Nel primo dopoguerra, mentre il regime autoritario in Italia restringeva sempre più gli spazi di libertà, aumentava il numero dei cittadini che si vedevano costretti a espatriare, convinti che “ubi libertas ibi patria”. Gaetano Salvemini nel 1925 diede le dimissioni dalla cattedra di Storia all’Università di Firenze con una lettera al Rettore in cui scriveva fra l’altro: “[…] La dittatura ha soppresso ormai completamente nel nostro paese, quelle condizioni di libertà mancando le quali l’insegnamento universitario della Storia – quale l’intendo io – perde ogni dignità […]. Sono costretto perciò a dividermi dai miei giovani e dai miei colleghi, con dolore profondo, ma con la coscienza di compiere un dovere di lealtà verso di essi, prima che di coerenza e di rispetto verso me stesso.”. Dal 1927 fu negli Stati Uniti d’America e nel 1934 ottenne la cattedra all’Università di Harvard. Al termine della guerra di Spagna gli internazionalisti sconfitti militarmente ripararono in gran parte in Francia. Il governo francese, considerandoli pericolosi sovversivi, li internò in campi, come quello di Le Vernet ai piedi dei Pirenei, che non avevano nulla da invidiare a quelli tedeschi di inizio guerra. I più noti fra quanti vi furono internati sono da considerare Arthur Koestler e Leo Valiani che ne parlarono nei loro libri di memorie. Quando la Francia fu invasa dalle truppe naziste parte degli internati riuscì ad emigrare e parte si diede alla macchia.
Fra coloro che espatriarono in Belgio e da qui in Inghilterra e infine negli USA ci fu il mazziniano conte Carlo Sforza che, giunto alla meta, contattò gli antifascisti italiani da più tempo là residenti (come Gaetano Salvemini) per aderire all’associazione da loro creata per coordinare l’attività degli esuli contro il regime. Tale associazione era stata fondata il 24 settembre 1939 a Northampton nel Massachusetts da Gaetano Salvemini, Lionello Venturi, Michele Cantarella, Renato Poggioli e Roberto Bolaffio. Su proposta di Salvemini si decise di chiamare l’associazione con il nome di Mazzini Society. Nella polemica sull’immagine da inserire nel logo ci fu chi voleva la testa dell’Italia turrita, chi l’immagine di Garibaldi. Salvemini, spazientito, sbottò: “Che cosa volete mettere se non l’immagine di Mazzini? Ci volete mettere una donna nuda?”. La polemica si interruppe subito e fu scelto il nome e il simbolo. La scelta voleva indicare e sottolineare il richiamo alla tradizione della democrazia risorgimentale mentre la formulazione in lingua inglese intendeva evidenziare il desiderio di restare ancorati all’ambiente USA. Il comitato direttivo era costituito da Gaetano Salvemini, Lionello Venturi e Giuseppe Antonio Borgese, tutti docenti in università statunitensi (il primo a Harvard, il secondo a Baltimora, il terzo a Chicago). Fu scelto di affiancare al comitato direttivo anche tre cittadini degli States che potessero influenzare l’opinione pubblica americana. Alla presidenza fu chiamato il ferrarese Max Ascoli, esule di lunga data. Fu creata anche una sezione femminile (Women’s Division) che vide fra i soci Amelia Pincherle Rosselli, madre di Carlo e Nello. Fra i più famosi soci della Mazzini si ricorda Arturo Toscanini, giunto in USA con la moglie e il figlio Walter , al maestro Gaetano Salvemini e Giorgio La Piana scrissero una dedica ad inizio del loro volume “What to do with Italy” con le seguenti parole: “ Al maestro Arturo Toscanini, che nei giorni più neri dei delitti fascisti, della vergogna d’Italia e della