi, si sostituirono lentamente le autorità cristiane, i vescovi, che non fuggivano e per questo venivano martirizzati spesso quali autorità politiche. Per questo nel Medioevo inoltrato i benedettini si riunivano in monasteri che formavano delle vere e proprie imprese di lavoratori interni ed esterni, che finirono con il sostituire il lavoro degli schiavi romani.

           Poi i francescani iniziarono la loro opera nel contesto di un grande movimento sociale di spostamento dalle campagne alle città, quindi iniziarono a costruire i propri conventi in zone urbane. Era insomma il tempo degli ordini mendicanti, francescani e domenicani, i quali si insediavano di solito lontani dalle campagne. Tutti contribuirono a questo nuovo assetto sociale.

             La scuola domenicana era più legata ad Aristotele e alla razionalità, mentre quella francescana ad Agostino e alla libertà.   Nella Scuola di Santa Croce a Firenze, retta dai francescani, si posero le basi del capitalismo, secondo una recente teoria. A Santa Croce, oltre ai numerosi giovani dell’Ordine, coronarono la loro formazione giovanile altrettanto numerosi esponenti di famiglie nobili fiorentine, insieme a giovani di estrazione popolare, ma destinati ad occupare un posto privilegiato nella vita culturale della città. Qui studiò il sommo poeta Dante Alighieri; qui ebbe la sua formazione culturale Giovanni de’ Medici, il figlio di Lorenzo il Magnifico, che fu poi Cardinale e Papa con il nome di Leone X.

             Allora le classi sociali che avevano mezzi erano tre: i nobili, i guerrieri e il clero. Era escluso il popolo, da tutti sfruttato, allora i francescani, a cominciare da Francesco di Assisi, si posero il problema di come aiutarlo a uscire da questa situazione di sottomissione. A Firenze i francescani si accorsero che il grande problema della economia di allora erano i tassi di interesse usurai che chi concedeva credito applicava sul denaro e sui servizi. Pertanto a Santa Croce, sulla base della idea di libertà agostiniana e poi francescana, nacque una nuova concezione del denaro, che permise lo sviluppo dei primordi del ceto medio, basato sul capitalismo. Però il capitalismo maturò solamente in seguito, grazie allo spirito dei cristiani protestanti (teoria di Weber), poiché essi consideravano il lavoro in maniera positiva, e non una punizione come invece ritenuto dai cristiani romani.   

              Gesù stesso nel vangelo dice che i cristiani devono essere sale della terra e luce del mondo. Certamente non solo spiritualmente, ma anche per le esigenze politiche e sociali, in quanto l’uomo non è solamente un essere spirituale. Questo compito della chiesa altro non è che una espressione dell’amore verso i fratelli prescritto da Cristo. Pio XI diceva: “Tutti i cristiani sono obbligati ad impegnarsi politicamente. La politica è la forma più alta di carità, seconda sola alla carità religiosa verso Dio”. In conformità all’etimologia greca polis, “città”, la vera “politica” è la gestione della città.

              Nel Corano ricorre per 600 volte la radice rḥm, che indica la misericordia di Dio per tutti gli uomini. In 2, 286 è scritto:

Dio carica sulle spalle di ognuno solo il peso che egli può portare: il bene che avrà compiuto tornerà a lui, il male accumulato ricadrà su di lui. ‘Signore! non castigarci per il male che abbiamo compiuto per dimenticanza o per debolezza! Signore! non caricarci di un fardello simile a quello di cui hai caricato i nostri avi! Signore! non mandarci se non ciò che le nostre forze possono sopportare. Cancella le nostre colpe, perdonaci, facci sentire la tua misericordia!, in arabo wa-ir’ḥamnā.

            La parola Islam è un nome arabo derivante dal radicale salama, che alla IV forma vuol dire “sottomettersi” (valore riflessivo). Secondo altri, invece, la IV forma del verbo vorrebbe dire “far pace con sé stessi” (salama significa anche “far pace”, il nome salam, “pace”, è il saluto che tuttora gli arabi si scambiano).

            Allora la vera pace si ha quando accettiamo di sottometterci a Dio, il quale è il Garante di tutto ciò che accade sulla faccia della terra e nei mondi infiniti di cui è composto l’universo.

              All’inizio di ogni sura del Corano (tranne la IX) è scritto: “Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso”, in arabo bismi l-lahi r-raḥmani r-raḥimi. In 1Giovanni 4, 8 è scritto che “Dio è amore”, in greco o theos agapē estin.

              Però esistono persone terribili, che compiono azioni riprovevoli. Prima dell’esistenza del serial killer definito Jack lo Squartatore, in Italia c’era Antonio Boggia, decapitato nel 1862 (l’ultimo delinquente a cui fu applicata la pena di morte in Italia), che compì a sangue freddo numerosi delitti, ma la solerzia di un giudice riuscì a fare chiarezza e a restituirlo alla giustizia. Ma sono della cronaca di tutti i giorni fatti innominabili commessi in tutto il mondo. Dio ha misericordia anche verso di loro? È anche per loro Amore?

              I santi cristiani dicono che l’amore di Dio si manifesta in due maniere: la misericordia e la giustizia. Anche nella giustizia, fino a quella estrema dell’inferno, Dio nutre amore, perlomeno per le vittime della violenza di crudi assassini senza scrupoli. “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati” (Matteo 5, 6).

              Ricordiamo che persino nella chiesa ci sono alcuni peccatori. La chiesa è Santa perché guidata dallo Spirito Santo, ma è formata da esseri umani, che come tutte le persone possono anche sbagliare, relativamente alle faccende umane. Tuttavia, nonostante il peccato degli uomini, la chiesa è infallibile nella dottrina e  indistruttibile, proprio perché accompagnata da Dio e dalla Madonna. “Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi” (2Corinzi 4, 7).

