In Italia i movimenti, che rivendicavano il diritto di voto per le donne, iniziarono a prendere piede già dopo l’Unità. Ciononostante, la prima volta in cui alle italiane fu concesso di recarsi ai seggi fu nel secondo dopoguerra, quando poterono, finalmente, partecipare alle amministrative, alle nazionali e al referendum del 2 giugno 1946. Oggi molti credono che la sconfitta della Monarchia di settantacinque anni fa sia stato il frutto di brogli, poiché sono convinti che le donne fossero restie ai cambiamenti e più avvezze a essere suddite che non cittadine. Io non sono d’accordo: il mio bisnonno raccomandò alle sue sette figlie di votare per i Savoia, ma nessuna di loro, nel segreto delle urne, seguì il consiglio paterno. Si obietterà che un singolo caso non possa esser preso come campione rappresentativo di una Nazione. Non lo nego, tuttavia, è un fatto che la prima volta in cui le donne votarono nel nostro Paese vinse la Repubblica. Ciò non è di poco conto in un Paese in cui, ancora oggi, le polemiche sulla mancata partecipazione delle donne alla politica e sul loro sottodimensionamento nel tessuto produttivo non si placano. Penso alla diatriba accesasi all’interno del PD, in cui sono improvvisamente scarseggiare le quote rosa di fronte alla formazione del Governo Draghi. Penso alle molte famiglie che, in questi giorni, si stanno trovando a scegliere chi dei due genitori dovrà rimanere a casa per prendersi cura dei figli, impegnati nella didattica a distanza. Probabilmente, la scelta cadrà, come l’anno scorso, su chi ha lo stipendio minore, cioè le madri. Penso al fatto che nelle zone arancioni rinforzato, non avendo il Ministero chiarito chi siano i key workers, molti presidi non stiano accettando a scuola i figli degli insegnanti. Forse questa durezza è motivata dal fatto che, come affermò la ex-Ministra Fedeli, la docenza non è una professione che attragga molti uomini, a causa di una remunerazione tra le più basse della Pubblica Amministrazione. E le donne, si sa, sono più adatte a essere sudditi che cittadini. Sembra che la strada sia ancora molto lunga e ci sia poco da festeggiare.
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