pazzia del mondo, mantenne senza compromessi gli ideali di Mazzini e Garibaldi e con fede immortale anticipò l’alba del Secondo Risorgimento Italiano”. Nel febbraio 1940, giunto a New York, aderì alla Mazzini Bruno Zevi. Sempre nel corso del 1940 il conte Carlo Sforza giunse negli USA con i famigliari e alcuni amici, tra i quali Alberto Tarchiani. Proprio quest’ultimo, già redattore capo del Corriere della Sera, divenne segretario della Mazzini. Il 20 settembre 1940, nell’anniversario della presa di Porta Pia, una manifestazione antifascista vide al tavolo d’onore Luigi Antonini, Max Ascoli, Augusto Bellanca, Giuseppe Antonio Borgese, Giuseppe Lupis, Serafino Romualdi, Alfredo Segre, Carlo Sforza e Alberto Tarchiani. Nel frattempo avevano aderito alla Mazzini alcuni esponenti di democrazia laica (in particolare repubblicani, socialisti e giellisti) fra cui Aldo Garosci e Max Salvadori, che si sarebbe poi arruolato nell’esercito inglese, oltre agli anarchici Carlo Tresca, Umberto Luigi Gualtieri, Aldino Felicani ed Ezio Taddei. Nel 1941 giunse a New York Nicola Chiaromonte con il repubblicano Aurelio Natoli, ad attenderlo gli amici Max Ascoli, Paolo Milano e Giorgio Santillana. Chiaromonte frequentò la Mazzini Society e diventò uno dei principali collaboratori del quindicinale Italia Libera di Salvemini. In una lettera al generale Edwin Watson, segretario del presidente Roosevelt, Carlo Sforza sollecitò la creazione di una legione di volontari italiani agli ordini di Randolfo Pacciardi, che era stato ufficiale dei bersaglieri pluridecorato nella prima guerra mondiale e poi comandante delle brigate internazionali nella guerra di Spagna. Sforza scrisse: “[…] Pacciardi è amato da tutti gli ex combattenti per la difesa della Repubblica in Spagna (ad eccezione dei comunisti che lo odiano). Potrebbe organizzare circa duemila ufficiali italiani oggi dispersi fra Africa Settentrionale, Egitto e Siria. Audace, onesto, pronto a tutto, potrebbe guidare una spedizione in uno sbarco in Italia”.
Con Tarchiani l’associazione non fu più solamente una specie di cenacolo di docenti universitari in esilio, ma divenne un vero e proprio gruppo di pressione in grado di incidere concretamente nell’opinione pubblica della società americana. Nel febbraio 1941 iniziò la pubblicazione di un bollettino settimanale a ciclostile in quattro pagine dal titolo Mazzini News, che venne diffuso in alcune migliaia di copie fra gli italo-americani. Nello stesso periodo fu fondata l’agenzia di stampa Italian News Service che informava i quotidiani USA della situazione italiana. Nella seconda metà del 1941 la Mazzini annoverò alcune migliaia di iscritti. Referente per gli stati dell’America meridionale fu Serafino Romualdi, sindacalista italo-americano scelto da Max Ascoli come il più indicato a coordinare l’azione degli antifascisti italiani riparati in Sud America e in particolare in Argentina, dove già esisteva l’associazione Italia Libre. L’ipotesi di trasformare la Mazzini Society in un governo in esilio, auspicata da Carlo Sforza e osteggiata da Randolfo Pacciardi, subì un duro colpo dal rifiuto di adesione di don Sturzo, giunto negli USA per cure mediche, che scrisse: “Io, cattolico, non posso mettere per insegna della mia attività il nome storico di un anticattolico, quali ne siano i meriti, che ho riconosciuto non da ora ma da tempo”. Nel marzo 1942 giunse a New York Emilio Lussu per incontrare i dirigenti della Mazzini Society e convincerli, ma senza successo, ad allearsi con i comunisti.
