“La Sindone è provocazione all’intelligenza.” Difficile non essere d’accordo con questa affermazione di San Giovanni Paolo II in visita a Torino per l’ostensione del 1998. Nel suo discorso intenso e commosso egli invita non solo il ricercatore ma ogni uomo a “cogliere con umiltà il messaggio profondo inviato alla sua ragione ed alla sua vita”. Ecco, non solo alla ragione, anche alla vita. È una riflessione importantissima, che subito ci parla di intelligenza provocata nella sua immensa ricchezza: non solo lo spirito geometrico è coinvolto, ma anche e forse ancor di più lo sono Cuore, Intuizione e Vita. La Sindone è davvero qualcosa di straordinario che ci dice con immediatezza della Croce, ci dice della Passione, e lo fa in modo misterioso.

Di fronte al mistero sorge forte l’impulso ad indagare, per capire tutto quel che si può. L’eccezionalità dell’oggetto poi induce al desiderio, alla speranza di dimostrare che si tratta proprio del lenzuolo che ha avvolto il corpo di Nostro Signore: traguardo altissimo, inafferrabile. Oppure, con ben altra speranza, addirittura opposta e ultimamente molto attiva, si vuole dire ad ogni costo che il Lino è prodotto artificiosamente chissà come, chissà perché e chissà da chi, insomma che è un falso: obiettivo altrettanto inafferrabile. Sono troppe le cose oscure, l’assoluta inspiegabilità dell’immagine innanzitutto. Resta la meraviglia, resta il mistero. Ed è bene che resti.

Tra le molte intelligenze provocate, vogliamo ricordare quella di Pavel Florenskij, il geniale sacerdote ortodosso, martire delle purghe staliniane. Egli è validissimo matematico e scienziato, vale la pena sottolinearlo per dire di una ragione geometrica, la sua, in ottima salute, che tuttavia non esita

ad andare oltre le “elucubrazioni, che si contrappongono in maniera netta alla coscienza viva della Chiesa” – questo egli scrive proprio a proposito della Sindone – e ad appoggiarsi alle intuizioni del cuore, compagne irrinunciabili nella ricerca della Verità.

All’interno di un ciclo di conferenze/lezioni sulla filosofia del culto tenute a Mosca, Florenskij tratta tra mille altre cose della liturgia del Venerdì Santo che prevede il rito della deposizione della plaščanica, un lenzuolo con il corpo del Salvatore dipinto. Questo accade nell’estate del 1918, giusto all’indomani della rivoluzione. Egli parla a voce bassissima, ci dicono le testimonianze, ad una platea attenta e vastissima. La cosa stupisce non poco, sembra di percepire il desiderio di abbeverarsi un’ultima volta a una fonte che di lì a poco sarà sbarrata. A quella data già sono cadute le prime vittime delle persecuzioni contro la Chiesa e occorre un coraggio non indifferente a parlare di Dio, e un pochino anche ad ascoltare.

A distanza possiamo ascoltare anche noi, grazie agli appunti che per fortuna ci sono stati tramandati: “…alberga in me una ferma convinzione, che non ho tuttavia verificato con le fonti, ovvero che il rito della deposizione della plaščanica ha avuto origine col diffondersi di un rito che si svolgeva nella chiesa della Resurrezione di Gerusalemme, dove inizialmente si conservava la più grande meraviglia del mondo: la Sindone di Torino, con la vera immagine del Signore defunto[…] E’ una mia supposizione, una mia sensazione, se volete. Magari ispira qualcuno a fare delle ricerche.” Florenskij sarebbe confortato dalle numerose ricerche che indirizzano a non escludere, se non addirittura a confermare, le sue intuizioni.

D’altronde è difficile non cogliere un lampo di verità nella straordinaria immagine del Volto che proprio la Sindone ci restituisce attraverso la tecnica fotografica: il negativo della pellicola ci mostra il positivo dell’impronta impressa sul sudario. Proprio quel Volto che per una misteriosissima ragionenon esitiamo a riconoscere. Lo sapeva bene Dostoevskij, che nella Leggenda del grande inquisitore ci racconta di Cristo che torna sulla Terra:Nella Sua immensa misericordia, Egli passa ancora una volta fra gli uomini con quella stessa figura umana con la quale, per trentatré anni, aveva camminato in mezzo agli uomini quindici secoli prima. (…) Egli è apparso in silenzio, inavvertitamente, eppure, strano! tutti Lo riconoscono”.

Strano! Con l’immediatezza di una sola parola ci viene segnalato il mistero.