              I cristiani non sono perfetti, anzi la ricerca della perfezione nel proprio gruppo è stata una eresia, quella dei catari. Tutti i cristiani, compresi i sacerdoti, non sono persone speciali, ma sono continuamente tentati dal Maligno come ogni uomo sulla faccia della terra. Anche i padri del deserto, i quali vivevano una vita assai austera, pregavano continuamente e alcuni di loro parlavano con gli angeli, nondimeno subivano assalti dai demoni. La vita di fede non esclude la persona dalla umanità, che è ferita dal peccato e esposta alla tentazione e alle prove fisiche, spirituali e morali. I cristiani sono stati chiamati da Dio a far parte della chiesa e le prove che devono superare sono presenti “ad agonem”, come sentenziava il Concilio di Trento, cioè “per la lotta”, affinché tramite il combattimento spirituale ci meritiamo con le buone opere il paradiso.

              Per questo seguire Gesù è impegnativo e molte volte si cade prima di raggiungere la meta. Palo VI diceva che il cristianesimo non è “facile” ma “felice”. Dio chiede tutto, non solo i beni materiali, ma soprattutto quelli interiori: chiede di rinunciare all’egoismo, all’orgoglio, alla vanità, all’attaccamento alle cose.

            Riflettiamo brevemente sulla parabola del cieco Bartimeo che mendica lungo la strada (Marco 10). Quando Bartimeo sente passare Cristo lascia cadere a terra il mantello (in greco imation) e si dirige verso il Maestro. Il mantello era l’unica proprietà di un mendicante, tanto che la legge ebraica imponeva di restituirlo temporaneamente durante la notte se era stato sottratto per debiti. Il mantello è simbolo delle cose cui siamo attaccati e soprattutto dell’abito mentale che dobbiamo abbandonare per metterci alla sequela di Cristo. Non per nulla nel greco neotestamentario la “conversione” è detta metanoia, che letteralmente veicola l’idea del “cambiar mente”.

              In questa sequela sono due i fari a cui bisogna guardare costantemente: l’Eucaristia e la Madonna.

              La teologia riconosce nella Eucaristia la sorgente di tutte le grazie che Dio riversa sull’umanità; e nella Madonna, la Madre verginale di Cristo, la Mediatrice di esse. Esiste un solo Mediatore tra Dio e gli uomini ed è Gesù Cristo; Maria è Mediatrice tra Cristo e noi.

             Maria viene chiamata chiriaga, espressione greca che vuol dire: Colei che ci guida tenendoci per mano. Agostino diceva che nasciamo alla fede quando questa grande Santa lo permette. Maria è Madre di Dio, quindi Madre della Chiesa. Come essa ha generato fisicamente il Figlio di Dio, così genera spiritualmente il di Lui corpo mistico, cioè i credenti. Maria è Madre del Christus Totus, cioè caput et corpus.

           La preghiera più importante del cristiano è la Messa, ma al secondo posto c’è il Rosario alla Beata Vergine. Paolo VI ricorda che non possiamo essere cristiani se non siamo mariani.

           Maria Santissima in persona ha fatto 15 promesse a chi recita con devozione il suo Santo Rosario. Il più importante codificatore del Rosario è stato il monaco domenicano Alano de la Roche, che muore nel 1475 ed è considerato l’apostolo della devozione per il Rosario in diverse nazioni europee. Nelle sue memorie, Alano narra di aver ricevuto direttamente dalla Vergine 15 promesse valide per tutti i devoti del Santo Rosario, tuttora di grande attualità e che manifestano l’intensità dell’amore che la Madonna nutre per tutti noi. Esse sono:

  • Chi recita con grande fede il Rosario riceverà grazie speciali.
  • Prometto la mia protezione e le grazie più grandi a chi reciterà il Rosario.
  • Il Rosario è un’arma potente contro l’inferno, distruggerà i vizi, libererà dal peccato e ci difenderà dalle eresie.
  • Farà fiorire le virtù e le buone opere e otterrà alle anime le più abbondanti misericordie divine; sostituirà nei cuori l’amore di Dio all’amore del mondo, elevandoli al desiderio dei beni celesti ed eterni. Quante anime si santificheranno con questo mezzo!
  • Colui che si affida a me con il Rosario non perirà.
  • Colui che reciterà devotamente il mio Rosario, meditando i suoi misteri, non sarà oppresso dalla disgrazia. Peccatore, si convertirà; giusto, crescerà in grazia e diverrà degno della vita eterna.
  • I veri devoti del mio Rosario non moriranno senza i Sacramenti della Chiesa.
  • Coloro che recitano il mio Rosario troveranno durante la loro vita e alla loro morte la luce di Dio, la pienezza delle sue grazie e parteciperanno dei meriti dei beati.
  • Libererò molto prontamente dal purgatorio le anime devote del mio Rosario.
  • I veri figli del mio Rosario godranno di una grande gloria in cielo.
  • Quello che chiederete con il mio Rosario, lo otterrete.
  • Coloro che diffonderanno il mio Rosario saranno soccorsi da me in tutte le loro necessità.
  • Io ho ottenuto da mio Figlio che tutti i membri della Confraternita del Rosario abbiano per fratelli durante la vita e nell’ora della morte i santi del cielo.
  • Coloro che recitano fedelmente il mio Rosario sono tutti miei figli amatissimi, fratelli e sorelle di Gesù Cristo.
  • La devozione al mio Rosario è un grande segno di predestinazione.