Nel giugno 1942, nel Congresso della Mazzini, l’ipotesi si ripropose e fra i 600 delegati si scontrarono quanti, come Pacciardi, erano favorevoli a una momentanea alleanza con il PCI e quanti, come Tarchiani e Cianca (ex direttore de Il Mondo di Giovanni Amendola), erano decisamente sfavorevoli. Contro questa alleanza si pronunciò con forza l’anarchico Bruno Tresca, temendo si ripetesse quanto era accaduto in Spagna. Disse a Pacciardi: “Tu ed io saremo mandati in prigione o uccisi con una revolverata alla nuca”. Lo stesso Tresca avrebbe poi scritto (23/11/1942) in una lettera a Marceau Pivert: “Gli stalinisti hanno cercato di assumere il controllo della Mazzini Society negli Stati Uniti. Io li ho bloccati”. In quello stesso periodo il New York Times pubblicò una lettera inviata a Carlo Sforza da Ugo La Malfa e Adolfo Tino che incoraggiava l’attività della Mazzini Society. Dal luglio 1942 Leo Valiani era socio della filiale messicana della Mazzini e fu lui a far associare Max Salvadori. Dal 14 al 16 agosto dello stesso anno, sempre a cura della Mazzini, fu organizzato il Congresso di Montevideo che vide la partecipazione di circa milleduecento partecipanti. La risoluzione finale del Congresso auspicò la creazione di un governo in esilio presieduto da Carlo Sforza e di una legione di volontari agli ordini di Randolfo Pacciardi. A quest’ultima decisione, il governo USA fu sempre contrario. Il cammino della Mazzini si concluse alla fine della guerra. Nel marzo 1944sulla rivista LIFE fu pubblicato con grande rilievo l’appello “Freedom for Italy now” a firma di alcuni dei più noti esponenti della Mazzini ( Lionello Venturi. Giuseppe Antonio Borgese, Giorgio La Piana, Randolfo Pacciardi, Gaetano Salvemini, Arturo Toscanini). Analogo testo dal titolo “An Italian Manifesto” fu pubblicato nel maggio dello stesso anno su LIFE a firma degli stessi. Dopo lo sbarco alleato in Sicilia, Tarchiani, Cianca e Garosci giunsero in Inghilterra e subito attivarono la radio clandestina di Giustizia e Libertà di cui fu speaker Bruno Zevi. In agosto Tarchiani e altri compagni sbarcarono a Salerno, mentre Garosci si fece paracadutare nel Nord Italia per partecipare alla Resistenza. Pacciardi rientrerà in Italia nel 1944 dopo la liberazione di Roma divenendo poi ministro della Difesa. Bruno Zevi diverrà docente universitario di architettura e esponente di rilievo del Partito d’Azione. Tullia Zevi, che a New York era stata arpista presso la New York City Symphony Orchestra, rientrerà in patria nel 1946 dedicandosi al giornalismo. Gaetano Salvemini ottenuta la cittadinanza USA tornerà nel 1949 rientrando all’Università di Firenze. Carlo Sforza diverrà ministro degli Esteri. Tarchiani sarà in un primo tempo ministro dei lavori pubblici del secondo governo Badoglio e poi, per un decennio, ambasciatore a Washington. Renato Poggioli invece restò negli USA dove divenne professore ordinario all’ Università di Harvard.
Nei giorni 28 e 29 aprile 1973 la sezione di Faenza dell’Associazione Mazziniana Italiana organizzò un convegno di studi su Salvemini nel centenario della nascita ricordando anche la sua attività d’insegnante presso il locale Liceo Classico. Dopo i saluti di Giovanni Spadolini e di Eugenio Garin e i messaggi beneauguranti di alcune autorità, seguirono le relazioni di Giuseppe Tramarollo (“Il Mazzini di Salvemini”), Giovanni Cattani (“Il laicismo di Salvemini”), Maria Gioia Tavoni (“Salvemini medievalista”), Augusto Torre (“Gli scritti di Salvemini sulla politica estera”), Giuseppe Bertoni (“Gaetano Salvemini a Faenza”), Francesco Compagna (“Salvemini e la questione meridionale”), Luigi Lotti (“Salvemini e il fascismo”), Domenico Berardi (“Gaetano Salvemini storico del Risorgimento”), Michele Cifarelli (“Salvemini europeista”).
