Sono passati quarantacinque anni dalla Rivoluzione Komeinista che ha sprofondato una delle civiltà più antiche delle Terra in un regime arcaico dominato da un oscurantismo clericale che in Europa non si vede dal Medioevo. Il Paese è soggiogato dalla repressione della polizia religiosa, le impiccagioni sono all’ordine del giorno (si veda il bell’articolo Sinistra madre di Hamas di Giancarlo Lehner). Abbiamo già dimenticato la triste vicenda di Masha Amini? A quanto pare sì, perché le anime belle della sinistra, non solo italiana, difendono il regime contro la sua probabile caduta. La cosa non stupisce, nei centri sociali come nelle manifestazioni di piazza, hanno spesso celebrato i peggiori dittatori: Tito, Stalin, Mao, Pol Pot, per fare qualche esempio. Cosa diceva la sinistra quando i titini stupravano ed infoibavano le nostre connazionali nel ’45? Cosa dicevano quando i carri armati russi entravano a Budapest nel ’56? Quando il Muro di Berlino era chiamato barriera protettiva antifascista? Quando Jan Palach si immolava nel ’68? Che era giusto così, perché erano tutti fascisti, fascistissimi, nati in camicia nera ed uccidere un fascista non è un reato. Salvo poi pentirsi a distanza di tempo… lacrime di coccodrillo che non hanno alcuna credibilità. Così come non ne ha chi accusa Israele di essere nazi-sionista (sic!). Farebbero meglio a rileggersi la favola di Pierino e il lupo fascista, musicata da Prokofiev.
Sgombrata la mente da queste follie propagandistiche, possiamo riprendere una lucida analisi della situazione da dove l’abbiamo lasciata lo scorso 27 febbraio (si veda L’amara sconfitta di Israele). In quel momento sembrava che la guerra contro Hamas fosse giunta ad una conclusione, con la liberazione di alcuni ostaggi in mezzo a show mediatici e gran sollievi del buonismo internazionale. Non ho potuto fare a meno di notare che una simile conclusione sarebbe stata una sconfitta per Israele ed avrebbe lasciato la situazione invariata, pronta a riesplodere dopo qualche tempo (utile ad Hamas per riarmarsi). Lampante che Netanyahu non potesse accettarla, a fronte di successi militari evidenti e di un mutato equilibrio di forze: infatti la guerra è subito ripresa.
All’inizio Israele era circondata e minacciata periodicamente da Hamas ed Hezbollah, armati e foraggiati dalla Siria, a sua volta sostenuta dall’Iran, con l’appoggio della Russia che grazie ad Assad a Tartus e Khmeimim aveva le basi militari che le consentivano di mantenere il piede nel Mediterraneo. Già lo scorso febbraio, le capacità offensive dei due gruppi terroristici erano fortemente ridotte ed il regime siriano collassato su sé stesso. Questione di fondamentale importanza per capire l’evolversi della situazione. Dopo dieci anni di guerra civile, con massacri inenarrabili della loro stessa popolazione civile, gli alawiti erano ancora in sella, poi, improvvisamente, il collasso, con Assad in fuga a Mosca. Cos’era, dunque, questo regime siriano che si è sciolto come neve al sole? Per mano di alcuni gruppi di ribelli interni, armati presumibilmente dalla Turchia. Evidentemente si era svuotato della sua forza e non aveva più ricevuto aiuti dall’Iran o dalla Russia che, dissanguatasi in Ucraina, ha dovuto abbandonare le basi e riparare in Cirenaica.
Interessante, perché si deduce (purtroppo informazioni militari accurate saranno a disposizione degli storici solo tra decenni) che la Repubblica Islamica si sia indebolita e sia diventata vulnerabile. Quindi il momento è favorevole per colpirla duramente e distruggerne il più possibile il potenziale offensivo, eventualmente favorendo un rovesciamento interno dell’ordine sociale. Questo è lo scenario. Che proprio in questo momento la preparazione della bomba atomica sia così avanzata da richiedere un’azione immediata, può essere, ma mi sembra una curiosa coincidenza, visto che ne sento parlare da decenni. Sospetto che sia più che altro un pretesto, come la vicenda delle armi di distruzione di massa attribuite a Saddam Hussein.
