Il 21 dicembre del 1950, da poche settimane nominato senatore a vita (ormai gravemente malato, pare che avesse affermato, con la solita ironia che lo contraddistingueva, di essere stato nominato “senatore a morte”…) dal Presidente Luigi Einaudi, moriva Trilussa, al secolo Carlo Alberto Salustri, il terzo dei grandi poeti romaneschi dopo G. G. Belli e Cesare Pascarella. Furono i miei genitori ad iniziarmi, ancora ragazzo, alla lettura di Trilussa. Erano convinti, e a ragione, che dalla lettura di quelle divertenti poesie avrei potuto trarre dei profondi insegnamenti morali. Ed è proprio grazie alla lettura di Trilussa che ho maturato, crescendo, una fortissima avversione per ogni forma di ipocrisia, soprattutto per quello che è il suo aspetto peggiore e per me più odioso, quello che oggi si definisce come “linguaggio politicamente corretto”.  E Trilussa non aveva peli, né sulla lingua, né sul pennino e così, in maniera molto garbata ma radicale, affondava il bisturi della satira in ciò che non andava sia nella democrazia prefascista, sia nel fascismo, sia nella democrazia postfascista, perché i difetti dell’uomo sono sempre identici a se stessi, dentro e fuori la politica e, talvolta, cambiano i governi ed i regimi ma a farci la morale (quella finta morale che l’autentico moralista Trilussa, erede della più sana e seria mentalità liberale ottocentesca, detestava e combatteva) sono sempre i medesimi personaggi: non abbiamo forse visto, nel dopoguerra, esponenti del più stupido estremismo fascista, quelli che avrebbero voluto l’Italia appiattita sulle più becere posizioni del nazionalsocialismo tedesco, divenuti azionisti o comunisti, invocare pene draconiane contro persone il cui unico peccato, talvolta, era stato quello di aver risposto alla cartolina precetto inviata dal Distretto Militare o di aver compiuto con coscienza il proprio dovere di funzionari statali? Non voglio andare oltre e torno a Trilussa… Le sue poesie sono tutte gustose e sono state integralmente pubblicate in un volume di quasi 2000 pagine nella collana I Meridiani di Mondadori. Anche a voler piluccare qua e là non si riesce a rendere compiutamente l’idea dei bersagli presi di mira da Trilussa. Nel libro Lupi e Agnelli (pubblicato nel 1922),  vengono messi alla berlina il pacifismo stupido (non il pacifismo, ripeto: il pacifismo stupido, tanto è vero che nella stessa raccolta vi è una ninna-nanna pacifista, ma pacifista intelligente, cosa che non esclude il patriottismo, come si evince da altre poesie), quando il coniglio umanitario spinge il leone a farsi togliere le unghie, salvo poi lamentarsi quando, così, questo non riesce più a difendere gli agnelli dai lupi e le degenerazioni di certa mentalità (pseudo)democratica, quando il leone risponde al somaro, apparentemente invidioso del re degli animali, che invece oggi è più prudente per il leone assomigliare al somaro, la retorica dell’immediato dopoguerra e tanti altri difetti, chiamiamoli così, della politica di quegli anni. Ne Le Favole, dello stesso anno, non manca la satira politica, ma prevale la satira di costume. Sono tutte sempre attuali, come Er compagno scompagno: “Un Gatto, che faceva er socialista / solo a lo scopo d’arivà in un posto, / se stava lavorando un pollo arosto / ne la cucina d’un capitalista. / Quanno da un finestrino su per aria / s’affacciò un antro Gatto: – Amico mio, / pensa – je disse – che ce so’ pur io / ch’appartengo a la classe proletaria! / Io che conosco bene l’ idee tue / so’ certo che quer pollo che te magni, / se vengo giù, sarà diviso in due: / mezzo a te, mezzo a me… Semo compagni! / – No, no: – rispose er Gatto senza core – / io nun divido gnente co’ nessuno: / fo er socialista quanno sto a diggiuno, / ma quanno magno so’ conservatore!”… Tutti abbiamo riconosciuto qualcuno, inutile nasconderselo… Ne Le cose , si mettono a posto Libertà (che scappa strillando di essere uscita troppo presto di casa quando un ometto convinto che si possa fa’ quer che ce parevolle attastalla in un particolare), Uguaglianza (il Gallo si lamenta di stare in un cortile, mentre l’Aquila vola nel cielo e questa gli risponde che, se ne ha la forza, voli anche lui, senza pretendere che lei si abbassi) e Fratellanza. Ne Le storie c’è una poesia, Roccasciutta, in cui si prende in giro il comportamento dei partiti e delle fazioni che, in nome dell’ideologia (o della pseudoideologia) non riescono a mettersi d’accordo nemmeno sulle più banali misure amministrative a vantaggio dei cittadini, che continuano a stare male mentre i capintesta dei partiti litigano stupidamente (vi ricorda qualcosa?). Insomma, la poesia di Trilussa è un vero e proprio Vangelo del politicamente scorretto, di questi tempi è molto pericolosa perché spinge a ragionare con la propria testa e per questo, approfittando dell’anniversario della morte, va ripresa in mano, letta e fatta leggere. Ora una chicca, che forse pochi conosceranno (io stesso l’ho appresa non molto tempo fa): l’antifascista Trilussa e l’antidemocratico Julius Evola (mi rifiuto di definirlo fascista, poiché la sua filosofia ed il suo pensiero assai poco hanno in comune con ciò che storicamente è stato il fascismo) erano grandi amici, pare fossero amiche le famiglie. Inoltre risulta che Evola era un grande estimatore della letteratura dialettale romanesca e tenne contatti anche con altri poeti dialettali, meno importanti di Trilussa. Negli anni Trenta doveva uscire per Mondadori una ricca antologia di poesie di Trilussa e questi aveva chiesto di curarla proprio all’amico Evola, ma per qualche problema con l’editore il progetto non andò in porto. In ogni caso, Evola scrisse un lungo saggio su Trilussa che venne pubblicato da quello che passava per l’organo del fascismo più estremista, ossia il quotidiano Il Regime Fascista di Farinacci (recentemente Paolo Mieli in televisione ci ha detto che fu proprio grazie ad Evola che questo quotidiano estremista difese più volte Rabindranath Tagore e Gandhi), mentre nel dopoguerra ne scrisse su vari altri organi di stampa. Evola oggi, nella vulgata del politicamente corretto, passa per un pensatore maledetto (soprattutto da chi non ne ha mai letto una riga) e l’editore Vanni Scheiwiller, anche lui antifascista, che di Evola pubblicò qualche libro, rispose, a chi per questo lo accusava di ogni infamia, che “Se Tartufo tornasse al mondo, sarebbe senz’altro contro Evola”. E ancor di più, aggiungo io, sarebbe contro il grande Trilussa