In particolare Tramarollo sottolineò come, secondo Salvemini, Mazzini era stato il vero ispiratore della guerra partigiana, ma anche del riproporsi della scelta istituzionale di passare dalla monarchia alla Repubblica e nel momento della ricostruzione nazionale postbellica. Come Salvemini nell’esilio scelse a proprio modello Giuseppe Mazzini, fondando la Mazzini Society, e non la Cattaneo Society, né la Marxian Society, ebbe poi modo di auspicare un rinnovato e mazziniano impegno religioso contro il clericalismo. Cifarelli invece concluse la sua relazione con queste parole: “Dopo tanto travaglio in questo dopoguerra noi ci troviamo di fronte alla volontà delle superpotenze di organizzare tutto il mondo e costruire una sua stabilità nella distensione. Ma questo, per noi italiani memori del Risorgimento, ha un profilo da Santa Alleanza […]. Il futuro è nelle mani di Dio ma noi alle sante alleanze possibili dobbiamo contrapporre la realtà dell’Europa, l’Europa di Mazzini, di Cattaneo, di Salvemini”.
Se don Sturzo aveva rifiutato di aderire alla Mazzini Society per non far parte di un’associazione intitolata a colui che definì “anticattolico”, Salvemini nel suo testamento spirituale scrisse: “Mi dorrebbe se, negli ultimi momenti della mia vita, un oscuramento del mio pensiero permettesse a qualcuno di farmi ritornare a una fede religiosa qualsiasi. Se ammirare e cercare di seguire gli insegnamenti morali di Gesù Cristo, senza curarsi se Gesù sia stato figlio di Dio o no, o abbia designato dei successori, è essere cristiano, intendo morire da cristiano, come cercai di vivere, senza purtroppo esserci riuscito. Ma cessai di essere cattolico quando avevo 18 anni, e intendo morire fuori dalla chiesa cattolica, senza equivoci di sorta”. Lo stesso Salvemini, nel 1919, in una lettera a Marco Ciriani aveva scritto: “Io appartengo a quella religione stoica , che non ha nessun dogma e nessuna speranza di vita futura, ma ha comune col cristianesimo il rispetto della libertà, il bisogno della giustizia, l’istinto della carità umana. Ebbene dal sentimento di queste necessità morali che è comune alla religione mia e alla vostra, che potrebbe far definire Marco Aurelio come cristiano e Sant’ Agostino come stoico…” E’ del 1975 il volume di Giuseppe Galasso edito da Le Monnier a Firenze dal significativo titolo “Da Mazzini a Salvemini, il pensiero democratico nell’Italia moderna” Se la Mazzini Society non esiste più da tempo è tuttavia evidente come gli insegnamenti di Mazzini restano ancora oggi l’ultima speranza a contrastare l’involuzione di una vita politica confusa e avvolta nelle nebbie dell’intreccio di mancanza di ideali e chiusure egoiste, mentre la demagogia dominante dimentica che, se Altiero Spinelli scrisse che: “L’Europa non cade dal cielo”, si può con altrettanta certezza ricordare agli interessati immemori che anche i diritti non cadono dal cielo, ma devono nascere dall’adempimento dei Doveri.
Bibliografia
AA.VV. “Convegno di studi su Gaetano Salvemini” ed. Lega Faenza 1973
Antonio Varsori “Gli alleati e l’emigrazione democratica antifascista(1940-1943)” Sansoni editore Firenze 1982
Franco Venturi “Pagine repubblicane” Biblioteca Einaudi Torino 2004
Gaetano Quagliarello “Gaetano Salvemini” Il Mulino Bologna 2007