L’attale governo Meloni, in carica da oltre un anno, sembra godere di una stabilità che molti suoi predecessori hanno soltanto sognato.

A prescindere dalle simpatie o meno sulla Presidente e dal giudizio sull’azione di governo (si vedano le mie forti perplessità sulla proposta di premierato Riforma costituzionale Meloni-Casellati: sarà dittatura?), vale la pena fare un paio di considerazioni su questa stabilità.

Nelle ultime legislature si è iniziato a parlare di idillio, inteso come un periodo di sintonia tra l’elettorato ed il governo eletto. Periodo breve: in genere l’idillio si incrina dopo un annetto. Un po’ perché i neoministri si scontrano con la realtà, in primis dei conti pubblici, che frustra di molto le promesse elettorali, un po’ per altre ragioni che analizziamo.

Da decenni le maggioranze sono di coalizione ed hanno numeri abbastanza risicati in parlamento (si vedano le varie considerazioni fatte a suo tempo sulla legge elettorale). Questo dà ai partiti minori dell’alleanza, che guardano verso il centro, un potere di ricatto più o meno forte che si traduce in una sovrarappresentazione in termini di ministri e sottosegretari e in un logoramento interno che inizia sin dal primo giorno. Dove logoramento significa rimarcare un distinguo quotidiano sui mass media ad ogni provvedimento, assunto od ipotizzato che sia; far mancare i numeri in qualche votazione secondaria sia essa in commissione o addirittura in aula; tirare per la giacca il premier con proposte che lo mettono in difficoltà con la sua stessa base; puntare ad allargare il consenso cercando di attirare gli elettori del partito maggioritario, con posizioni più nette laddove il Presidente del Consiglio deve gioco forza mediare.

Se poi vi è un dualismo tra partiti con percentuali di consenso simili il logoramento diventa un gioco al massacro ed una campagna elettorale continua, fintanto che il partito secondo non sale nei sondaggi al punto da far saltare il tavolo. Penso al Conte 1 in cui i 5 stelle erano alleati della Lega che poi lo sfiduciò nel 2019.

Oggi questo non si verifica per vari motivi. Innanzitutto Fratelli d’Italia è nettamente il partito maggioritario della coalizione. Silvio Berlusconi è mancato e se di Tajani si può dire sia un buon ministro, non è certo un leader carismatico che mette in discussione la guida di Meloni. La Lega è in crisi profonda ed in cerca di identità, in gran parte per le scelte di Salvini che ha pensionato la classe dirigente autonomista fondatrice del partito, proponendo una lega nazionale che dopo un primo exploit, non ha ottenuto il successo sperato. Inoltre, a tratti, la coalizione sembra avvalersi di un quasi appoggio esterno da parte dei renziani.

La seconda ragione è il logoramento esterno, dato dai giornali, della opposizioni, dai magistrati che attaccano i singoli parlamentari o ministri, facendo questioni politiche di comportamenti non certo edificanti, ma che spesso esulano dall’azione di governo. Quando gli elementi attaccati e divenuti, a torto o a ragione impresentabili, sono parecchi, la prima cosa che si fa per correre ai ripari è un bel rimpasto di governo. In questo caso gli attacchi ci sono stati: vedi i casi Santanché, Sgarbi e Pozzolo (quello che ha portato la pistola alla festa di capodanno), più recentemente Toti. Per non parlare dello scandalo di Giambruno lanciato da Striscia la Notizia. Al momento non paiono squotere il governo e la recente votazione a favore di Santanché conferma una maggioranza senza imbarazzi.

La terza causa è la solidità e la forza delle opposizioni che si presentano come alternativa più gradita ed avanzano nei sondaggi e nei test elettorali locali. In questa fase le opposizioni sono divise tra due partiti di pari forza che lottano per la leadership, con un Movimento 5 stelle che ha perso l’aura di novità dirompente ed un Partito Democratico in piena trasformazione. La segretaria è stata eletta alle primarie e non dalle gerarchie del partito e si sta staccando dalla base sindacale ed operaia per andare verso temi più attuali ma in parte disorientanti, come quelli ambientali o gender. Inoltre pesa il recente scandalo giudiziario in Puglia. C’è poi un terzo polo che si è già sciolto, di cui Calenda punta ad essere la terza gamba centrista di una coalizione in cui nessuno lo cerca.

A queste considerazioni se ne aggiunga un’altra: Fratelli d’Italia è un partito, strutturato sul territorio, con una lunga tradizione politica; sa come muoversi e come toccare le leve giuste, a differenza di quanto fecero i quadri di Forza Italia che arrivavano dalla società civile. Basti pensare alla scaltrezza con cui è stato tolto Salvini dal Viminale a cui puntava, per metterlo in un ministero chiave, ma assai meno visibile, o all’esodo di personaggi più o meno politicizzati dalla Rai…

Inoltre la Presidente ha dimostrato un attivismo personale in politica estera, viaggiando tanto e stabilendo una serie di contatti bilaterali (significativa la visita di Von Der Layern a Lampedusa) che sorprendono da parte di un partito di destra che ci si sarebbe aspettati isolato in Europa.

A conferma di questa stabilità ci sono i risultati elettorali ed i sondaggi.

In Sardegna ha vinto la candidata di centrosinistra Alessandra Todde e merita di governare la regione, grazie al premio di maggioranza. Ma se vogliamo fare una considerazione politica, trasponendo i risultati a livello nazionale, bisogna guardare alle percentuali dei voti di partito e, grazie alla possibilità di voto disgiunto la coalizione di governo è maggioranza, con il 48,8% 334.000 voti, contro il 42,6% 290.000 voti di centrosinistra con i 5 stelle. (https://elezioniregionali2024.regione.sardegna.it/risultati-riassuntivi) Per confronto sempre in Sardegna alle politiche del 2022, questi i risultati per la Camera, centrodestra 40,5% con 277.000 voti, centrosinistra 26,9% con 185.000 voti, 5 stelle 21,8% con 149.000 voti (https://elezionistorico.interno.gov.it/). Per il governo, in Sardegna, il consenso è quindi aumentato, rispetto a quando nel 2022 aveva già vinto le politiche.

I sondaggi sembrano confermare questa situazione, in attesa delle elezioni europee che sono da sempre il miglior sondaggio perché riguardano tutta la base elettorale, perché i partiti si presentano da soli in quanto il voto è puramente proporzionale e perché il focus è sul partito non essendoci in palio cariche monocratiche.

In conclusione gli anni che ci aspettano prima della fine della legislatura sono lunghi e si sa che la base elettorale è mobile qual piuma al vento, muta d’accento e di pensiero, … è sempre misero chi a lei s’affida, chi le confida mal cauto il core, … ma, al momento, non si intravedono crisi all’orizzonte.