Bambini di ieri, bambini di oggi, di Darwin Pastorin

São Paulo, 1958. Niente mancava, erano tutti presenti ed altri ancora ad arrivare, avevamo il pane in tavola, la carezza della madre, l’oceano non era stato cattivo con noi: partiti per fame di futuro, con le onde che accompagnavano il pianto e la speranza, porti aperti, il Brasile rappresentò per la mia famiglia una terra promessa, campi da seminare o metropoli dove poter coltivare il sogno dell’arte. E il Natale era d’estate, l’aquilone colorato lambiva le nuvole e un pallone di plastica ci portava a inseguire il domani, così felici, noi bambini, in quella babele di lingue e religioni, nessuno di noi si sentiva straniero. Mi vedo in questa foto: sorridente, vestito dignitosamente, in una casa calda. E penso, oggi, ai bambini che resteranno per sempre in fondo al mare. Senza un sorriso. Un nome. Una croce. Una carezza di madre. In questo nostro Mediterraneo di sale e lacrime siamo tutti naufraghi e colpevoli. Sono stato un fortunato figlio, nipote e pronipote di migranti. Ma non riesco ad avere pace. Vorrei tenerli per mano quei bambini, tutti, e portarli a riva, come ogni volta cercano di fare i nostri coraggiosi pescatori, perché per loro è importante salvare chi si è perduto tra le schiume, solo questo conta, non le facce false da telegiornale, maschere ridicole e tragiche. Vorrei sentirli cantare e vederli correre, quei bimbi. Ma non resta altro che un silenzio assurdo e lacerante. Rimane, nel vuoto, questa vita: che non vale più la pena di vivere.