La posta in gioco è molto alta: silenziare o, addirittura, rovesciare la Repubblica Islamica sarebbe un risultato epocale, in grado di modificare gli equilibri geostrategici di tutta la regione a vantaggio non solo di Israele, ma anche degli arabi sunniti, turchi e sauditi, con cui Israele stava normalizzando le relazioni poco prima dell’attacco del 7 ottobre 2023. Attacco fomentato dall’Iran, per riunire il mondo arabo e non rimanere isolato: è ben chiaro chi siano i guerrafondai in questa vicenda.
Sui giornali si continua a straparlare di accordi, trattative, appelli alla pace: illusioni! Quando tuona il cannone e canta la mitraglia, solo la situazione sul campo è rilevante. È la superiorità militare che determina le conseguenze. Israele sta demolendo le difese e le basi missilistiche del suo nemico, o perlomeno così dice. Nei prossimi giorni vedremo se l’Iran ha ancora la capacità di reagire ai colpi subiti o le sue dichiarazioni di rappresaglia sono solo parole al vento, come quelle di Goebbels che minacciava controffensive, nella Berlino circondata dell’aprile 1945. Il numero di missili che giorno per giorno saranno in grado di colpire il territorio ebraico ci darà l’evolversi della situazione. Quando si ridurrà a zero, Israele potrà colpire le infrastrutture energetiche e civili, paralizzando il Paese e fomentando la rivolta di una società molto giovane (metà della popolazione ha meno di trentacinque anni) che non si riconosce nel regime teocratico, come dimostrano le manifestazioni duramente represse negli ultimi anni.
Sicuramene questo costerà un certo numero di morti, migliaia? Decine di migliaia? Quanti ne ha uccisi la Repubblica Islamica in questi quarantacinque anni? Molti civili italiani morirono sotto i bombardamenti alleati nel ’43-’45; oggi la narrazione della Resistenza ci dice che accettavano ben volentieri questo sacrificio per essere liberati dal nazifascismo, perché per i persiani non dovrebbe essere lo stesso? Ho conosciuto a Torino esuli iraniani che ammiravano il coraggio dei giovani manifestanti rimasti in patria.
Si ricorda che i tentativi di esportare la democrazia con la forza in Somalia, Libia, Iraq, Afghanistan non solo sono stati infruttuosi, ma hanno condotto ad un caos tribale che ha addirittura prodotto la nascita dell’Isis. Corretto, ma mi permetto di osservare con crudo realismo che l’obiettivo non è esportare la democrazia a chi non la vuole e non sa che farsene, bensì distruggere una forza armata ostile e pericolosa. Inoltre, alcuni dei casi citati non erano stati nazionali, ma territori ex-coloniali con confini tracciati col righello dalle potenze europee, senza tener conto delle popolazioni locali. Per la Persia è diverso: ha una storia millenaria di stato unitario e di impero, inoltre mesi di proteste di piazza, duramente represse, dimostrano che la popolazione ha raggiunto la maturità per richiedere un cambiamento politico.
Ci si chiede se gli Stati Uniti interverranno direttamente nel conflitto. Non dimentichiamo che già da mesi stanno intervenendo per colpire gli Houti in Yemen: l’ultima milizia ancora offensiva sostenuta dall’Iran.
Se Israele riuscirà a rovesciare il regime degli Ayatollah, centrerà un risultato epocale che, oltre a proiettare Netanyahu nell’empireo dei Padri della Patria, potrà pacificare l’intera regione e, come conseguenza, togliere il sostegno ad Hamas, liberando la popolazione di Gaza dai suoi aguzzini. Non solo, l’Iran è il principale fornitore dei droni con cui Putin uccide ogni giorno civili ucraini (certo, certo, sono tutti fascisti anche loro, a cominciare dai bambini…): distruggere l’Iran significa anche contribuire a difendere l’Ucraina e fare un passo avanti verso la pace in Europa.
Ha ragione il cancelliere Merz nel dire che Israele sta facendo il lavoro sporco anche per noi.
Parafrasando Kennedy non ci resta che affermare: Ich bin ein Tel Aviver!